Gli animi sensibili possono allontanarsi!
Siamo ad inizio Cinquecento. Il conte Sebastiano di Montecuccoli, di antico casato modenese, era segretario ma soprattutto coppiere (dettaglio fondamentale in questa storia) del delfino Francesco di Valois, erede al trono di Francesco I (1494-1547).
Il 2 Agosto 1536 Sebastiano portò, nella sua funzione di coppiere, un bicchiere d’acqua al suo Signore, assetato da una intensa partita di pallacorda: questi, dopo averlo bevuto, stramazzò al suolo, per morire poi il 10 Agosto.
Una autopsia concluse che il Delfino fosse morto per cause naturali. Probabilmente di tubercolosi. Infatti il giovane, che aveva solo 18 anni, non si era mai ripreso nella salute dalla giovinezza passata in prigionia come ostaggio presso Carlo V a Madrid.
Tuttavia, subito si sollevarono vari sospetti. Alcuni pensavano che il fratello minore del Delfino, Enrico, e la moglie di Enrico, Caterina de’ Medici, potessero essere dietro la morte improvvisa, dal momento che lei aveva tratto i maggiori benefici da essa. Dopo la morte del Delfino Francesco, Enrico e Caterina divennero infatti automaticamente il nuovo Delfino e Delfina, i primi in fila per diventare Re e Regina di Francia. Altri pensavano, invece, che potesse essere coinvolto lo stesso Carlo V. Un libro sulla tossicologia venne trovato in possesso di Montecuccoli, il quale in precedenza era stato al servizio di Carlo V, ma si era trasferito in Francia al seguito di Caterina. Sotto tortura Montecuccoli confessò di aver tentato di avvelenare re Francesco e il Delfino per conto dell’Imperatore. Fuori dalla tortura non confermò la sua confessione, ma nonostante il diritto lo impedisse, venne ugualmente stato giustiziato per écartèlement, ossia squartamento.
Lo squartamento consisteva nel far tirare da quattro cavalli, in senso opposto, le singole braccia e i piedi del colpevole finché si fossero staccati dal tronco, ed era pena specifica per i rei di regicidio.
L’accademico e storico lionese Félix Desvernay, in un numero del giornale cittadino Le Progrès (fondato nel 1859 e tutt’ora esistente) pubblicò nel 1908, nel suo originale francese qui tradotta, la sentenza di condanna del tribunale del Gran Consiglio, convocato straordinariamente a Lione, che è del seguente tenore:
“Visti dal consiglio il processo penale contro il conte Sebastiano di Montecuccoli, interrogatori, confessioni, prove, confronti, certi libri sull’uso dei veleni scritti dalla mano di suddetto Sebastiano, visite, relazioni e opinioni dei medici, chirurghi, barbieri e speziali, conclusioni del procuratore generale del re, tutto questo considerato, si dirà che il conte Sebastiano di Montecuccoli è accusato e ha confessato di aver avvelenato il compianto François, delfino del Viennois, duca proprietario di Bretagna, figlio maggiore del re, con polvere di arsenico da lui sublimata e messa in un vaso di terra rossa nella Maison du Plat a Lione; confessando inoltre di essere venuto in Francia con lo scopo espresso e deliberato di avvelenare il Re ed essere messo in condizione di farlo. Per la riparazione di suddetti casi e crimini il Consiglio lo ha condannato e lo condanna a essere trascinato su un graticcio dalle prigioni di Roanne fino alla chiesa di San Giovanni. Indossando una camicia, testa e piedi nudi, e tenendo tra le mani una torcia accesa renderà lode a Dio, al Re e alla Giustizia e da lì sarà trascinato su un graticcio fino alla Grenette, nel qual luogo, in sua presenza, i veleni di arsenico che sono stati sequestrati verranno bruciati con il vaso rosso dove ha messo il veleno; fatto questo verrà poi tirato e smembrato da quattro cavalli, e le quattro parti appese alle quatto porte di Lione e la testa conficcata su una lancia posta sul ponte del Rodano…”
Vi aggiunge inoltre il resoconto delle scene atroci che seguirono il supplizio, da lui ritrovato in una stampa rarissima del 1537:
“Il corpo di Sebastiano, dopo essere stato giustiziato secondo la suddetta condanna, non senza tormenti dolorosi e miserabili, venne lasciato su un piccolo patibolo per due giorni, dove il popolo (qui possiamo capire la riverenza e l’amore che i francesi hanno per i loro Principi e che grande dolore provano se questi vengono offesi) quasi lo ridussero a pezzetti, anche i bambini non gli lasciarono nemmeno un pelo della barba affinché tutto venisse strappato, tagliarono il collo e tirarono gli occhi fuori dalla testa, e con grandi pietre gli ruppero i denti e la mascella, in modo che fosse così sfigurato che a malapena si potessa riconoscerlo, e (cosa che non avviene mai per l’esecuzione di qualche miserabile malfattore) non si trovò in tutto il popolo francese, nemmeno tra gli stranieri, qualcuno che ne provasse compassione o dolore, tutti insieme lo maledissero in mille modi e maledizioni… In breve, fecero così tante ignominie e cattiverie che giocarono a palla con la sua testa, fino a trascinarla nel fango. E se il fetore della sua miserabile e maledetta carogna non avesse fatto rinunciare le persone, esse starebbero ancora escogitando mille tormenti per farlo morire altre mille volte dopo la sua morte.”
Carlo V mosse una protesta ufficiale alle accuse mosse a lui e al suo governo, ma ormai i giochi erano stati fatti.
L’ultima esecuzione in Francia portata avanta col metodo dello smembramento fu quella di Robert-François Damiens del 28 Marzo 1757, che divenne un simbolo fra gli illuministi circa la barbarie del sistema giudiziario.
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