Il giorno prima i Gruppi di Azione patriotica della resistenza romana avevano attaccato un reparto della polizia d’ordine tedesca uccidendo 33 soldati. Il più clamoroso attentato urbano antitedesco d’Europa, passato alla storia come l’attentato di Via Rasella.
Per per ogni tedesco ucciso dieci criminali comunisti badogliani dovevano essere fucilati. E così fu.
Il 24 marzo 335 civili e militari italiani vennero infatti fucilati dai tedeschi. In ginocchio, prima sulla terra e poi sui cadaveri dei compagni. I corpi occultati poi nelle “Fosse Ardeatine”.
Certo la scelta delle cave non era stata casuale. Anzi, era stata in verità una decisione saggiamente ponderata, di modo che le si potessero poi far esplodere occultando l’assassinio.
L’impeccabile piano, tuttavia, non riuscì fino in fondo.
Dei salesiani che facevano da guida in quelle stesse cave avevano infatti sentito tutto e, insospettiti dal continuo andirivieni di tedeschi, nella notte si avvicinarono per vedere cosa fosse successo. Lo spettacolo fu terribile. La storia racconta di pile di cadaveri di oltre un metro e mezzo.
Per l’eccidio nel maggio 1947 il Tribunale Militare inglese condannò a morte il generale tedesco Albert Kesselring, anche se poi la pena fu commutata nel carcere a vita.
Nel 1948 fu la volta del militare Herbert Kappler, processato da un Tribunale Militare italiano. I giudici, considerata la violenza dell’eccidio, ritennero non sufficientemente provate in Kappler la coscienza e la volontà di eseguire un ordine di tal genere. Lo considerarono quindi non colpevole dell’omicidio di 320 persone, colpevole di quello delle rimanenti 15, fucilate dietro suo specifico ordine. Kappler fu condannato all’ergastolo con sentenza confermata in appello e divenuta poi definitiva.