Teologo gesuita nato nel 1535 a Madrid, Luis de Molina insegnava filosofia e teologia.
A Coimbra, Evora e poi in Spagna, dove morì nel 1600.
Faceva parte della Compagnia di Gesù dal 1553, ma per proprio interesse dedicò molto del suo tempo anche allo studio del diritto e delle scienze giuridiche.
Scrisse “De iustitia et de iure”, dove trattò in particolare dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, opera divisa in più volumi e parzialmente pubblicata postuma, ma fu “Concordia liberi arbitrii cum gratiae donis, divina praescientia, providentia, praedestinatione et reprobatione” del 1588 la sua opera più celebre.
Il trattato, che molto raccoglieva degli studi e delle riflessioni di de Molina sulla Riforma protestante, fu fin da subito oggetto di fortissime polemiche, in particolare da parte dei domenicani spagnoli come Domenico Bañez, Tommaso de Lemos e Diego Alvarez.
Il cosiddetto “molinismo” non poteva infatti essere accolto di buon grado. Le idee di de Molina di conciliare libertà e divino non piacevano.
La critica a concetti quali la predeterminazione, la premonizione, l’infallibilità della grazia divina, era inconcepibile.
Ecco perchè l’inquisizione spagnola prima e Papa Clemente VIII poi con le sue “congregazioni De auxiliis” presero d’assalto il libro di de Molina.
Tra teologici domenicani e gesuiti le discussioni teologiche proseguivano senza sosta e così sarebbe continuato anche sotto il successore di Clemente VII, Paolo V.
Finché questi, nel 1607, si dichiarò favorevole ai gesuiti, ponendo definitivamente fine alla controversia.
L’opera tornò così a circolare libera, destinata ad essere oggetto di varie ristampe e precisazioni nel corso degli anni a venire.