Io personalmente preferisco dare ragione agli altri, e a volte anche a chiedere scusa o semplicemente andarmene via, piuttosto che litigare.
Litigare comporta parecchio dispendio di energie fisiche e mentali. E facendolo tutti i giorni già per altri di mestiere, non ho la forza di farlo anche per me. Non me ne vergogno affatto: d’altronde anche i medici curano malissimo se stessi. Spesso inoltre convincere gli altri con la sola forza dell’argomentazione è impossibile, a meno che l’altro non ragioni sulla base degli stessi presupposti logici, il che a me non accade quasi mai.
In fin dei conti, dice il saggio: la ragione è dei fessi. E quindi rinunciando alla ragione mi prendo la mia piccola rivincita sul piano intellettuale, non per questo rinunciando a credere alle mie convinzioni nel mio intimo.
Ma oltre alla disputa sofistica, mi sottraggo con se possibile maggior determinazione allo scontro fisico. Non ricordo di aver mai detto: “Ci vediamo dopo la scuola“, e se l’ho fatto era solo per scambiare le figurine, nè ho mai raccolto simili minacciosi inviti (se non sempre per le figurine).
Fossi vissuto qualche secolo fa, sarei stato senz’altro tacciato di fellonia, perdendo anche l’ultimo briciolo d’onore.
C’è stato infatti un tempo – e forse da qualche parte è tutt’ora così – che le liti si risolvevano con il duello. Non giustizia privata (sicuramente non giustizia “pubblica”), ma espressione più sincera della legge del più forte, che come noto stabilisce incontrovertibilmente da che parte sta la ragione. Già nell’alto medioevo, la pratica del duello era stata oggetto di ripensamento e invisa ai principi, ma nonostante innumerevoli editti, leggi, bolle, decreti, l’uomo non ha mai smesso di lanciarsi guanti di sfida.

Ne I Promessi Sposi, Lodovico uccide un nobile in un duello e dal rimorso si ritira a vita monacale col nome di Fra Cristoforo (illustrazione di F. Gonin)
E a sfidarsi a singolar tenzone erano principalmente gli aristocratici, che facevano della pratica del duello lo strumento con cui difendere il proprio onore, magari perché messo in dubbio da qualche pubblica offesa, o insinuazione sentimentale, che non potevano che essere lavate con la sfida alla spada, al roncone o alla pistola. La riparazione dell’onore doveva poi avvenire naturalmente davanti a testimoni e a giuristi che verificassero che le regole del duello fossero rispettate (gli avvocati riescono sempre a inventarsi un ruolo utile anche quando non si passa dal Tribunale..). Ciascun duellante era poi accompagnato da un padrino, naturalmente anch’esso altolocato (Marchesi, Conti, Baroni e quant’altro).
La storia è piena di duelli celebri combattuti da personaggi famosi, tra cui anche scrittori, poeti o importanti uomini politici, ovviamente non sempre aristocratici. Ad esempio Voltaire era stato rinchiuso nella Bastiglia per aver avuto l’ardire di sfidare un nobiluomo. Lo scrittore russo Puškin morì proprio in un duello, ferito a morte dall’amante di sua moglie. Migliori risultati ottenne invece Tolstoj che vinse tutti gli scontri cui aveva partecipato. Il matematico Galois morì a vent’anni per le ferite allo stomaco riportate in un duello (e pare fosse tanto sicuro di morire che passò la notte prima a lavorare per finire la sua dimostrazione alla soluzione del problema sulla risolubilità delle equazioni). Altro duellante provetto pare fosse Mussolini.
In Italia tra fine ‘800 e inizio ‘900 le sentenze che si occupano del reato di duello sono molto numerose, tutte molto buffe lette oggi a distanza di anni. Le cerimonie, i preparativi, i nomi pomposi dei padrini, per non parlare dei futili motivi alla base delle contese.
Per fortuna quasi mai queste sfide finivano col morto, ma si interrompevano prima, a volte con un ferimento, altre volte con un vero e proprio nulla di fatto, proprio come accadde nella storia oggetto della odierna Massima dal Passato.
Era accaduto a Livorno che un avvocato (sempre loro!) e il direttore di un quotidiano (nemmeno questi scherzano..) si erano ripetutamente insultati con editoriali pubblicati sulla stampa locale. Per dirimere la controversia, i due decisero di sfidarsi alla pistola. Tuttavia, non so se per scelta, per errore tecnico, per la tensione o per la più classica delle ansie da prestazione, messi l’uno davanti all’altro, con i padrini e tutto lo stuolo dei testimoni, i due non spararono. O meglio, uno riuscì a sparare un colpo al terzo tentativo, l’altro mai nemmeno una volta.
Da qui il problema giuridico: si trattava di un vero e proprio duello, punibile come tale? La risposta nella sentenza.
Informazione di servizio: per chi non lo sapesse il duello non è più reato in Italia dal 1999. Volendo possiamo vederci dopo la scuola, metterci l’uno davanti all’altro (io nomino padrino sin d’ora Mike Tyson) e spianare le pistole. L’unica regola è.. non sparare.
In alternativa propongo sfida a FIFA.
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La Corte: — Il procuratore del re presso il tribunale di Livorno ricorre contro la sentenza dello stesso tribunale 30 ottobre 1903, con la quale fu dichiarato non luogo a procedimento contro l’avv. Adolfo Carcos sulla imputazione di duello, art. 238 cod. penale.
Deduce, che il reato di cui all’art. 238 si era consumato dal momento che il Carcos si era armato di pistola e collocato di fronte all’avversario Calabro per effettuare lo scontro, per quanto egli non abbia creduto di fare esplodere la pistola, come fu esplosa dal Calabrò. Imperocché il duello è un reato contro la giustizia, che ne resta offesa appena il duello sia cominciato anche da una sola delle parti.
Il duello, come l’adulterio, è dal lato del soggetto attivo essenzialmente duale, e quindi deve risponderne anche chi non spara, o spara l’arma in aria, perchè impugnando l’arma fu causa che l’avversario non si ristasse dal tirare.

Duello tra gli onorevoli Verzillo e Montagna.
Vale davvero la pena leggere la storia di questo duello di fine ‘800 tra due illustri deputati http://memoriecasertane.altervista.org/duello-tra-gli-onorevoli-verzillo-e-montagna/
Osserva risultare in fatto, che fra l’avv. Carcos Adolfo e Calabrò Francesco cronista del giornale “Il Corriere Toscano” che si stampa in Livorno, gravi attriti erano sorti in seguito ad articoli di quel giornale contro il Carcos, il quale non potendosi più mantenere in silenzio, con un articolo da lui sottoscritto sul giornale “Il Telegrafo” stigmatizzò aspramente l’operato del Calabrò.
Di qui una sfida da parte di quest’ ultimo a duello, che fu stabilito alla pistola. Sul terreno, messi di fronte gli avversari, al comando fuoco, la capsula della pistola del Calabrò non esplose, e il Cracos non fece neppure abbassare la martellina della sua arma. Ad una nuova prova si verificò lo stesso, e finalmente ad una terza la pistola del Calabrò esplose senza offendere l’avversario, mentre il Carcos come le altre due volte precedenti, spianata l’arma non la fece scattare. Rinviati al giudizio del pretore, i due duellanti furono condannati a tre giorni di detenzione ciascuno, e i padrini alla multa. In appello il Carcos fu assoluto per inesistenza di reato sulla considerazione che difettava l’estremo richiesto del l’art. 238 cod. pen., non avendo il detto Carcos fatto uso dell’arme, e contro questa sentenza ora ricorre, come si è detto, il P. M.
Osserva che l’art, 237 cod. pen. punisce la sfida a duello e l’accettazione a norma e secondo le circostanze ivi designate, ma quando dalla sfida fatta ed accettata si passa al duello, con l’ultimo alinea è detto: “quando il duello avvenga si applicano soltanto le disposizioni degli articoli seguenti”, e nel successivo art. 238 è comminata una pena secondo i casi per chiunque faccia uso delle armi in duello. Per la qual cosa stando alla precisa locuzione della legge, quando non si faccia luogo a duello, è punita fin la semplice sfida o accettazione, ma quando alla sfida e all’accettazione tenga dietro il duello, allora la punizione colpisce soltanto chi faccia uso delle armi.
Osserva, ciò posto, che il procuratore del Re ricorrente ha perfettamente ragione, quando osserva che il duello è duale, e che se vi è stato per l’uno non può non esservi stato anche per l’altro duellante. E nella specie il duello fu effettivamente e in tutte le regole consumato, imperocché all’accordo delle parti susseguì la scelta dei padrini, la determinazione delle condizioni, e il collocamento degli avversari sul terreno con le armi in pugno; ma arrivati a questo punto la legge esige ancora un altro passo perchè essa intervenga con una sanzione penale, ed è che si faccia uso delle armi.
Ed è chiara la intenzione e lo scopo della legge. A sradicare dalle costumanze e dai pregiudizi della società moderna l’istituto antigiuridico del duello, questo certame di violenza privata, che ai lumi della civiltà vuol sostituirsi all’impero delle leggi, rendendosi arbitro della vita, cui la stessa società ha creduto di non aver diritto di attentare, il legislatore ha voluto esser longanime.
Dall’uno canto non poteva non tener conto di queste con dizioni speciali dell’opinione pubblica, la quale il duello rivestito di forme cavalleresche eleva a mezzo di riparazione, e dall’altro abdicare a sè stesso, all’ufficio suo, che è quello, riprovando e condannando il duello, di contenere tutti nell’orbita delle leggi e d’ispirare fiducia in esse. Per la qual cosa guidato da un criterio prudenziale ha voluto punire la sfida e l’accettazione per impedire che al duello si faccia appello, e quando malgrado questa prima intimazione il legislatore non è riuscito ad evitarlo, ha voluto per lo meno incoraggiare i duellanti, che avessero ceduto a questo impeto di male inteso amor proprio, a questa specie di coazione morale, a risparmiare la possibile effusione del sangue. É quando ciò avesse ottenuto, alza addirittura la mano e libera i duellanti da ogni e qualunque responsabilità penale.
Sparisce così l’apparente contraddizione di una sanzione penale per la semplice sfida, e della immunità, quando, procedutosi più oltre si arriva al duello senza far uso delle armi. Il fine è sempre conseguito la decisione di una contesa per le armi è scongiurata e riconosciuta illegittima !
Osserva ciò posto, che bene a ragione i giudici di secondo grado prosciolsero il Carcos che nel duello non aveva fatto uso delle armi. L’arma è quella ch’è destinata ad offendere o a difendere; ora se nè ad offesa nè a difesa il Carcos adoperò la pistola, è chiaro ch’egli non ne fece uso, e che andava meritevole del benefizio di legge concessogli.
Per siffatte considerazioni, rigetta il ricorso del P.M.