La storia che vi racconto oggi dovrebbe scalare immediatamente tutte le classifiche dei migliori aneddoti di sempre. Per il contesto, per il protagonista, per tutti i personaggi e i loro nomi, per la situazione.
Pensate a quanto era bello un tempo poter circolare impunemente tra comune e comune. E pensate come era affascinante farlo sapendo che oltre i confini del proprio orticello non solo nessuno vi avrebbe riconosciuti, ma non avrebbe nemmeno avuto alcuno strumento per farlo. Il vostro volto e la vostra voce non erano conosciute che da pochissime persone. Ed è proprio in questo soave contesto che si svolgevano le prodezze di Lorenzo Arduino, un tale assai scaltro che aveva fatto della sua particolare abilità al gioco delle bocce un vero e proprio mestiere.
Ora, io non so quanti di voi giochino o abbiano giocato abitualmente alle bocce. Io non ne vado matto e quando penso alle bocce mi viene solo in mente il campetto (non so nemmeno se si chiami così) dietro la Darsena dove una volta c’erano un bel po’ di persone e che ora è piuttosto tristemente vuoto e fa il paio con l’approdo degli Sforza che giace poco più dietro, due rettangoli stretti lunghi e silenziosi al di là del muro dell’indomabile movida milanese.
Dicevo, non so quanti di voi siano appassionati di questa attività da diporto, fatto sta che al tempo – e siamo negli anni ’30 – andava di moda certamente più di adesso, tant’è che un posto per giocare a bocce lo si trovava un po’ dappertutto, ad esempio nelle trattorie. D’altra parte non c’era il biliardino (stavo scrivendo che non c’erano nemmeno i flipper ma poi mi sono ricordato che scrivendo il mio libro avevo scoperto che c’erano eccome e quindi l’ho cancellato, questo tra parentesi è solo un mio pensiero sottovoce).
Immaginate quindi l’ottimo Arduino che passava paese per paese, trattoria per trattoria, mettendosi a giocare a bocce con gli amici e scommettendo somme elevatissime, che immancabilmente perdeva “e con ostentata indifferenza pagava”, dando prova della sua “scarsa abilità al giuoco“.
Ovviamente era tutta una messa in scena: il buon Arduino (notarsi come da “ottimo” sia stato declassato a “buono”) non solo non era per niente scarso, ma anzi era raffinatissimo e abilissimo giuocatore. Ma la sua paventata incapacità finiva sempre con l’attrarre l’allocco di turno.
Vi confesso che questa pubblicata oggi in questa massima non è l’unica sentenza a carico di questo magnifico esemplare di truffatore, a cui non si può non volere bene. Ce ne sono talmente tante che a un certo punto le sue gesta erano anche passate nelle rassegne di giurisprudenza alle voci processuali per questioni di litispendenza (quelle parti delle riviste che confesso salto a pie’ pari mentre conduco queste mie malate ricerche, perché ok la perversione di andarsi a cacciare in questi meandri del passato, ma a tutto c’è un limite).
Lo schema era sempre lo stesso: l’Arduino puntava, giocava, perdeva e pagava, puntava, giocava, perdeva e pagava, e così via finché un qualche malcapitato, fiutando goffamente l’affare, si inseriva nell’agone e chiedeva anche lui di sfidare il pollo senza rendersi conto che a rimetterci le penne sarebbe stato proprio lui.
La prima parte della storia “di cui al caso di specie”, come dicono quelli che vogliono apparire assai dotti, si svolge a Giaveno, comune poco più in là di Torino (per chi guarda dalla Lombardia o dal Triveneto). Qui Arduino si esibisce nella sua tipica tattica fino ad attirare l’oste della trattoria dove il tutto stava accadendo. L’oste si chiamava Giuseppe Giai Bertè, altro nome mitico. Al Giai Bertè non gli pareva vero di avere a portata di mano un allocco di siffatte proporzioni, tanto più che la comitiva dell’Arduino (un vero artista non si muove mai da solo, anche per una questione di apparenze, che diamine) aveva sparso la voce che egli fosse appunto appassionato al gioco delle bocce, molto impacciato e soprattutto ricchissimo, come d’altra parte testimoniava il modo con cui pagava le somme che perdeva senza batter ciglio.
Sedotto dunque l’oste, chiese di sfidare l’Arduino. Si accordarono per giocare qualche giorno dopo a Nichelino.
Il Giai Bertè si era pure portato il campione, e giocava in coppia con “tal Saracco Michele, che aveva fama di abilissimo“, mentre l’Arduino era da solo. Qui poi la sentenza, che davvero vi invito a leggere, presenta un colpo di scena davvero esilarante, perché mentre descrive la partita a un certo punto ci svela che il Giai Bertè era “cieco anche da un occhio“, il che forse non è in effetti divertente a ben pensarci ma per come è inserito nell’inciso narrativo risulta per lo meno spiazzante. Inutile dire che l’Arduino vinse, ma ebbe l’accortezza di farlo solo per pochi punti, così dopo avere intascato la ingentissima posta di 10.000 lire diede adito al desiderio di rivalsa dell’oste.
Non vi svelo poi come va avanti, e come si risolse la cosa perché voglio lasciarvi il piacere della scoperta nella lettura.
Ne approfitto però solo per raccontarvi un altro episodio. So che questo caso a molti ricorderà la truffa delle tre carte e qualsiasi altro sistema per fregare qualcuno allettandolo con la possibilità di una facile vincita. A me è capitato di assistere a una vicenda simile.
Quando ci si poteva spostare tra comuni, ma anche tra regioni, nazioni e persino continenti, in uno dei miei incessanti pellegrinaggi alla ricerca di me stesso mi ero a un certo punto ritrovato in una stazione di posta ai confini del mondo. Si chiamava La Leona, era una specie di Autogrill di legno nel nulla eterno che avvolge la Patagonia, a qualche decina di chilometri dal Perito Moreno, in cui capitai mentre andavo con la corriera in un campo dove mi dicevano avrei trovato vari fossili (che in effetti trovai). Comunque, in questo baretto, ristorante, motel, di-tutto-un-po’ sulle sponde del lago Viedma era appeso al muro un gancio e un po’ più alto un chiodo al quale era legata una corda che finiva con un anello: si trattava del classico gioco in cui vince chi riesce a lanciare l’anello attaccato alla corda in maniera tale da farlo cadere agganciato al muro.
C’era quasi la fila per quel gioco! Tutti volevano provare, segno del fatto che va bene il paesaggio e tutto ma non c’era proprio nulla da fare da quelle parti. Scesi dalla corriera anche alcuni miei sconosciuti compagni di viaggio vollero provare, uno di loro decise di sfidare un uomo di mezza età che sembrava proprio impacciato e a cui non andava bene nemmeno un tiro. La posta in palio era una consumazione al bar, niente di che, e giocarono al meglio dei 5 tentativi.
Il mio sconosciuto compagno di viaggio ovviamente non ne indovinò una, l’altro invece fece cinque su cinque. Quando fu il momento per uno di saldare il debito e per l’altro di riscuotere la posta, lo sconfitto si recò al bancone del bar, e l’altro vi si posizionò dietro. Quella volta il “truffatore” era stato l’oste!
© Riproduzione Riservata