La vita
Giorgio La Pira nasce il 9 gennaio 1904 a Pozzallo in provincia di Ragusa, in una famiglia di modeste condizioni economiche. Nel 1922 supera l’esame di maturità classica e si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, dove consegue eccellenti risultati. In quest’ultima fase torna alla fede religiosa, mentre vengono meno alcune acerbe aperture verso il dannunzianesimo e il fascismo. Nel 1926 è a Firenze per laurearsi in diritto romano con Emilio Betti, già suo docente a Messina. Dopo la tesi, è incaricato dell’insegnamento di istituzioni di diritto romano; dopo studi anche all’estero, nel 1930 è libero docente, nel 1933 vince il concorso a cattedra e viene chiamato dalla facoltà di Giurisprudenza di Firenze. La Pira si distingue per l’intensa fede religiosa, e in questo periodo frequenta vari ambienti ecclesiali e partecipa a movimenti cattolici. Frequenta anche monsignor Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI) e padre Mariano Cordovani.
Dal 1937 si impegna contro le tendenze razziste e belliciste del fascismo e rompe con l’ambiente de «Il frontespizio», rivista letteraria diretta tra gli altri da Giovanni Papini. Fra il 1939 e il 1940 pubblica «Principî», una scarna rivista che, rivisitando il pensiero classico e teologico, indica i principi ineludibili per una convivenza fondata sui valori personalisti. Dopo l’8 settembre 1943, essendo ricercato, deve trasferirsi a Roma. In questa fase è autore di scritti per l’impegno in politica dei cattolici e che individuano il fondamento del nuovo Stato nel personalismo e in mutati rapporti sociali.
Eletto alla Costituente, è relatore sui principi fondamentali e protagonista di molti confronti che si svolgono nella commissione dei 75 e nell’assemblea plenaria. Collaboratore di «Cronache sociali», che esprime le posizioni più riformiste del cattolicesimo politico italiano, non segue Giuseppe Dossetti, allora vicesegretario della Democrazia cristiana, nel suo ritiro dall’impegno parlamentare, e nel 1948-49 è sottosegretario al ministero del Lavoro, di cui è titolare Amintore Fanfani, il politico a lui più vicino.
Nel 1951 diviene sindaco di Firenze, alla guida di una giunta centrista, dove porta una forte carica di innovazione e di interventismo dinanzi ai gravi problemi economici e sociali. Malgrado i risultati amministrativi e l’innovativa politica culturale, non mancano polemiche giornalistiche e politiche.
Nonostante il successo nelle elezioni del 1956, il nuovo sistema elettorale e l’impossibilità di formare una giunta di centro-sinistra rendono fragile la sua seconda amministrazione. D’altra parte, motivo di attacchi sono le iniziative di dialogo e di tono pacifista che La Pira continua ad assumere. Nel 1961, in un mutato contesto politico ed ecclesiale, viene rieletto sindaco: i risultati conseguiti vengono però messi in ombra dalle polemiche, e La Pira appare sempre più isolato dal dominante sistema dei partiti.
Dimessosi nel 1965, La Pira esce dalla politica nelle istituzioni; peraltro, continua i suoi interventi a livello internazionale e nazionale. Rieletto deputato nel 1976, muore a Firenze il 5 novembre 1977.
Come fondare un moderno Stato democratico
Già subito dopo la caduta del fascismo, La Pira, intervenendo pubblicamente sulla situazione del Paese, afferma che la rifondazione dello Stato dovrà necessariamente recuperare dalla «tradizione giuridica latina e cristiana» il principio fondamentale che «non la persona per lo Stato, ma lo Stato per la persona e per tutti gli sviluppi naturali e soprannaturali della persona». Ciò mentre condanna il «tradimento degli intellettuali» nell’affermazione dei totalitarismi, avendo contribuito a porne le premesse filosofiche allorché hanno «intaccato in radice tutto il tessuto delle verità cristiane».
La Pira, uomo di fede molto intensa, aderisce al tomismo su molteplici e fondamentali aspetti della propria vita personale e religiosa e, nei difficili anni della contrapposizione al fascismo, trova in questa concezione filosofica anche le basi per una teoria politica adeguata alle sue coraggiose polemiche con le concezioni totalitarie dominanti.
Ricorrente negli anni precedenti alla fase costituente è l’affermazione della sufficienza della riflessione tomista, integrata da alcuni esiti della sociologia cristiana, per la risoluzione dei problemi posti dal moderno costituzionalismo: in questo senso assai significativo appare il suo ampio intervento (Il nostro esame di coscienza di fronte alla Costituente) alla 19a Settimana sociale dei cattolici d’Italia su «Costituzione e Costituente». Qui La Pira appare pienamente consapevole che le costituzioni moderne non contengono solo la disciplina degli organi statali, ma anche la determinazione dei «criteri fondamentali cui deve ispirarsi» l’attività legislativa dello Stato; al tempo stesso polemizza fortemente con il costituzionalismo degli Stati totalitari, ma pure con quello delle costituzioni «di tipo individualista» e «di tipo socialista», imputate di essere profondamente errate in quanto traduzioni giuridiche di «errate metafisiche».
D’altra parte, nella citata Settimana sociale si confrontano due linee di fondo diverse, rappresentate da coloro che progettano di caratterizzare in senso clericale lo Stato e la Costituzione (tesi allora forte, specie in parti dell’ambiente ecclesiastico), e da coloro che, invece, sostengono che la democrazia pluralista dev’essere non solo piena ed effettiva, ma anche integrata da significativi diritti sociali. In questa polarizzazione, La Pira, pur attraverso un andamento argomentativo tutto interno al neotomismo e alle sensibilità cattoliche, si colloca accanto a relatori che ipotizzano di recuperare le tecniche giuridiche e alcuni valori dalle costituzioni liberaldemocratiche, pur innovandole radicalmente in modo da dare risposte soddisfacenti a tutti coloro che condividono la critica allo Stato «borghese capitalista».
I principi fondamentali della Costituzione
Malgrado questi riferimenti anche al più recente costituzionalismo, le proposte di La Pira sollevano non poche obiezioni, specie per la loro esplicita derivazione dalla tradizione culturale cattolica, ma forse anche per il tipo di scelte, sia politiche sia tecniche, che veicolavano in una fase di grande incertezza nelle progettazioni istituzionali da parte dei vari partiti.
In realtà, allorché si giungerà, dopo un primo difficile e tesissimo confronto, a un’intesa su quelli che sono gli attuali articoli 2 e 3 della Costituzione (che in estrema sintesi esprimono le scelte personaliste e comunitarie, il recupero del principio di eguaglianza dinanzi alla legge, ma anche l’impegno dello Stato a farsi carico della rimozione delle disuguaglianze di fatto), non verrà in tal modo solo trovato il nucleo di accordo fondamentale su quello che sarà poi denominato come il ‘compromesso costituzionale’ fra i ‘partiti di massa’ (democristiani, socialisti e comunisti), ma implicitamente si sceglierà anche di adottare una Costituzione analitica, finalizzata e rigida. Evidentemente si era conseguito un reciproco riconoscimento di serietà e di credibilità nei tentativi di edificazione di un rinnovato Stato democratico.
Su quest’iniziale base di accordo si svilupperà poi tutta la dialettica del confronto costituente, durante il quale, certo, accanto a tanti momenti di intesa non mancheranno anche forti attriti e aspri conflitti sia su alcuni profili in cui vengono in gioco sensibilità diverse sui valori della convivenza, sia su modelli diversi di tipo istituzionale. Relativamente alla parte organizzativa dello Stato, per es., la scelta per un ordinamento democratico bilanciato, caratterizzato dalla creazione delle Regioni e garantito da una Corte costituzionale, è voluta da democristiani e dai movimenti politici della tradizione repubblicana e liberale, mentre deve superare fortissime resistenze dei partiti d’ispirazione marxista, amanti di una visione semplificata dell’assetto istituzionale (se addirittura non affascinati, almeno in parte, da prospettive di trasformazione rivoluzionaria).
Ciò che peraltro appare significativo è che La Pira, nel dibattito generale sul complessivo progetto di costituzione elaborato dalla commissione, esprima un giudizio complessivamente positivo, rivendicando in modo esplicito ai valori cristiani, interpretati secondo la tradizione tomista, la capacità di fornire a tutti un quadro costituzionale pienamente accettabile.
D’altra parte, gli elementi per lui assolutamente caratterizzanti del nuovo patto costituzionale per una solida democrazia appaiono fondamentalmente solo il riconoscimento del valore assoluto della persona, vista nella sua concretezza, e la necessità che a una naturale «struttura sociale pluralista» corrisponda «un assetto giuridico conforme».
Anche da questo punto di vista egli motiva il necessario richiamo nella Costituzione dei Patti lateranensi («anche se vi è qualche punto che potrebbe essere sottoposto a revisione bilaterale»), con anzi la rivendicazione di aver svolto un ruolo significativo nella formulazione finale dell’art. 7 della Costituzione. Quanto poi alle ricorrenti polemiche sulla necessaria laicità dello Stato, la risposta è che se «non dobbiamo fare uno Stato confessionale», non è neanche accettabile uno Stato che non prenda atto dell’orientazione religiosa dell’uomo e degli organismi sociali in cui si manifesta questa realtà.
Ma La Pira, da acuto giurista, coglie anche la necessità dell’adozione di norme organizzative coerenti con il nuovo sistema di principi e di valori che si viene definendo: per es., motiva la decisa richiesta di un’autorevole e autonoma Corte costituzionale perché in tal modo si induce il futuro legislatore ad attuare le nuove disposizioni costituzionali e si garantisce l’effettiva superiorità delle disposizioni costituzionali sulla volontà delle forze politiche temporaneamente maggioritarie.
D’altra parte, se La Pira alla Costituente svolge incontestabilmente un ruolo di assoluto rilievo, tuttavia non si rende omogeneo alla classe politica che viene formandosi nei partiti e nelle istituzioni repubblicane, restando fortemente caratterizzato dalle sue tipicità di uomo di cultura dalla fortissima religiosità, ‘prestato’ alla politica, e che quindi utilizza linguaggi e assume comportamenti fortemente caratterizzati dalla sua fede, così ‘scandalizzando’ molti, abituati a forme espressive assai più neutre.