Il primo Capo dello Stato repubblicano dell’Italia unita fu Enrico De Nicola, eletto il 28 giugno 1946 dalla neonata Assemblea costituente al primo scrutinio con il favore di 396 voti sui 573 aventi diritto. Il lavoro diplomatico per il nome del Capo di Stato provvisorio fu estremamente travagliato e profondamente segnato dal risultato del referendum istituzionale sulla forma di Stato del 2 giugno 1946. Infatti, l’eredità della tornata referendaria si affermò solo dopo il verdetto della Corte di Cassazione del 18 giugno, lasciando un Paese spaccato in due tra Nord a Sud tra i sostenitori della Repubblica e della Monarchia, visto inoltre l’esilio di Umberto II e l’assunzione temporanea ed eccezionale delle vesti di Capo dello Stato per il Presidente del Consiglio De Gasperi.
L’importante lavoro di mediazione dello stesso De Gasperi contribuì in maniera decisiva a prevenire una rottura, che avrebbe comportato il rischio di nuovi tumulti all’indomani della cessata guerra civile, nella stessa Assemblea costituente convincendo le forze politiche ad optare per un Capo di Stato meridionale e di orientamento monarchico in modo da ricucire lo strappo con il Sud e con gli sconfitti del referendum. Ragion per cui si valutò, da un lato, la candidatura di Vittorio Emanuele Orlando, sponsorizzato dalle forze centriste e moderate, e di Benedetto Croce, ben visto dalle sinistre. La rinuncia di Croce sembrò aprire le vie della carica ad Orlando, ma Togliatti propose per le sinistre il nome di Enrico De Nicola, vista la sua vicinanza monarchica, la provenienza meridionale e per l’importante lavoro di “intermediazione giuridica” negli eventi postumi all’8 settembre 1943, che gettò le basi per la futura Assemblea costituente e per il referendum istituzionale (v. Articolo su Assemblea costituente 2 giugno 1946).
Il nome di De Nicola convinse anche l’area cattolica e centrista ma non il diretto interessato, il quale fece filtrare più volte riposte contraddittorie sulla sua candidatura, rendendo particolarmente snervante il lavoro diplomatico delle forze politiche. Il giornalista Manlio Lupinacci scrisse sul Giornale d’Italia: “Onorevole De Nicola, decida di decidere se accetta di accettare!”. All’alba del 28 giugno De Nicola sciolse positivamente la riserva aspettando un formale rifiuto degli altri candidati, poi arrivato tempestivamente.
Napoletano, avvocato penalista, rigoroso ma non rigido, aperto alla mediazione e alla sintesi: la sua stessa brillante carriera forense lo portò ad approcciarsi alla professione uscendo dallo schema della teatralità e rifugiandosi nell’oratoria aggraziata ma dritta al punto di diritto: “La retorica è il cloroformio delle Corti d’Assise!”. Questo fu uno suo slogan a tratti lontano dalla storica e prestigiosa tradizione giuridica partenopea, che fece della teatralità un punto di forza dell’argomentazione giuridica in sede dibattimentale, ma De Nicola proprio per il suo stile più sobrio ma non meno raffinato costruì giuridicamente e degnamente i tratti essenziali dell’ordinamento di transizione costituzionale (Luogotenenza, referendum istituzionale, Costituente etc.). Del Sud conservò, comunque, il temperamento signorile e umile, dedito ai propri ideali e al senso del dovere e, probabilmente, anche la profonda necessità di mantenere sofferta una propria dialettica interiore nel prendere le decisioni più importanti. Di qui, oltre i tentennamenti per l’elezione, la scelta di non risiedere al Quirinale (per rispetto verso i Papi e i Re chi vi risiedettero) ma a Palazzo Giustiniani, il suo celebre cappotto rivoltato, l’arrivo a Roma con la sua auto privata e il rifiuto del compenso presidenziale di 12 milioni di lire annui.
Prima dell’importante attività di consulenza della Monarchia e del Comitato di Liberazione Nazionale fu un sostenitore delle politiche giolittiane e divenne Sottosegretario alle Colonie e al Tesoro nel 1913 e 1919 con Giolitti e Orlando, ma l’episodio più significativo accadde il 16 novembre 1922 mentre da Presidente della Camera ascoltò il noto “discorso del bivacco” da parte di Mussolini, non intervenendo a limitare le parole gravissime di minaccia verso l’istituto del Parlamento pronunciate dal futuro Duce. L’occasione per dimostrare il suo dissenso verso il regime fascista arrivò due anni dopo nel 1924, quando una volta eletto deputato rifiutò di prestare giuramento al regime e, dopo essere divenuto senatore rifiutandosi di partecipare ai lavori, si ritirò per dedicarsi all’attività forense.
Da Capo provvisorio dello Stato i meriti di De Nicola si sostanziarono in maniera pressoché uguale a quelli espressi durante il biennio 1943-1945: egli contribuì a dare una forma giuridica al caos politico e alle incertezze sull’esito della stesura della nuova Carta costituzionale. La stessa Assemblea costituente trovò nella prassi e nei protocolli adottati da De Nicola importanti referenti per la stesura delle norme sul Capo dello Stato e per la definizione di alcuni snodi cruciali della futura forma di governo parlamentare: in particolare, sulla nomina del Governo diede prove convincenti della necessità di mantenere una certa elasticità nei poteri del Presidente in modo, da un lato, di garantire alle forze politiche la massima possibilità di espressione e, d’altro canto, per consentire al Presidente nei momenti di stallo di risolvere le conflittualità dando corso alla mediazione e alla persuasione morale. In generale, l’aver dato parametri giuridici intellegibili favorì significativamente la possibilità per le forze politiche di poter comporre le fratture (soprattutto dopo la “scissione” di Palazzo Barberini del patto social-comunista) e di poter tessere le convenzioni costituzionali che avrebbero governato il parlamentarismo italiano.
De Nicola, eccetto alcuni momenti di tensione con De Gasperi (con particolare riferimento alla stipula del Trattato di pace di Parigi del 1947), terminò il suo biennio presidenziale dopo aver apposto la firma sulla Costituzione repubblicana: “Ho letto attentamente, possiamo firmare tranquilli!”. La Presidenza della Corte costituzionale nel 1956 completò il cursus honorum di un Uomo che agì prima da costruttore, da guida e poi da sommo garante costituzionale della Repubblica.