Bestemmia, s.f.
Anche la Pasqua, quando arriva, arriva: la festa che unisce e divide tra polemiche di classe e morali ogni anno ritorna sui nostri calendari presentandosi in date apparentemente randomiche.
È risaputo come, dietro al computus paschalis, ci sia una storia affascinante e risalente al meno al I secolo d.C. e costellato di metodologie spesso diverse tra loro per ciascuna chiesa delle origini del Cristianesimo (e non solo).
L’obiettivo non è comunque infilarci nel ginepraio dottrinale della diatriba che vide coinvolti sia gli ebrei che le prime chiese cristiane, e ci limitiamo a ricordare che la Pasqua cristiana cade la domenica successiva alla prima luna piena che segue l’Equinozio di Primavera. Compresi i casi in qui la luna piena coincida proprio con l’Equinozio.
Per i più ferrati, ecco un semplice diagramma di flusso da tenere a portata di mano ogni qualvolta che risuoni intorno a noi la domanda: ma Pasqua, quand’è?
Pensando alla Pasqua, è inevitabile collegarci a uno dei processi più famosi della storia, quello a Gesù di Nazareth.
A seguito dell’Ultima Cena, celebrata con gli Apostoli, le fonti evangeliche narrano dell’arresto di Gesù nell’orto del Getsemani, venduto proprio da Giuda Iscariota.
Gli interrogatori effettuati dalle autorità ebraiche lo accuseranno di “bestemmia” per essersi equiparato a Dio – o meglio, per aver dichiarato di “sedere alla destra del Padre”, sinonimo di potenza sopra le cose terrene e non solo:
Il Sommo Sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. “Tu l’hai detto”, gli rispose Gesù, “anzi Io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza, e venire sulle nubi del cielo”. Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: “Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?”. E quelli risposero: “È reo di morte!”. (Mt 26,63-66).
Mentre la condanna capitale imposta dal Diritto Romano, rappresentato dal Governatore Pilato, vedrà esprimere invece il reato di lesa maestà, in quanto quello di “bestemmia” non era contemplato dal diritto romano vigente; durante lo stesso interrogatorio con l’autorità romana, infatti, a Gesù sarà chiesto:
Tu sei il Re dei Giudei? (Mt 27,11)
Conducendo infine all’epilogo che ben conosciamo, con la condanna a morte tramite crocifissione per sedare le rivolte del popolo. (Per approfondire: Il “paradosso” di Pilato: condannare un innocente per assolvere sé stesso).
Dunque, il tutto partì da una condanna per bestemmia. Parola che oggi rende orgogliose alcune regioni italiane che se ne contendono il primato, e che resta tema di rilievo per i garanti del buon costume. Tonacati, togati e non.
Ma da dove deriva questo termine?
Bestemmia deriva dal tardo latino BLASPHĒMIA, che troverebbe forse riscontro in un volgare *blastemia, a loro volta di derivazione greca, da βλασϕημία, con significato di “discorso ingiurioso, vituperio”.
Il termine greco è la combinazione di due verbi: βλάπτειν, “ingiuriare” e φήμη o φάμα, “parlare”.
Quindi letteralmente, la bestemmia è il “parlare ingiuriando”, offendere quindi, una verità religiosa riconosciuta dagli individui di uno stato.
La Bestemmia contro l’Eterno era, tuttavia, compresa tra le Cinque gravi violazioni del Patto con Dio della legge Mosaica, per le quali era prevista la condanna a morte.
Se nel Diritto Romano più antico, la bestemmia era lasciata alla giustizia divina e non a quella terrena (s.v. il brocardo Deorum iniuriae diis curae), con la promozione del Cristianesimo a religione dell’Impero, con l’Editto di Tessalonica del 380 d.C., questo atto venne compreso tra i delitti più gravi, che prevedevano pene estremamente severe, fino alla condanna a morte. E il perché ce lo dice la letteratura stessa:
Se infatti le maledizioni contro gli uomini non restano impunite, tanto più colui che bestemmia Dio è degno della pena capitale. Perciò ordiniamo a tutti di evitare i suddetti crimini, di sentire nel cuore il timore di Dio, e di seguire coloro che vivono rettamente. È infatti a causa di tali delitti che avvengono carestie, terremoti e pestilenze.
Nei secoli che seguirono, ogni sovrano ed ogni regno adattarono la propria visione specifica nella condanna – o meno – di questa attività, pene che comunque, nel tempo, andavano mitigandosi rispetto a quella capitale. Si poteva essere mutilati, flagellati, tosati, scomunicati, deposti (in caso di chierici), marchiati a fuoco e così via.
Gregorio IX con il suo De maledicis, pose un punto di riferimento nella lotta contro la bestemmia con una condanna più pittoresca: il bestemmiatore doveva sostare per sette domeniche alle porte della chiesa della propria città durante la celebrazione della messa, elargendo beni ai poveri in base alle proprie capacità economiche.
L’ultima di queste sette domeniche egli doveva presentarsi scalzo e senza mantello, provvisto di una cinghia di cuoio appesa al collo. Al tutto si univa la pena pecuniaria, ovviamente, riscossa direttamente dall’autorità comunale di riferimento.
Nel corso del 1500 si ebbero poi ulteriori sviluppi con l’entrata in scenda degli Esecutori contro la bestemmia nella fiorente Repubblica Veneziana, dove il Consiglio dei X stabilì pene severissime per chi veniva colto in atto di blasfemia. Incredibile eh?
Si poteva essere anche banditi dalla città, come capitava per sodomia e prostituzione. Bisognava insomma ripulire la reputazione Veneziana agli occhi di Dio, per beneficiare del suo appoggio nelle battaglie contro i turchi.
Data la scarsa efficacia delle restrizioni attuate (pensiamo al detto “bestemmiare come un turco”, valido ancora tutt’oggi, e che trae ispirazione anche da queste ottomane vicende), nel 1537 la nuova magistratura patrizia inasprì le pene,forte anche di una giustizia più celere e snella, che garantiva carcere, bando perpetuo o condanna alla berlina per i condannati.
E oggi? Nel nostro Codice Penale, si parla di vilipendio della Religione di Stato e l’offesa alla fede religiosa (artt. 402-405 c.p.) e di bestemmia (art. 724 c.p.) in modo distinto e con punizioni differenti: carcere per la prima, ammenda per la seconda.
Nel 1999 tuttavia, abrogato l’art. 724, la bestemmia è stata spostata dal piano penale a quello amministrativo, mantenendo la sua rilevanza e comportando comunque alcune ammendevoli conseguenze, qualora l’oggetto di attenzione del bestemmiatore sia rivolto a un culto ammesso dallo Stato.
Bibliografia
blasphemia in Charlton T. Lewis and Charles Short, A Latin Dictionary, Oxford, Clarendon Press, 1879.
Blasphemare (par C. du Cange, 1678), dans du Cange, et al., Glossarium mediae et infimae latinitatis, éd. augm., Niort : L. Favre, 1883‑1887, t. 1, col. 676c. http://ducange.enc.sorbonne.fr/BLASPHEMARE.
Lewis Ayres, Nicaea and Its Legacy. An Approach to Fourth-Century Trinitarian Theology, New Yor, Oxford University Press, 2004.
Bestemmia, in TLIO, Tesoro della Lingua Italiana delle Origini.
Moscati, Sabatino, Antichi imperi d’Oriente, Milano, Il Saggiatore, 1963.
C. Merluzzi, La punibilità della bestemmia e delle altre offese al culto, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 2.
Link di riferimento
Pianigiani, Ottorino, dizionario etimologico online su etimo.it.
bestemmia in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
Rudy d’Alembert, Alice Riddle e Piotr Rezierovic Silverbrahms, Quando cade Pasqua quest’anno?, su Le Scienze Blog, 4 aprile 2010 (link diretto).
Image credits: Prayer Book of Cardinal Albrecht of Brandenburg, Simon Bening (https://artsandculture.google.com/asset/prayer-book-of-cardinal-albrecht-of-brandenburg-simon-bening/AQFXSI2eF0aoXQ)
Milano, 1988. UX Designer e Project manager, dottoressa in Filologia Moderna. Appassionata di vino, cose vecchie e storia della lingua.