In un Regno d’Italia ancora politicamente fragile, Giolitti propone che i dipendenti pubblici siano politicamente affini al governo, ma Turati e la Sinistra si oppongono. Ne segue un acceso scambio di battute.
Figura politica chiave – eppure contestatissima – del Regno d’Italia, Giovanni Giolitti aveva manifestato sin dall’esordio della carriera di deputato (correva l’anno 1883) la necessità di difendere a tutti i costi gli interessi dello Stato contro le ingerenze di partiti e altri potenti attori. Perciò, maestro nell’arte del trasformismo politico, s’impegnò costantemente nella creazione di governi – pur assai precoci nella scomparsa – di stampo centrista, isolando gli estremismi di destra e di sinistra.
Non solo: egli riteneva che al di là dei politici, ogni figura professionale che contribuisse al funzionamento della macchina statale dovesse avere spirito (e propensione elettorale) affine a quella al comando.
Gli impiegati, prestando giuramento di fedeltà al Re, non possono essere tollerati quando sono spergiuri, perché nessuno Stato può permettere a chi è investito di poteri pubblici di ribellarsi alla volontà nazionale.

Così il 17 giugno 1908, in un discorso alla Camera sullo stato giuridico degli impiegati statali, l’allora premier sostiene l’incompatibilità fra il ruolo di funzionari pubblici e un impegno culturale e politico di opposizione al governo, per esempio per mezzo dell’attività giornalistica.
La proposta di Giolitti era dunque di allontanare dalle funzioni pubbliche coloro che avessero mostrato una linea politica contraria a quella dell’esecutivo, in pieno spirito liberale e moderato che caratterizzava l’allora terzo governo Giolitti. La proposta, ovviamente, sollevò le critiche di molti esponenti politici, tra cui l’on. Salvatore Barzilai, tra i primi esponenti del Partito Repubblicano e in precedenza membro della sinistra radicale, e l’on. Filippo Turati, tra i massimi del Partito Socialista italiano. Essi ritenevano che la linea di Giolitti fosse troppo dura e che avrebbe penalizzato lo Stato, privandolo di efficienti impiegati, e i diritti dei cittadini stessi.
Prima di Giolitti, la questione era stata già ampiamente discussa e ben 11 disegni di legge avevano provato a regolare l’accesso alle funzioni pubbliche dei cittadini.
Il 18 giugno del 1908 i principali quotidiani nazionali riportavano e commentavano la notizia. Sulle righe de La Stampa, si legge che Giolitti:
Nega che il disegno di legge restringa in qualunque modo i diritti dei cittadini, mentre non fa che disciplinare i doveri degli impiegati (…).
Tra le disposizioni del disegno di legge, vi era una che proibiva ai dipendenti statali manifestazioni collettive (i tanto temuti scioperi) contro i superiori.
Aspro fu in proposito lo scambio di battute tra Turati e Giolitti:
«Il Governo ha creduto opportuno proibire i Comizi nei quali si doveva discutere pubblicamente la legge sugli impiegati » accusa Turati, e Giolitti, sorridendo : «Per non mettere i loro deputati di Estrema Sinistra in cattiva vista» (Ilarità)
Turati : « Può darsi che sia cosi, -infatti! Da molte parti si dice che ella sia un compare dell’Estrema. Ad ogni modo, faccio osservare che i comizi furono tenuti in forma privata ed gli agenti, con criteri molto discutibili, prendevano nota degli intervenuti. Queste miserabili artine inquisitoriali, parevano abolite dalla vita politica italiana! ».
« Veramente il Governo ha trovato un pretesto per la proibizione dei comizi, vale a dire la necessità di mantenere l’ordine pubblico ; ma non so che cosa c’entri l’ordine pubblico colle discussioni degli impiegati ».
Giolitti, interrompendo: «Invero è anche l’ordine pubblico mantenere il decoro degli impiegati ».
Una proposta, quella del premier, certo dispotica agli occhi di noi contemporanei, ma che si può comprendere se si pensa al delicato equilibrio politico del tempo, in una Penisola che unita non era e in cui serpeggiavano numerosi centri del potere extra-statale.
Eppure, se oggi tale proposta venisse sollevata, i dipendenti pubblici non avrebbero poi molto di che preoccuparsi: con un governo dalle molte casate politiche, l’inclusione sarebbe più che assicurata, non trovate?
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