Concepimento, s.m.
Ci sono tanti tipi di partenze, di inizi. Una di queste però, potremmo definirla la partenza per eccellenza. Quella che ci accomuna tutti, a prescindere dalla specie, ed è quella di cui parliamo oggi.
Di partenze ne abbiamo vissute molte ormai anche in questa rubrica, e quella di oggi ci vede in compagnia di un poeta quasi “dimenticato” del nostro ‘900. Con lui ci lanciamo in un viaggio onirico, per incontrare la parola oggetto della nostra analisi.
Ogni notte, nel sonno, mi riporti,
Anima originaria, a quel momento
sublime, in cui dal regno dei tuoi morti
io discesi nel mio concepimento.
Il concepimento. Il regressus ad originem narrato da Arturo Onofri in questo sonetto del 1930, dove tra i versi si compie un percorso notturno, dove creazione e voce poetica si fondono nel sonno e nel sogno, alla ricerca dell’”alpha” e del momento primo, ancor prima della fanciullezza.
Ma da dove deriva questo termine?
Concepimento deriva dal verbo concepire, discendente dal latino CONCIPERE, presente infinitivo attivo di CONCIPIO, “ricevere, contenere, raccogliere”. I più latineggianti avranno facilmente intuito la natura composta del verbo, formato dalla particella CON-, indicante unione di due o più elementi e completezza, e CAPIO, “ricevere, prendere, avere”.
Ancora una volta, se scaviamo più a fondo, ritroviamo la radice Proto Indo Europea *keh₂p-, “prendere, afferrare”. È la base di termini come capacità, caccia, aventi sempre il significato recondito di abbrancare qualcosa.
Dunque, concepire significa letteralmente “prendere in sé”, indicando quindi l’atto stesso del concepimento di una nuova vita; ma anche di un’idea, di un pensiero, una scintilla che ci riempie l’animo e lo spirito – buona o cattiva che sia.
Storicamente, il concepimento più celebre è senz’altro quello verginale di Gesù, ma non è l’unico e nemmeno il più importante in assoluto: con la Bolla Ineffabilis Deus Papa Pio IX sancì l’8 dicembre 1854 la natura dogmatica della concezione senza macchia della stessa Vergine, immune dal Peccato Originale sin dal primo istante dell’esistenza:
Dio ineffabile, le vie del quale sono la misericordia e la verità; Dio, la cui volontà è onnipotente e la cui sapienza abbraccia con forza il primo e l’ultimo confine dell’universo e regge ogni cosa con dolcezza, previde fin da tutta l’eternità la tristissima rovina dell’intero genere umano, che sarebbe derivata dal peccato di Adamo. Avendo quindi deciso, in un disegno misterioso nascosto dai secoli, di portare a compimento l’opera primitiva della sua bontà, con un mistero ancora più profondo – l’incarnazione del Verbo – affinché l’uomo (indotto al peccato dalla perfida malizia del diavolo) non andasse perduto, in contrasto con il suo proposito d’amore, e affinché venisse recuperato felicemente ciò che sarebbe caduto con il primo Adamo, fin dall’inizio e prima dei secoli scelse e dispose che al Figlio suo Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne, sarebbe nato nella felice pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di tanto amore, preferendola a tutte le creature, da compiacersi in Lei sola con un atto di esclusiva benevolenza. Per questo, attingendo dal tesoro della divinità, la ricolmò – assai più di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi – dell’abbondanza di tutti i doni celesti in modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di innocenza e di santità da non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e che nessuno, all’infuori di Dio, può abbracciare con la propria mente.
Ma se guardiamo all’epica troviamo innumerevoli esempi di storie sul concepimento di dèi ed eroi nei vari Pantheon delle diverse culture, occidentali come orientali.
Al di là dei reportage su concepimenti miracolosi, tra coiti involontari con rocce, palle di piume cadute dal cielo e raggi di luce sul grembo della madre, ci sono passi che oggi riterremmo ilari, ma che ci riportano a credenze e convinzioni ancora in auge nella prima metà del 1900, anche nel nostro paese.
Un esempio decisamente singolare ci viene offerto da uno dei racconti della mitologia antico-irlandese, che riporta le gesta prodigiose di un re destinato a grandi atti, Nial Frossach, riconosciuto come tra i più validi condottieri e giudici di tutta l’Isola di Smeraldo per il suo tempo.
La condotta dei re delle tribù irlandesi nell’alto medioevo era fondamentale per il benessere e la prosperità del proprio popolo; non solo: il re incarnava anche il senso stesso della giustizia e delle leggi per le proprie terre. Un cattivo re era anche un cattivo giudice, binomio che non avrebbe potuto portare a nulla di buono.
Torniamo però a Niall.
Uno dei racconti più interessanti e famosi della sua condotta come re giusto ed esemplare, è contenuto nelle prime righe della sua “biografia”, Scéla Neill Ḟrossaig:
BUI rí fírén forglide fíal fossad flaithemda i n-ardrígi for Herind .i. Niall Frossach mac Fergaile. Ba maith Heriu fria remis. Boí mess 7 class 7 íth 7 blicht fria lind 7 boí cach óen fora duthaig oca.
C’era un buono, fermo, giusto e generoso re principesco che regnava sopra l’Irlanda, Niall Frassach, figlio di Fergal. L’Irlanda era prosperosa durante il suo regno. C’era produzione di legname e di terra, di grano e di latte al suo tempo, e aveva tutti sistemati sulle proprie terre.
Niall un giorno venne sfidato da una donna che gli chiese di rispondere ad una domanda che poteva essere superata da un re giusto ed affidabile; la donna teneva in braccio un bambino:
Ar do rígi 7 ar do flaithemnas or si finta damsa tria firinni flatha cóich athair collaide in meicsea ar ni fetarsa fessin. Ár thongimse féin fót firinni flathasu 7 fón ríg follomnaiges ind uli dúil nach fetar cin o ferscal fri hilbliadna innassa
“In virtù della vostra regalità e in virtù della vostra sovranità”, disse, “rivelate per me per mezzo della verità del sovrano chi è il padre biologico di questo ragazzo, perché io stessa non lo so. Perché io stessa giuro sulla verità del tuo sovrano e dal Re che governa tutto quanto, che non ho incontrato il peccato con un uomo ormai da molti anni”
Oggi saremmo andati lisci verso un bel test di paternità, ma la risposta di Niall fu decisamente sorprendente:
Tochtais in rí andside. In dernais lanamnas rebartha ri mnaí aile for se. 7 na ceil or se ma dorónais. Ni chel or si. Doringnius. Is fír ar in rí ra chomraic in bensin ri fer in n-uair remi. 7 in chompert ro facaibside accisi rolásaide. rolaside triasin comsuathad it maclocsu. Coro chompert it broindsiu. Is é in fersin athair do meicsiu. 7 fintar cía eside.
Il re rimase in silenzio allora. “Hai avuto un accoppiamento giocondo con un’altra donna?”, disse, “e non nasconderlo se lo avete avuto.” “Non lo nasconderò”, disse lei “l’ho fatto”. “È vero”, disse il re. “Quella donna si era accoppiata con un uomo poco prima, e lo sperma che ha lasciato con lei, l’ha messo nel tuo grembo nella caduta, in modo che fosse generato nel tuo grembo. Quell’uomo è padre di tuo figlio, e lascia quindi che sia scoperto chi egli sia”.
Meglio di una puntata di C.S.I. Miami.
Guardando a territori più vicini, il concepimento era fondamentale anche per il diritto romano, che lo intese come oggetto giuridico almeno dal I secolo d. C., basti pensare alla massima:
Nasciturus pro iam nato habetur, quotiens de commodis eius agitur.
Importante soprattutto ai fini dei diritti dell’individio in termini ereditari, mentre sulla rilevanza della stessa per l’identità giuridica del concepito, le fonti sono contraddittorie; vediamo contrapposte due visioni (drammaticamente attuali): in rerum natura non esse / in rebus humanis non esse, senza individualità ma parte del corpo della gestante, e in rerum natura esse / in rebus humanis esse, la cui esistenza è autonoma, individuale, a prescindere alla figura della madre.
La necessità di tutelare il bambino fin da prima della nascita comunque prese il via, in un dibattito durato sino ai nostri giorni e che ha dato luogo man mano alla definizione delle differenze tra “embrione” e “concepito”: il primo quale oggetto del trattamento sanitario post-fecondazione, il secondo il soggetto stesso di tutela da parte del diritto, da prima della nascita.
Ma per chiudere il giro con un sorriso, e dato che abbiamo già chiamato in causa il Celestiale in diverse forme e tradizioni, chiudiamo con il Divino che apparve a Fantozzi (Superfantozzi, 1986), con uno dei comandamenti più iconici e, per certi versi, condivisibili in base al destinatario cui sono affidati:
Andate, e moltiplicatevi il meno possibile.
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Bibliografia
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