Il 22 giugno del 1946 entra in vigore il “Decreto presidenziale di amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari” pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.137 del 23 giugno 1946, con cui migliaia di militanti del partito fascista furono scarcerati e sottratti dai processi per le condotte criminose poste in essere. L’art. 1 del Decreto garantì loro
“amnistia per i reati per i quali la legge commuta una pena detentiva, sola o congiunta a pena pecuniaria, non superiore nel massimo a cinque anni, oppure una pena pecuniaria”
La paternità della legge si riconduce all’allora segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti, Ministro della Giustizia del terzo governo De Gasperi che profuse il suo impegno per varare tale provvedimento al fine di chiudere i conti con la parentesi fascista e agevolare il processo di ricostruzione e democratizzazione del paese. Il Decreto presidenziale, passato alla storia come “Amnistia Togliatti”, perché redatto quasi integralmente di suo pugno, si ispirava al proposito di pacificare le condotte pregresse dei militanti del partito fascista, a cui fu “ concessa amnistia per i delitti politici puniti con pena anche superiore a quella indicata nell’art. 1, ove siano stati commessi nelle singole parti del territorio nazionale dopo l’inizio in esse dell’amministrazione del Governo militare alleato o, riguardo al territorio rimasto sotto l’amministrazione del Governo legittimo italiano, per i delitti suddetti commessi dopo l’8 settembre 1943”. Restavano esclusi dall’applicazione del provvedimento le condotte particolarmente efferate citata all’art. 4.
Tanto dibattuta e criticata da molti, la legge fu definita da Calamandrei quale
“clamoroso errore della nuova classe dirigente italiana, gravido di conseguenze”,
tra cui quella di una diffusa scarcerazione di collaboratori, militanti, informatori e membri del partito fascista, tra cui si ricomprendono anche gerarchi di vertice e fedelissimi della compagine mussoliniana del rango di Dino Grandi e Renato Ricci.
Nonostante le forti opposizioni sociali all’applicazione del Decreto culminate sia in proteste insurrezionali – che in alcuni casi necessitarono dell’intervento militare del governo -, che in lettere di doglianza di ex partigiani destinate a Togliatti e poi recuperate nei suoi archivi personali, l’amnistia conobbe una florida applicazione. Il roboante vuoto giudiziario che ne seguì consegna alla storia una giurisprudenza permissiva e non del tutto defascistizzata che ha esteso il perimetro di applicazione di un testo per certi versi considerato lacunoso e dal tenore letterale equivoco.
L’impunità di cui tanti beneficiarono e la mutilazione processuale determinata da questa cornice normativa clemente e dai mancati accertamenti giudiziari sono considerati anelli mancanti che lasciano alcune i contorni di alcune dinamiche repressive del regime ancora nebulosi e dalla intricata storicizzazione.