In tempi di inflazione e aumento del caro vita, vi raccontiamo della tassa sul macinato che tolse il pane ai meno abbienti e causò molte rivolte nel neonato Regno d’Italia.
Il neo-nato Regno d’Italia fu nei suoi primi cinquant’anni un’istituzione politica fragile e una potenza economica esigua. Le casse dello Stato erano vuote e le spese militari ancora elevate – bisognava difendersi sia dagli austriaci che dal papa (qui un curioso caso sui nobili)! Così, il 7 luglio 1868 venne istituita la tassa sul macinato, entrata in vigore il 1° gennaio 1869. Si tratta di un’imposta che voleva trarre vantaggio dal settore trainante del Paese – quello agricolo, e che tassava la quantità di cereali macinata dai singoli mulini.
In un’Italia ancora fortemente arretrata dal punto di vista urbano, tranviario ed edilizio, al fine di calcolare l’importo dovuto venne inventato un contatore meccanico, collegato alla ruota dei singoli mulini, che registrava quanti giri la pietra faceva per macinare il raccolto. Il mugnaio a quel punto era tenuto a pagare il corrispettivo importo, alzando però i prezzi di farinacei e dunque di pane. Alla fine del 1869 furono istallati centottantasei contatori su altrettanti mulini, nel 1870 trentamila e nel 1871 cinquantaduemila.
La misura della tassa variava a seconda del tipo di cereale, ed era commisurata a ogni quintale macinato. Ad esempio, la tassa sull’avena era di una lira e venti centesimi per ogni quintali macinato, quella sul grano di ben due lire a quintale.
La popolazione, sdegnata, insorse. Fu un’estate rovente quella del 1868: la ricordiamo per i moti contadini del macinato. Il generale Cadorna ricevette pieni poteri per riportare l’ordine, e non mancarono di fatto gravi scontri dell’esercito con la popolazione.
Tra gli episodi di rilievo, si segnano i tumulti di gennaio 1869 nel bolognese: i villici avanzarono una sorta di guerra delle campane, al punto che lo stesso Cadorna fa rimuovere i batacchi delle campane. Trattandosi poi l’Emilia di un territorio storicamente controllato dal dominio papale, c’era poi chi urlava:
abbasso il macinato, abbasso il re, viva Pio IX!
Tra i personaggi celebri che parteciparono alle rivolte del macinato anche Agostino Cervi, nonno dei fratelli Cervi martiri della Resistenza negli anni del fascismo. Agostino trascorse infatti 6 mesi di carcere per aver partecipato alle proteste nell’emiliano.
Al momento della sua abrogazione, nel 1884, la tassa sul macinato garantiva un gettito di 80 milioni di lire l’anno, ma non riuscì mai da sola a sanare il bilancio di Stato, di fatto venne affiancata dall’Imposta di ricchezza mobile, ossia la prima imposta sui redditi istituita dall’unità d’Italia. Una tassa, quest’ultima, che spazientiva nobiltà e borghesia, ma che quantomeno non privava la popolazione di alimenti base, e che dunque restò sino alla riforma tributaria del 1973, quando nacque la a noi ben nota IRPEF.
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