«Io sono il primo a cui tocca l’onore di eseguire la nostra decisione. Sono il primo che ha avuto l’onore di scrivere la lettera, e sono anche la prima torcia. La richiesta principale è l’abolizione della censura: se questa richiesta non sarà rispettata entro cinque giorni, vale a dire entro il 21 gennaio 1969, e se la gente non dimostrerà appoggio alla nostra azione, altre torce umane mi seguiranno». Furno le parole che Jan Palach scrisse nelle che imbucò subito prima di darsi fuoco.
Siamo nella Cecoslovacchia dell’anno successivo alla Primavera di Praga, le idee riformiste del partito comunista cecoslovacco, guidato da Alexander Dubcek, erano state messe da parte, a forza, dall’occupazione degli eserciti dei paesi aderenti al Patto di Varsavia. Tra i manifestanti della Primavera e il partito stesso aleggiava un clima di sconforto, tanto che le cronache dell’epoca raccontano di un Dubcek in preda ad una crisi depressiva, dovuta proprio al fallimento del 1968.
Jan Palach era uno studente di ventuno anni dell’Università Carolina, originario di un paesino nell’entroterra di Praga, si era trasferito proprio Praga in seguito all’ottenimento del diploma nei primi anni ‘60 per completare il suo percorso di studi presso la Facoltà di lettere e filosofia della capitale. Come tanti altri studenti e cittadini, anche lui partecipò agli avvenimenti della Primavera del 1968 e, proprio come tanti manifestanti di quel periodo, era deciso a portare avanti la sua battaglia, nonostante il tragico epilogo dei mesi precedenti.
Fu così che la mattina del 16 gennaio 1969 Jan uscì dal suo alloggio universitario, situato nella parte sud di Praga e si diresse verso il centro della città. Durante il tragitto comprò due contenitori di plastica che riempì con della benzina e imbucò tra lettere. Raggiunse una delle pizze principali, piazza San Venceslao, che tra l’altro era tra i luoghi più trafficati della città. Lì si mise vicino alla fontana che risulta essere ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, tolse il cappotto, si versò addosso la benzina e si diede fuoco dopo aver inspirato dell’etere. Letteralmente in fiamme si mise a correre verso il centro della città e venne urtato da un tram. Venne subito soccorso da alcuni passanti che riuscirono a spegnere le fiamme, ma il ragazzo era ancora cosciente. Nell’attesa dell’ambulanza, riuscì a comunicare poche parole, chiedendo di andare a prendere la lettera che aveva lasciato con la giacca vicino alla fontana. Dopo un momento di pausa, riuscì a dire «Ho fatto tutto da solo».
La notizia si sparse rapidamente tra gli universitari e, successivamente in tutto il paese, nonostante il tentativo di censura da parte dell’Agenzia di stampa cecoslovacca, controllata dal regime e quindi dall’Unione Sovietica, che cercò di liquidare la questione parlando a tratti molto generali del suicidio di uno studente della Facoltà di lettere e filosofia. Così come di rapida diffusione fu il contenuto delle lettere che aveva spedito Palach aveva spedito quella mattina e dove parlava del fato che effettivamente il gesto che aveva compiuto era stato premeditato anche con altre persone (le altre potenziali torce), in segno di dimostrazione e protesta contro la censura sovietica, che da quasi un anno attanagliava come non mai il paese. Nelle lettere si fa accenno anche ad altre torce umane, che sarebbero divenute tali se il sacrificio di Jan non fosse bastato a smuovere le acque.
Palach venne ricoverato, ma le ustioni che riportò risultarono essere troppo gravi e di fronte all’impotenza dei medici, non si poté fare altro che aspettare. Passarono tre giorni, tre giorni di agonia per il ragazzo, nei quali comunque chiese più volte agli infermieri che si occupavano di lui, se il suo gesto avesse innescato una qualche reazione in città. Ebbe anche una conversazione con uno psichiatra, al quale confermò le intenzioni del suo gesto e incontrò anche il capo del movimento studentesco della sua facoltà, Lubomir Holeček, al quale chiese di dire agli altri membri del suo gruppo delle torce di fermarsi.
Jan Palach morì nel pomeriggio del 19 gennaio 1969, dopo che la madre e il fratello riuscirono a raggiungerlo per un ultimo saluto. Il suo corpo venne portato al reparto di medicina legale, dove alcuni studenti si intrufolarono quella stessa sera per fare una calco del suo volto. La scultura prodotta con il suo calco è tuttora esposta nella piazza che porta il suo nome a Praga.
Nonostante tutto, la morte dello studente riuscì a dare inizio ad una profonda crisi tra gli studenti e cittadini da una parte e il partito comunista locale, anche tramite scioperi della fame e lunghe marce pacifiche. Durante i funerali del 25 gennaio si calcola che circa mezzo milione di persone si riversarono tra le strade di Praga, seguite nei giorni successive da manifestazioni spontanee in tutto il paese.
Oggi una lapide commemora Palach nel centro di pazza San Venceslao.