Mi è capitata tra le mani questa vecchissima sentenza della Corte d’Appello di Roma in tema di contratto di trasporto di persone.
Siamo nel 1906, lo stato dell’industria automobilistica è ancora a livelli pionieristici. Le strade sono ancora affollate di carrozze, e le automobili (anzi, gli automobili) circolanti sono di numero irrisorio e altrettanto pochi sono gli audaci che sanno mettersi alla guida.
C’erano però già all’epoca le prime aziende automobilistiche che noleggiavano auto e che mettevano a disposizione anche lo chauffeur per il trasporto di persone e cose.
La vicenda oggetto della sentenza è in realtà drammatica, e solo i decenni e le generazioni che ci separano da essa potrebbero giustificare i sorrisi di chi avrà la pazienza di leggerla.
La famiglia Rosazza aveva noleggiato un’auto con conducente per permettere il trasporto di Augusto Rosazza, gravemente ammalato, dalla città di Bolladore, in Trentino, a Biella.
Tutto era stato puntualmente concordato. Ben 200 Lire per una autovettura coperta, che sarebbe dovuta giungere completa di chauffeur alle ore 6,00 del 7 agosto 1905 per arrivare entro la fine della giornata a Biella, in un unico viaggio, senza pause e interruzioni, alla velocità media di 30 km/h, per coprire i circa 300 km tra le due città. Benzina e lubrificanti esclusi.
Le cose però, fin dal principio, non erano andate per il verso giusto.
L’automobile era giunta il giorno prestabilito, ma con notevolissimo ritardo, e in condizioni disastrose, sicché era stato impossibile partire senza prima rimetterla in sesto.
La partenza avvenne solo il giorno seguente, ma l’autovettura era in condizioni così deplorevoli che in ben otto ore di tragitto si era arrivati appena a Sondrio.
Ora per dare l’idea dei tempi e delle distanze, si veda il tragitto che una moderna vettura farebbe oggi. Ma Bolladore – Sondrio, 45 km, in 8 ore sembra tanto persino per il 1906.
Insomma, un disastro. Le continue soste durante il viaggio, tra l’altro, avevano particolarmente fiaccato il povero Augusto Rosazza (accompagnato dal fratello Orazio, dalla loro madre e da tal Giovanni Verga). Le sue condizioni di salute erano talmente peggiorate, che era stato costretto al ricovero in ospedale, in attesa della ripartenza che fu possibile solo alle cinque del mattino del dì seguente, quando la comitiva si rimise in marcia, con a bordo anche un meccanico.
Dopo appena 20 km, però, la tragedia. Lo chauffeur aveva lasciato per un istante il volante al meccanico, il quale era sì meccanico, ma non sapeva guidare (e nel 1906 non si poteva chiedere di certo a un meccanico di sapere anche guidare!). Alla prima curva, il meccanico va fuori strada, sfonda il parapetto e fa precipitare l’auto in un torrente “trascinando seco i gitanti, i quali ne erano usciti, chi più chi meno, malconci“.
Alla luce delle travagliate vicissitudini, si era così (e finalmente aggiungo io!) deciso di proseguire il viaggio in treno, prenotando tutti i vagoni di prima classe per permettere un viaggio più comodo all’infermo, che però una volta giunto a Biella, morì.
La causa naturalmente aveva riguardato la richiesta di risarcimento dei danni da parte della famiglia Rosazza nei confronti dell’impresa automobilistica e si era in particolare discusso sulla natura del rapporto contrattuale tra le parti (una parte sosteneva si trattasse di mero contratto di noleggio auto, un’altra che fosse un vero e proprio contratto di trasporto).
La decisione mi ha molto sorpreso anche perché la parola automobile è declinata al maschile. La prima volta che ho letto “un automobile” pensavo si trattasse di un errore di stampa. Poi quando ho visto tutti i participi e i dimostrativi al maschile (“l’automobile guidato in quel momento”, “l’automobile concesso a nolo”, “questo automobile”) mi sono preoccupato, e come è buona norma fare in questi casi, per avere lumi sul punto mi sono rivolto a un filologo (nel caso di specie una filologa, che come me scrive al passato remoto, ma in più omette gli accenti).
Le ho quindi chiesto: ma perché all’inizio del ‘900 l’automobile era maschio?
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Ciò detto, vi lascio “finalmente” alla lettura della sentenza.
Tempo di lettura: 5 minuti, salvo incidenti.
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Corte d’Appello di Roma, 31 ottobre 1906
Narravano gli attori Valz Maria vedova Rosazza e Rosazza Orazio, nella citazione introduttiva del presente giudizio, che essi, volendo trasferire da Bolladore a Biella il rispettivo figlio e fratello Augusto gravemente ammalato, ne avevano affidato il trasporto alla ditta Fabbro Gagliardi e C., colla quale a mezzo dell’Orazio Rosazza avevano nel 5 agosto 1905 convenuto:
- che il trasporto doveva compiersi mediante una vettura automobile coperta al prezzo di L. 200, compreso lo chauffeur ed esclusa la benzina e i lubrificanti, per il che eransi pagati dall’ Orazio Rosazza nello stesso giorno L. 300 in conto, salvo liquidazione a servizio compiuto;
- che il trasporto doveva compiersi in un solo tragitto, senza interruzione, e la vettura doveva trovarsi in Bolladore alle ore 6 del giorno 7 agosto, pronta per la partenza immediata;
- che la vettura era giunta in Bolladore con notevolissimo ritardo e in tali condizioni che si era dovuto ripararla sul luogo, sicché erasi resa impossibile la partenza per tutto quel giorno ;
- che questa aveva avuto luogo invece il giorno appresso, ma, continuando ad essere la vettura in deplorevoli condizioni, aveva impiegato per giungere a Sondrio, e cosi percorrere 45 chilometri, circa otto ore, obbligando i viaggiatori e cioè Augusto e Orazio Rosazza, la loro madre e il Giovanni Verga che li accompagnava per l’assistenza all’infermo, a lunghe fermate durante il percorso;
- che giunti a Sondrio, verso le ore 15, l’Augusto Rosazza, le cui condizioni di salute erano grandemente peggiorate per gli incidenti del viaggio, aveva dovuto essere ricoverato in quell’ospedale civile in attesa di poter nuovamente proseguire, ciò che avvenne soltanto nel dì successivo;
- che, partita la comitiva alle ore cinque di detto giorno, dopo appena 20 chilom. di strada, l’automobile, guidato in quel momento non dallo chauffeur ma dal meccanico, aveva urtato violentemente contro il parapetto di un ponte ed era ribaltato, precipitando nel sottostante torrente e trascinando seco i gitanti, i quali ne erano usciti, chi più chi meno, malconci, in ispecie l’infermo Augusto Rosazza;
- che, resosi impossibile il viaggio in automobile, si era dovuto proseguirlo in ferrovia e per evitare, d’ordine del medico, i trasbordi a motivo delle aggravatisi condizioni dell’ammalato, si era dovuto prendere alla stazione di Morbegno un intero vagone di prima classe che li portasse a Biella, ove dopo non molto l’infermo decedeva.
In base a tale narrativa gli attori convenivano colla detta citazione la ditta Fabbre Gagliardi e C. innanzi al Tribunale di Milano per sentirla condannare al pagamento di lire 10,000 quale risarcimento di danni materiali e morali avuti pei fatti sopra esposti, dei quali, in caso di contestazione da parte della convenuta, offriva di dare la prova per testimoni e per interrogatorio.
La Ditta convenuta ammetteva in massima la verità dei fatti narrati dagli attori e specificati nei capitoli pro batori da questi dedotti, limitando la propria negativa all’ aver saputo che trattavasi del trasporto d’ un amma lato ; ma sosteneva in principalità che dei lamentati incidenti essa non poteva essere tenuta responsabile, ed in subordine che, nella peggiore delle ipotesi, 1′ obbligo suo doveva essere limitato a risarcire i soli danni materiali e di questi solo i prevedibili all’epoca del concluso con tratto.
Il Tribunale, con sentenza 28 febbraio 1906, preso atto delle ammissioni della convenuta, dichiarava inutile la prova orale offerta dagli attori, meno che sui due capitoli riguardanti la scienza nella convenuta che scopo del viaggio era il trasporto d’un ammalato in condizioni gravi; rigettava le eccezioni della convenuta e però anche le prove da costei dedotte in appoggio delle medesime; dichiarava essere dovuti anche i danni morali; ma si asteneva da qualsiasi determinazione d’indennizzo sino all’esito della prova orale di cui ordinava l’esperimento. (Omissis).
La Ditta appellante censura anzitutto la sentenza dei primi giudici per avere qualificato il contratto interceduto fra le parti come un contratto di trasporto; e si richiama ai termini della quitenza da lei rilasciata agli attori per desumerne che nella specie si tratta di una semplice locazione di automobile per un prezzo determinato.
Ma la censura è ingiusta.
La quietanza, è così concepita: “Per il nolo d’una vettura a 4 cilindri 13.16 coperta e pel viaggio da Milano-Sondrio-Belladore-Vercelli-Biella-Milano, pratichiamo il prezzo di L. 200 compreso lo chauffeur, già compreso nel prezzo, la benzina e i lubrificanti, non invece nel prezzo compresi, e da pagarsi a parte secondo il consumo. Ora se, come è certo, il contratto di trasporto è un contratto misto di locazione di cosa e di locazione d’opera, ed appunto per ciò si differenzia dalla semplice locazione di cosa per essere l’oggetto di questa la prestazione d’una cosa, e di quello la prestazione di un servizio, non si potrà disconoscere che qui il rapporto interceduto fra le parti abbia avuto nella sentenza appellata la sua esatta qualificazione.
Data l’indole complessa di questo rapporto, del tutto vano riesce l’insistere, come dall’appellante si insiste, sulle parole nolo, noleggio, usate nella quietanza e ripetute dagli stessi attori nei loro atti di causa, per dedurne trattarsi di una semplice locazione di cose; imporocché il nolo del mezzo di trasporto è sempre necessariamente insito in questo contratto, nel quale però all’obbligo della prestazione della cosa si aggiunge anche l’obbligo della prestazione d’opera del conducente, ossia, nella specie, dello chauffer, stato qui appunto, insieme all’automobile fornito per compiere il servizio oggetto del contratto.
Sostiene in secondo luogo l’appellante non potersi far carico a lei degli incidenti occorsi nel viaggio, per essere questi tutt’altro che insoliti ed anzi pressochè connaturali a tale specie di trasporto nello stato dell’industria automobilistica; mentre l’automobile da lei fornito era dei migliori ed era stato accuratamente esaminato e provato prima della partenza e riscontrato esente da qualsiasi difetto.
Ma, a prescindere che l’invio, spontaneamente fatto della Ditta, di un meccanico che avesse ad accompagnare lo chauffeur durante quel viaggio, potrebbe logicamente far sospettare che la Ditta stessa non fosse in allora granché persuasa del vantato perfetto funzionamento di quella vettura, pare alla Corte che sia, quanto meno, un audace eufemismo il chiamare incidenti ordinari di viaggio, comuni a tutti gli automobilistici, l’odissea di guai traversata dagli attori in quel disgraziato, per quanto breve, tragitto, quale risulta dalla narrazione da essi fattane e superiormente riportata, non in alcun punto dalla convenuta contraddetta; ed in ispecie l’urto dell’automobile, per imperizia di chi lo guidava, contro il parapetto d’un ponte, il conseguente precipitare della vettura nel letto d’ un torrente, e l’impossibilità in cui i viaggiatori furono posti di proseguire il viaggio nel modo da essi voluto e pel quale appunto avevano concluso colla convenuta il relativo contratto.
Una volta dimostrato che si tratta di un contratto di trasporto il quale non ha avuto da parte del vettore, e per esso dei dipendenti suoi, l’ esecuzione convenuta, senza che a giustificazione siasi provato, od anche tanto allegato, un caso fortuito o di forza maggiore, si potrà disconoscere la responsabilità della ditta Fabbre, Gagliardi e C. per tutte le conseguenze dell’ inadempimento del contratto, essendo una tale responsabilità espressamente stabilita dagli art. 1631, 1644 cod. civ. cod. di commercio. Non può la Corte condividere l’opinione comune, secondo cui questi articoli riguarderebbero solo il trasporto di cose e non il trasporto di persone, poiché non è a credere che il legislatore abbia teso proteggere quelle maggiormente di queste ; e persone, al pari delle cose, vengono a formare oggetto d’un contratto di trasporto, non v’è ragione per non tenere estese anche ad esse, per le quali nulla fu detto, quanto il legislatore dispose pel trasporto delle cose.
Nè la Corte crede esatto il dire, come generalmente si dice, che nel caso di danni arrecati ai viaggiatori dal vettore nell’esecuzione del contratto di trasporto, la responsabilità sia regolata dagli art. 1151 e 1153 cod. concernenti la colpa extracontrattuale. Come altra volta si è da questa stessa Corte ritenuto (sent. 27 aprile in causa Opera Pia Giglio c. Comune di Como), vi è colpa extracontrattuale od aquiliana quando il fatto illecito dannoso ad altri sorge all’infuori di qualsiasi rapporto obbligatorio fra l’autore del danno e chi lo patisce; ma ove invece tale rapporto preesista, e il fatto illecito in che si sostanzia la colpa sia ad esso inerente, non è più a parlarsi di colpa aquiliana, ma di colpa contrattuale, comeché appunto la colpa si concreti, non nella violazione del dovere generico che ognuno ha di non recare offesa ad altri, ma nell’inadempimento o male adempimento di quella sua specifica preesistente obbligazione. Qui il danno dagli attori lamentato deriva dal modo come la ditta Fabbre, Gagliardi e C. ha eseguito o fatto eseguire l’incarico da essi a lei affidato di trasportarli, in una sola giornata, da Bolladore a Biella, in un automobile da lei somministrato e condotto da uno chauffeur, da lei pure fornito; deriva cioè da un fatto che ove costituisca colpa, costituirà indubbiamente colpa contrattuale, comechè inerente al rapporto giuridico che già fra le parti preesisteva, e concretantesi appunto nella violazione degli obblighi che con quel rapporto furono assunti.
Aggiunge l’ appellante che del fatto lamentato dagli attori essa non deve rispondere per parecchie ragioni : e cioè anzitutto perchè chi nel momento dell’urto dell’automobile contro il parapetto del ponte guidava la vettura, non era lo chauffeur, al quale esclusivamente, essa ne avava dato l’incarico, ma il meccanico sprovvisto di patente, al quale lo chauffeur aveva abusivamente, ed in ispreto all’espressa proibizione fattagli, ceduto il manubrio; ed essa non può essere tenuta responsabile dello operato di chi non la rappresentava, come non lo può di quanto il rappresentante abbia compiuto eccedendo il limite delle funzione a lui consentite: secondariamente perchè, dipendendo lo chauffeur, per consuetudine in valsa, e della quale essa convenuta offre di dare per testimoni la prova, non da chi fornisce la vettura, ma da chi ne usa, mancherebbe pur sempre fra essa e lo chauffeur quel rapporto di dipendenza che varrebbe a rendere essa responsabile dell’ operato di questo nei limiti dello incarico affidatogli : infine perchè, dovendo gli chauffeurs essere scelti entro una determinata classe di persone, abilitate ed autorizzate all’ esercizio dall’ autorità tutoria, e non potendosi pretendere che sovra di essi, forniti di speciali requisiti tecnici, abbia ad esercitare vigilanza il committente che questa speciale competenza tecnica non ha, mai si potrebbe far carico ad essa Ditta, a cui mancava così la libertà di scelta come la possibilità di vigilanza, nè di una culpa in eligendo, nè di una culpa in vigilando, colle quali soltanto si suol giustificare la responsabilità per fatto altrui sancita dall’art. 1153 cod. civile.
Ma una volta dimostrato, come si fece più sopra, che qui non si tratta di colpa aquiliana, bensì di colpa contrattuale, regolata non dagli art. 1151 e 1153 cod. civ., ma dagli art. 1631 e 1644 cod. civ., 398 cod. comm., tutte codeste eccezioni perdono ogni valore ; nè del resto ne avrebbero alcuno, quand’ anche in accoglimento della comune opinione si volesse andare in avviso contrario, poiché di esse nessuna regge.
Non regge la prima : perchè se lo chauffeur aveva, come non v’ ha dubbio, l’ incarico di guidare esso esclusivamente la vettura, ed a questo suo obbligo è venuto meno abbandonando il manubrio ad altra persona inesperta ed incapace, che fece capitombolare l’ automobile entro il torrente, è precisamente a questa sua trascuranza e però a questa sua colpa che va attribuita la causa prima dell’ avvenuto sinistro ; e della colpa di lui, nell’esecuzione dell’ incarico a lui stato commesso, deve rispondere la Ditta committente pel preciso disposto dell’ art. 1153 cod. civile.
Assurdo e iniquo è il dire, come dall’appellante si dice, che la colpa è dei Rosazza, i quali viaggiando collo chauffeur avrebbero dovuto impedire che questi sostituisse a sè il meccanico. I Rosazza, che pel viaggio da Bolladore a Biella avevano contrattato non con quello chauffeur, ad essi affatto ignoto, ma colla ditta Fabbre, Ga gliardi e C., obbligatasi verso di loro a fornire l’automobile, lo chauffeur e quant’ altro poteva occorrere al compimento di quel servizio ; i Rosazza, che appunto perciò non avevano alcuna ragione per informarsi quale dei due individui scortanti la vettura fornita dalla Ditta fosse lo chauffeur e quale il meccanico, e se entrambi od uno di essi, e quale, fosse munito della prescritta patente ; i Rosazza, che stavano entro la vettura coperta e però nella materiale impossibilità di vedere come e da chi fosse tenuto il manubrio nella parte riservata ai due stati incaricati dalla Ditta della scorta della vettura, nessuna sorveglianza potevano nè dovevano esercitare sopra costoro e nessuna responsabilità può ad essi ragionevolmente addossarsi pel di costoro malo operato.
Nè regge la seconda, perchè la allegata consuetudine, nè potrebbe in via generale essere ammessa, nè, in ogni modo, troverebbe nel caso in esame la sua applicazione. Per quanto qui si versi in materia commerciale, ove, per dirla con un insigne scrittore, “l’ assidua e fitta vicenda dei traffici matura e riforma assai rapidamente gli usi così da non potersi richiedere alla loro legale efficacia tutto ciò che dalla glossa e dal diritto canonico esigevasi per la consuetudo “longa, inveterata, diuturna, antiquitus probata et tenaciter servata” fino a pretendere per essa il decorso dello stesso tempo occorrente a consolidare lo esercizio effettivo di un diritto, e cioè i termini della prescrizione, si dovrà pur tuttavia ammettere che un uso, per poter assurgere al grado di norma di diritto deve essere stato osservato, in modo generale ed uniforme, per un lasso di tempo abbastanza lungo, poiché altrimenti esso non potrebbe dirsi appoggiato su quel comune consenso che costituisce il fondamento giuridico della sua forza obbligatoria. Ora il parlare, come fa l’ appellante, di una consuetudine speciale a proposito di un sistema di locomozione che ha pochissimi anni di vita, e che, vuoi pel suo costo, vuoi pei pericoli e gli inconvenienti insiti nel suo pratico funzionamento allo stato attuale dell’ industria automobilistica, è ancor rimasto sino a ieri il privilegio di pochi, sembra alla Corte un fuor di opera, non essendovi stato materialmente il tempo sufficiente alla formazione di un uso così generale, diuturno e costante da poter venire elevato a regolamento giuridico obbligatorio. obbligatorio. Ma se anche ciò fosse, e di una consuetudine in una materia di così recente creazione si po tesse parlare, non però di essa ricorrerebbe l’applicazione nel caso concreto, ove non si è avverato quel che la con venuta, nell’ invocarla, afferma essere solito avverarsi per gli automobili dati a nolo, e cioè che 1′ utente abbia facoltà di variare a suo piacimento il percorso, di dare ordini ed istruzioni allo chauffeur, di moderare o aumentare la velocità della corsa, così da potersi egli considerare come l’arbitro della vettura e di chi la conduce.
Qui nulla di tutto questo ; perchè qui, ove tutto era stato preventivamente combinato fra i Rosazza e la ditta Fabbro, Gagliardi e C., e si era precisato l’ itinerario (Milano-Sondrio-Bolladore-Vercelli-Biella-Milano ), e si era fissata la durata del viaggio (una sola giornata) e il giorno in cui doveva compiersi (8 agosto) e la velocità media della corsa (30 chilometri all’ ora) ed il prezzo in una somma fissa (lire 200 già in anticipazione pagate), nessuna libertà di azione era rimasta ai Rosazza nei riguardi così della vettura come dello chauffeur, al quale essi non potevano impartire ordini diversi da quelli impartitigli dalla Ditta fornitrice in conformità al contratto; così da potersi benissimo dire che per quel viaggio, non lo chauffeur era alle dipendenze dei Rosazza, ma piuttosto questi di lui, conduttore della vettura stata a loro per quel viaggio fornita.
Non, infine, l’ ultima, poiché non può la Corte con dividere l’ opinione della convenuta, conforme del resto alla più comune dottrina, secondo cui la responsabilità stabilita dall’ art. 1153 cod. civ. a carico dei padroni e dei committenti pei danni cagionati dai loro domestici e commessi nell’ esercizio delle incombenze alle quali li hanno destinati, deriverebbe da una presunzione di colpa in eligendo o in vigilando. Ove così fosse, non si saprebbe comprendere perchè debba essere vietato, come dalla legge si vieta, la prova contraria della cura avuta nella scelta e nella vigilanza, mentre pure ciò è permesso ai geni tori, posti sotto a questo riguardo in condizione certa mente assai più propizia che non i padroni ed i committenti, pei quali, nello stato attuale dell’ industria e nelle condizioni odierne della mano d’ opera, ben rara mente sussiste quella libertà di scelta e quella possibilità di sorveglianza, senza delle quali riesce iniquo invocare contro di loro una presunzione iuris et de iure di colpa in eligendo o in vigilando. Egli è che, a parer della Corte, il fondamento etico (se non il fondamento storico) della responsabilità dei padroni e dei committenti pel fatto dei domestici e dei commessi non in altro può ravvisarsi se non nel principio di ragione giuridica e sociale per cui quegli che usa nel proprio interesse dell’ opera di persona a lui sottoposta, contrae per ciò stesso l’obbligo di risarcire ai terzi i danni a loro cagionati da costei nell’esecuzione dell’incarico statole affidato. All’applicabilità quindi dell’art. 1153 cod. civ. è necessario e basta sia provato che fra l’ autore del danno e colui che se ne vuol tener responsabile v’ era un rapporto di dipendenza come da domestico a padrone o da commesso a committente, e che il danno venne da quello prodotto nell’ esercizio dell’ incombenza a cui questi lo aveva destinato.
Ora qui non v’ ha dubbio che fossero due dipendenti della ditta Fabbre, Gagliardi e C. lo chauffeur e il meccanico, stati da costei incaricati di scortare nel viaggio della famiglia Rosazza la vettura a tale uopo fornita, come non vi ha dubbio che il lamentato sinistro sia avvenuto precisamente durante quel viaggio pel fatto di avere lo chauffeur abbandonato il manubrio dell’ automobile in mano al meccanico inesperto ed incapace, che lo mandò ad urtare contro il parapetto d’ un ponte e lo fece precipitare nel sottostante torrente.
Dire, come fa l’appellante, che di ciò essa non deve rispondere perchè l’ incombenza di guidare la vettura essa l’ aveva data non al meccanico, ma allo chauffeur, collo espresso divieto di sostituire altri a sè stesso, è disconoscere affatto la ragione e la portata dell’art. 1153 cod. civ., il quale, ove potesse permettere l’accoglimento di cosiffatte eccezioni, verrebbe a restare nella maggior parte dei casi lettera morta. Qui la cagione del sinistro fu la imprudenza e la negligenza dello chauffeur, che abbandonò a mani inesperte il manubrio dell’ automobile che egli aveva l’ incarico di condurre : e le conseguenze di questo suo colposo comportamento nell’ esercizio dell’incombenza alla quale la ditta Fabbre, Gagliardi e O. lo aveva destinato, vanno a ricadere sopra costei, in conformità alla lettera e allo spirito dell’art. 1158 cod. ci vile. (Omissis).
Per questi motivi, ecc.
(Il Foro Italiano, vol. 32, I, 1907, pag. 113)