Io personalmente preferisco dare ragione agli altri, e a volte anche a chiedere scusa o semplicemente andarmene via, piuttosto che litigare.
Litigare comporta parecchio dispendio di energie fisiche e mentali. E facendolo tutti i giorni già per altri di mestiere, non ho la forza di farlo anche per me. Non me ne vergogno affatto: d’altronde anche i medici curano malissimo se stessi. Spesso inoltre convincere gli altri con la sola forza dell’argomentazione è impossibile, a meno che l’altro non ragioni sulla base degli stessi presupposti logici, il che a me non accade quasi mai.
In fin dei conti, dice il saggio: la ragione è dei fessi. E quindi rinunciando alla ragione mi prendo la mia piccola rivincita sul piano intellettuale, non per questo rinunciando a credere alle mie convinzioni nel mio intimo.
Ma oltre alla disputa sofistica, mi sottraggo con se possibile maggior determinazione allo scontro fisico. Non ricordo di aver mai detto: “Ci vediamo dopo la scuola“, e se l’ho fatto era solo per scambiare le figurine, nè ho mai raccolto simili minacciosi inviti (se non sempre per le figurine).
Fossi vissuto qualche secolo fa, sarei stato senz’altro tacciato di fellonia, perdendo anche l’ultimo briciolo d’onore.
C’è stato infatti un tempo – e forse da qualche parte è tutt’ora così – che le liti si risolvevano con il duello. Non giustizia privata (sicuramente non giustizia “pubblica”), ma espressione più sincera della legge del più forte, che come noto stabilisce incontrovertibilmente da che parte sta la ragione. Già nell’alto medioevo, la pratica del duello era stata oggetto di ripensamento e invisa ai principi, ma nonostante innumerevoli editti, leggi, bolle, decreti, l’uomo non ha mai smesso di lanciarsi guanti di sfida.
E a sfidarsi a singolar tenzone erano principalmente gli aristocratici, che facevano della pratica del duello lo strumento con cui difendere il proprio onore, magari perché messo in dubbio da qualche pubblica offesa, o insinuazione sentimentale, che non potevano che essere lavate con la sfida alla spada, al roncone o alla pistola. La riparazione dell’onore doveva poi avvenire naturalmente davanti a testimoni e a giuristi che verificassero che le regole del duello fossero rispettate (gli avvocati riescono sempre a inventarsi un ruolo utile anche quando non si passa dal Tribunale..). Ciascun duellante era poi accompagnato da un padrino, naturalmente anch’esso altolocato (Marchesi, Conti, Baroni e quant’altro).
La storia è piena di duelli celebri combattuti da personaggi famosi, tra cui anche scrittori, poeti o importanti uomini politici, ovviamente non sempre aristocratici. Ad esempio Voltaire era stato rinchiuso nella Bastiglia per aver avuto l’ardire di sfidare un nobiluomo. Lo scrittore russo Puškin morì proprio in un duello, ferito a morte dall’amante di sua moglie. Migliori risultati ottenne invece Tolstoj che vinse tutti gli scontri cui aveva partecipato. Il matematico Galois morì a vent’anni per le ferite allo stomaco riportate in un duello (e pare fosse tanto sicuro di morire che passò la notte prima a lavorare per finire la sua dimostrazione alla soluzione del problema sulla risolubilità delle equazioni). Altro duellante provetto pare fosse Mussolini.
In Italia tra fine ‘800 e inizio ‘900 le sentenze che si occupano del reato di duello sono molto numerose, tutte molto buffe lette oggi a distanza di anni. Le cerimonie, i preparativi, i nomi pomposi dei padrini, per non parlare dei futili motivi alla base delle contese.
Per fortuna quasi mai queste sfide finivano col morto, ma si interrompevano prima, a volte con un ferimento, altre volte con un vero e proprio nulla di fatto, proprio come accadde nella storia oggetto della odierna Massima dal Passato.
Era accaduto a Livorno che un avvocato (sempre loro!) e il direttore di un quotidiano (nemmeno questi scherzano..) si erano ripetutamente insultati con editoriali pubblicati sulla stampa locale. Per dirimere la controversia, i due decisero di sfidarsi alla pistola. Tuttavia, non so se per scelta, per errore tecnico, per la tensione o per la più classica delle ansie da prestazione, messi l’uno davanti all’altro, con i padrini e tutto lo stuolo dei testimoni, i due non spararono. O meglio, uno riuscì a sparare un colpo al terzo tentativo, l’altro mai nemmeno una volta.
Da qui il problema giuridico: si trattava di un vero e proprio duello, punibile come tale? La risposta nella sentenza.
Informazione di servizio: per chi non lo sapesse il duello non è più reato in Italia dal 1999. Volendo possiamo vederci dopo la scuola, metterci l’uno davanti all’altro (io nomino padrino sin d’ora Mike Tyson) e spianare le pistole. L’unica regola è.. non sparare.
In alternativa propongo sfida a FIFA.
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