Nella campagna toscana uno spaventapasseri sul confine del fondo del vicino rovina il gusto della caccia ai proprietari di fianco, che lo trascinano in tribunale per atti emulativi: una storia farsesca ed esemplare di “vicini-assassini” che deliziò Piero Calamandrei.
C’erano una volta tre fondi contigui adibiti alla caccia e un vicino dispettoso che spaventava gli uccelli. No, non è l’inizio di una barzelletta ma di una controversia finita nel 1923 in tribunale e che Piero Calamandrei, commentando la sentenza su Il Foro Italiano, scrisse che “merita d’esser tramandata alla storia e conservata come campione nei musei scolastici delle facoltà di giurisprudenza“.
Obbedendo a Calamandrei (come potremmo non farlo), ecco che siamo qui, a quasi cento anni esatti di distanza, a tramandarla alla storia.
Partiamo dal principio: ci troviamo nella campagna toscana, nella zona di Piano dei Pratacci, e il signor Goti, protagonista della nostra vicenda, è il proprietario di un fondo che confina con quello del signor Farsetti e quello del signor Zanobi. I fondi dei vicini sono adibiti semplicemente a prati ma sono idonei alla caccia e a un certo punto il suono dei colpi di fucile di Farsetti e Zanobi aizzò il nostro Goti alla vendetta.
Era invidioso dei loro bottini? Era un animalista militante? C’erano antichi dissapori mai dimenticati? I motivi per cui si attacca briga con i vicini possono essere infiniti e, non avendo alcun indizio su quale fosse quello che muoveva il signor Goti, noi arbitrariamente scegliamo questo: che egli era un piantagrane nato, col gusto imperterrito per i dispetti, e gli piaceva sogghignare beffardo alle spalle dei compari.
Così, ecco cosa inventò per guastare il divertimento dei due: sul proprio terreno, ma proprio in prossimità del confine, alzò un’impalcatura fatta di paloni. A sorvegliare tale grottesca struttura pose uno zelante spauracchio vestito di cenci.
Il potere dello spaventapasseri era inesorabile: gli uccelli non osavano avvicinarsi non solo al terreno del Goti, ma stavano alla larga pure da quelli del Farsetti e dello Zanobi. I quali non risero dello scherzo e trascinarono il vicino dispettoso in tribunale per atti emulativi.
La Corte d’appello di Firenze, nell’udienza del 24 novembre 1923, fu chiamata a decidere se l’azione del Goti fosse stata svolta con animus nocendi nei confronti dei vicini, andando intenzionalmente a violare del diritto altrui di caccia.
Di fatto, la Corte prese atto che il voluto sventolamento dei cenci posti in cima ai pali allontanava gli uccelli dalla tesa degli appellati, eppure entrava in gioco il diritto del Goti di disporre della propria proprietà come meglio credeva, tra cui appunto innalzare palizzate che, a suo dire, servivano da separé di confine con i fondi altrui.
Per i vicini, la scusa del separé cencioso non si poteva sentire: loro sostenevano che le impalcature non avevano altro scopo che danneggiare la loro caccia e perciò Goti doveva essere punito esattamente come lo sarebbe stato “chi, ad esempio, rimanendo per delle ore lungo una pubblica via fiancheggiante un prato dove si esercita la caccia si fosse per suo divertimento o per malvagio animo compiaciuto di agitare di là delle bandiere non appena si vedessero avvicinare i branchi degli uccelli allo scopo di farli fuggire“.
Infatti, lamentavano che per colpa di quelle palizzate avevano sofferto una diminuzione della cacciagione presso i propri fondi nei mesi successivi alla costruzione, tra ottobre, novembre e dicembre 1922.
Anzi, secondo loro il Goti aveva voluto trarre pure un beneficio dallo spauracchio, che doveva deviare gli uccelli dai loro terreni per portarli sul suo!
Ma lasciandosi sfuggire questa insinuazione ecco che cadevano in contraddizione: se lo spauracchio aveva un’utilità per il Goti, allora non era lì con il solo scopo di danneggiare i vicini! Lo accusavano di atti di emulazione oppure no?
Per accertare le intenzioni del signor Goti venne dunque nominato un perito, incaricato di stabilire la precisa ubicazione dei fondi di Farsetti, Zanobi e Goti, con la loro estensione e coi i loro confini. Tracciare quindi quali opere “per la caccia e per l’uccellazione esistano in questi od in quelli“; determinare le rispettive distanze di tali strutture e individuare le località precise in cui i tre vicini esercitavano la caccia nell’ottobre, novembre e dicembre 1922 e a quale distanza dai fondi Goti.
Soprattutto, il perito avrebbe dovuto capire quale scopo potessero avere tali strutture, ossia se effettivamente servissero per deviare gli uccelli dai terreni di caccia dei Farsetti e litisconsorti. E solo così giustizia sarebbe fatta.
Ma ritorniamo all’inizio: perché secondo Calamandrei questa vicenda qui era tanto speciale? Per lo stesso motivo per cui lo sono tutte le storie che raccontiamo su Massime dal Passato: per l’elemento umano che si annida sotto quello giuridico, con tutti i drammi, le farse, i dettagli comici della vita. Non potremmo dirlo meglio di lui:
Per chi nelle controversie riassunte sui repertori ami investigare, al disotto del problema giuridico, il documento umano, e cogliere, tra le schermaglie dell’ermeneutica, la vicenda di un dramma o, più spesso, di una farsa vissuta, nessuna categoria di liti appare più interessante e più adatta alle indagini psicologiche di quelle che traggono occasione dai rapporti di vicinato.
In nessun altro campo giudiziario, infatti, come in quello in cui si sfogano le risse tra buoni vicini, è possibile cogliere i «il riflesso della vita reale colle sue comiche malignità e colle sue giornaliere ironie, e imbattersi in pittoreschi dettagli, che sembrano fatti apposta per illuminar con uno sprazzo di riso la grave opera del giurista».
Se si volesse fare una rassegna di tutto quanto è stato scritto sui rapporti di vicinato e gli atti emulativi, ne verrebbe fuori una collezione esilarante. Noi infatti ci siamo divertiti spesso a raccontarvi storie del genere, per esempio in questa Massima Come panni stesi al sole (1927), per non parlare di questo libro Il condominio sul mare (ovvero di come nasce una dittatura).
Calamandrei ci offre qualche altro esempio: il vicino che si diletta a far fumo in casa sua per affumicare quelli di sopra, l’indiscreto galante che costruisce una torre sul suo fondo per spiare la moglie e le figlie del vicino, o – peggio! – le monache del convento a fianco… E che dire, poi, di colui che all’imbrunire si mette a passeggiare in abito da fantasma sul suo confine per terrorizzare i bambini che giocano nel giardino dall’altro lato?
Insomma, “una saporosa serie di quadretti di ambiente, ciascuno dei quali sotto le più disparate avventure sembra voler confermare l’amara esperienza che il pessimismo popolare ha racchiuso nel motto: vicini-assassini“.
Però la raffinata pervicacia dei molestatori, che così spesso cade nella farsa, non suscita anche a voi tutta la vostra simpatia?
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