Trasformismo, s.m.
C’è una frase attribuita a Darwin che spesso fa capolino tra i nostri feed dei Social Network, o in qualche articolo dove si declami l’importanza dell’adattamento, propria non solo della nostra specie (umana, la mia), al mutamento:
It is not the strongest of the species that survives, nor the most intelligent that survives. It is the one that is most adaptable to change.
Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere ma quella che si adatta meglio al cambiamento.
Come in molti già sanno, Darwin non disse né tantomeno scrisse nulla del genere. Un falso storico, insomma, reso celebre dalla diffusione che questa frase ebbe da un certo in punto in poi. Non sappiamo con certezza chi abbia dato il via alle danze, ma una cosa è certa: facciamo attenzione alle fonti.
Ma torniamo a noi. Lo Pseudo-Darwin qui di parla di sopravvivenza, di adattamento e, quindi, di trasformazione. Un termine malleabile e multidisciplinare, che nel tempo ha saputo prendere parte di rilievo in più di una disciplina, dalla fisica alla chimica, dal teatro al rugby.
Ma oggi parliamo di un tipo di trasformazione diverso da questi, che ciclicamente ritroviamo negli occhielli delle testate giornalistiche e nei dibattiti politici in tempi cupi – come questi.
Parliamo di “Trasformismo”, quello made in Italy, quello politico che vide i propri natali in un uggioso autunno del 1882, nel tannico scenario della città di Stradella, perla dell’Oltrepò Pavese.
Padre indiscusso ne fu Agostino Depretis, Presidente del Consiglio eletto tra le schiere di una giovine Sinistra Liberale, alle prese con il problema di far tornare i conti, molto caro alle massaie come alle maggioranze uscenti.
Nella campagna elettorale confluita nelle elezioni dell’ottobre di quell’anno, Depretis stipulò una non-così-santa alleanza con Minghetti, esponente della destra, per due ragioni: l’appiattirsi delle divergenze sui programmi delle riforme, a seguito di quelle già intraprese dalla Sinistra nella legislatura precedente, e dall’interesse comune nell’arginare le forze “illegittime” nell’arena parlamentare.
I contemporanei non videro certo di buon occhio le azioni di ambo le parti: né l’apertura a Destra, né la virata a Sinistra e Depretis si difese dalle accuse di scarsa aderenza ideologica in un celebre discorso tenuto quello stesso anno, nella detta città Pavese:
Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?
Nacque così il Trasformismo, battezzato sin dagli albori da una satira particolarmente visionaria e creativa, diremmo quasi surrealista, che diede ampio spazio al tema in vignette dedicate sulle riviste dell’epoca, che vedevano rappresentati i funzionari statali come “camaleonti” o come mercanti intenti a setacciare deputati per ottenere una maggioranza a prova di crisi.
Il Trasformismo ebbe precedenti meno eclatanti, forse, sia nel parlamento cisalpino di Cavour che nella Francia della Terza Repubblica, preoccupata di dover tenere a bada più “centri” di quanto un parlamento potrebbe supportare non solo dal punto di vista strutturale, contro il nemico comune delle forze antisistema.
Abbiamo visto come questo termine possa essere ascritto tra i “neologismi” del XIX secolo.
Ma vale la pena approfondire la sua etimologia per conoscerne i segreti più reconditi (quelli scabrosi si consumano già sotto la luce delle lampade dei palazzi governativi, togliendoci tutto il divertimento).
Trasformismo è un evidente derivato di “trasformare” unito al suffisso –ismo, utilizzato per coniare un sostantivo da attribuire a correnti e mode a partire da un nome astratto, prendendo parte quindi a quegli “ismi” rifuggiti da G.K. Chesterton come tra i responsabili della disgregazione dei popoli, del rischio d’estinzione dalla realtà dell’uomo comune.
L’antenato latino è TRANSFORMARE, da TRANSFORMO, “trasformo, cambio forma”. Si compone della preposizione TRANS- “attraverso, oltre”, e FORMA, “forma, figura, stampo”.
Scavando ulteriormente troviamo, ahimé, un vicolo cieco. L’etimologia di FORMA è infatti incerta: potrebbe derivare da un etrusco *morma, parente del greco μορφή “forma, apparenza”.
Tirando le somme quindi, il nostro lemma significa “andare oltre la (nostra) forma”, oltre il nostro perimetro naturale, oltre la nostra essenza.
L’etimologia avvalora la tesi di coloro che, da quell’autunno Ottocentesco, storsero il naso verso i “camaleonti” della politica: se accettiamo l’assioma che vede una persona come aderente al proprio ideale, infatti, accettare il Trasformismo non significa solo tradire un credo politico, ma anche sé stessi.
Le tradizioni ci piacciono e, quindi ce le portiamo dietro ancora oggi pur con basi differenti e, forse, un opportunismo di altro tipo e con altri fini.
Tuttavia, chiosando quanto disse il buon Giuseppe Tomasi di Lampedusa per fiato di Tancredi Falconeri ne Il Gattopardo:
Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.
Rassegniamoci quindi: il made in Italy è pur sempre da tutelare.
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Bibliografia
Trasformismo, in GDLI, UTET (accessibile online).
transformo, forma, in Charlton T. Lewis and Charles Short, A Latin Dictionary, Oxford, Clarendon Press, 1879.
Musella, Luigi, Una nazione fondata sul trasformismo, in Il Libro dell’Anno 2016, Treccani (accessibile online).
Trasformismo, in Dizionario di Storia, Treccani, 2011 (accessibile online).
Bencivelli, Silvia, Darwin non l’ha mai detto. Storia di una bufala, con morale, pubblicato il 20/08/2012 su silviabencivelli.wordpress.com (accessibile online).
Tomasi di Lampedusa, Giuseppe, Il Gattopardo, a c. di Giorgio Bassani, Collana Biblioteca di letteratura n.4, Milano, Feltrinelli, 1958.