Non so proprio da dove cominciare.
Il tema di questa settimana è ovvio e profondo, arduo e familiare.
Cosa c’è d’altronde di più naturale e scontato del proprio nome, e cosa di più complesso e solenne della sua scelta?
Ma il nome cos’è? Un segno, un simbolo, una convenzione? Eppure, checché ne dica il bardo inglese, noi siamo il nome che portiamo e per tutta la vita assumiamo le vesti di qualcuno che non abbiamo deciso di essere. Questo vale per tantissimi aspetti della nostra esistenza – e persino per l’esistenza in sé – ma l’imposizione del nome è il simbolo del potere del padre sul figlio, mera pertinenza genitoriale.
Ma proprio perché rappresenta, distingue e identifica la persona per tutta la vita, la scelta del nome è, prima ancora che l’estrinsecazione di un potere, un momento di grande responsabilità.
Vivo quella fase della vita per cui la mia generazione – ma non io – è alle prese con la primogenitura, e con essa con l’improbo cimento della scelta del nome. Forse il primogenito è il più semplice, perché un po’ tutti ci pensiamo e ci siamo fatti una idea nella nostra vita (“se avessi un figlio lo chiamerei…“), più complesso quando la prole inizia a farsi numerosa, ma questo era un problema che affliggeva i nostri bisnonni e del quale ci siamo prontamente sbarazzati. Tra gli amici sento fioccare le proposte (e poi ne vedo manifesti gli effetti sottoforma di pargoli piangenti dai nomi che suonano sempre e comunque altisonanti).
E sulla scelta dei nomi ci sono storie incredibili, storie di nomi un po’ traditi (io stesso per esempio vengo chiamato con un nome diverso dal mio, che solo da qualche anno mi mette a mio agio), rinnegati, scontati o predestinati, ma naturalmente quelle più divertenti riguardano i nomi ridicoli. Quelli cioè per i quali esisterebbe in base alla legge un buon motivo per poterli poi cambiare una volta maggiorenni.
Quella che mi ha sempre affascinato (è una storia nota, ma è troppo bella per non ricordarla) riguarda il nome Firmato, non perché sia ridicolo di per sé, ma per le ragioni che nel corso degli anni ’20 avevano condotto molti padri a dare questo nome ai propri figli. Tutta “colpa” del c.d. Bollettino della Vittoria che fu redatto, distribuito e scolpito in tutte le città (a Milano è affisso su Palazzo Marino). Il Bollettino informava la nazione della vittoria della prima guerra mondiale (memorabile l’ultimo passo che descrive la ritirata dell’esercito austroungarico: “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza” – che secondo alcuni linguisti contiene anche un errore di sintassi, voi lo vedete?) ed era sottoscritto dal Generale Diaz. In alcune copie fu riportato per esteso la dicitura “Firmato Diaz“, sicché i meno istruiti e informati credettero che “Firmato” fosse il nome del generale e – in suo onore – usarono quel “nome” per i propri bambini.
Un’altra storia, in epoca più recente (siamo già nel 2007) è quella del nome Venerdì, che un genitore genovese aveva imposto a suo figlio. La Corte d’Appello di Genova si era pronunciata contro la scelta ritenendo che si trattava di un nome ridicolo perché Venerdì è “un giorno della settimana (nella sentenza però si fanno salvi nomi come “Sabato” o “Domenica”, ndr), oltretutto evocante notoriamente connotazioni negative, dì sfortuna, ed inoltre riferibile ad un personaggio letterario caratterizzato da un ruolo di sudditanza e di inferiorità“.
Ma la storia di oggi riguarda un nome forse ancor più estremo (anzi un doppio nome), quello che il Sig. Ambrogio Farotto, fervente socialista di Ponzano Monferrato, aveva dato a suo figlio, nato nel febbraio del 1906.
Il piccolo era stato solennemente chiamato “Ribello Avanti“. Nome completo: Ribello Avanti Farotto.
“Un altro piccolo socialista!” titolò fervido il quotidiano socialista astigiano “Il Galletto”. Della nascita e del particolare patronimico ebbe notizia il procuratore generale, che ritenendo i nomi contrari alle disposizioni sullo stato civile, ne chiese al Tribunale la rettifica.
L’irreprensibile Tribunale di Casale si interregò dunque sulla legittimità di quei due strambi nomi, e nel far ciò prese le mosse da quanto accade durante “la bufera della Rivoluzione Francese“. Una legge del 24 brumaio anno II (cioè 14 novembre 1794) aveva infatti accordato – come dice la sentenza – “ad ogni francese la facoltà di chiamarsi come gli piaceva“.
E d’altronde di cosa ci si stupisce? La Rivoluzione (che “Terrore o no, era stata una cosa giusta“) aveva travolto e stravolto i nomi dei giorni della settimana, dei mesi, delle città (furono tutte ribatezzate, assegnando nomi altisonanti alle città più “rivoluzionarie” a nomi infimi a quelle più restie ad allinearsi a Robespierre, come Marsiglia che prese il “nome” di Ville–sans- Nom”), era quindi il minimo dare a chiunque il diritto di chiamare i propri figli come meglio si desiderava, senza alcun limite. Purtroppo per i rivoluzionari però, oltre ai nomi di matrice giacobina, i francesi si fecero prendere la mano e iniziarono ad assumere come nome anche termini riecheggianti gli antichi titoli nobiliari soppressi.
Così ci fu un severo passo indietro, e la legge dell’11 germinale, anno XI (1 aprile 1803) previde che potevano essere utilizzati solo nomi ripresi dal mondo classico o dal calendario (cioè dall’esperienza cristiana). La disposizione fu trasfusa tale e quale nel codice napoleonico, in quelli degli stati italiani preunitari e quindi all’ordinamento italiano.
Il Tribunale di Casale, si diceva, ritenne i nomi scelti per il figlio del sig. Farotto ridicoli e quindi da modificare.”I nomi di Ribello, Avanti sono tali che pregiudicano il bambino al quale furono imposti. L’avverbio avanti [ma in realtà era un omaggio al quotidiano socialista!, ndr] imposto come nome, oltre che non ha senso, espone chi lo porta al ridicolo, fra i compagni, nelle scuole, e in tutte le contingenze della vita è facilmente ragione di scherno e di dileggio. L’aggettivo Ribello porta con sè una qualifica che farebbe ritenere chi lo portasse, in aperta e continua lotta con la società, involve un concetto di repulsione, ed ingenera un sentimento ripulsivo in chi lo sente, e più in chi è obbligato ad usarlo per designare chi lo porta. L’uomo che così si chiamasse troverebbe solo per il nome ostacoli e difficoltà nella vita, non sarebbe bene accetto nei rapporti privati e pubblici, e ispirerebbe un senso di diffidenza, al quale il bambino Farotto ha diritto di non essere esposto”
Per sapere quali nomi furono dati al bambino, vi lascio alla lettura della sentenza. Non prima però di aver fatto una amara considerazione su quali sono i nomi strani e rari che oggigiorno sono scelti in Italia. Si va da Apple a Belen, ma c’è anche qualche Rihanna, Thor, Xena, Summer, senza parlare di Oceano, e chissà quanti altri.
P.S. dal 1999 al 2016 i nuovi nati con il nome di Pasquale sono passati da 1.113 a 556, praticamente crollati del 50% (controllate il vostro qui).
Il mio nome è quasi in via di estinzione e tuttosommato, anche per questo, oggi mi piace di più.
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