Un abile furfante vive tra furti e frodi in giro per il mondo. Ma la sua amante non perdona il tradimento, e lo smaschera in tribunale. Una storia dal 1889.
Gli antichi latini hanno tramandato verità profonde in parole tanto concise da rimaner valide nei secoli. Così, potremmo dire che il personaggio che ci accingiamo a presentarvi ben si lega nella sua storia a una delle più antiche verità: in nomen omen.
Prado Linska, questo il singolare nome di un uomo intraprendente che condusse una vita altrettanto particolare. Prado era nato su suolo francese al tempo del consolato di Napoleone Bonaparte, o forse appena prima. Di lui sappiamo che fino all’età di 13 anni visse con una madre adottiva, e decise di emigrare nel nuovo mondo quando ella mancò. Si arruolò così nei panni di luogotenente per l’esercito di Carlo d’Asburgo, che allora si contendeva il trono della Penisola iberica con il cugino Filippo d’Angiò, infiammando l’Europa nella guerra di successione spagnola.
La carriera militare fu per Prado un vero e proprio sfondo per le prime gesta da malandrino: in questo periodo iniziò a cimentarsi nell’arte della frode e del furto, di cui avrebbe fatto onorata carriera di una vita.
Dapprima violò la frontiera francese per impossessarsi di golosi gioielli del valore di 8 mila franchi: un vero tesoro per un ragazzo dell’epoca! Dopodiché, venne arrestato come spia durante l’assedio di San Sebastián, e qui rischiò la vita per la prima volta. Ma il giovine imparò a intrecciare le trame della seduzione, e così allontanò la pallottola dal cuore grazie all’amore della figlia del governatore. Diverso tempo dopo Prado si trasferì all’Havana, un paradiso naturale in cui non trovò la pace ma acuì il suo tormento. Ebbe ancora l’occasione di rubare gioielli in una casa di prestiti, ma il furto avvenne sotto gli occhi di due testimoni, due signore che furono le sue prime vittime. Avete capito bene signori: accanto al furto, Prado introdusse l’omicidio nella lista dei suoi malfatti.
Ritornato in Europa, continuarono le sue efferatezze: rubò a un casinò di Madrid e sposò una ricca nobildonna che abbandonò dopo averne sperperato gli averi. Da questo momento in poi, Prado visse sulle spalle delle sue molteplici amanti, che erano quasi sempre ricche nobildonne sposate. Una di queste, la galante Maria Aguetant, cadde terza vittima della brama del Prado: morì il 14 gennaio 1886, trucidata per i suoi gioielli.
Ancora, l’uomo finse un importante patrimonio per attirare la signora Eugenia Forestier, che aveva sedotto a Parigi e alle cui ricchezze, ancora una volta, aspirava. La coppia decise di vivere insieme a Bordeaux, ma il lusso al quale Prado era oramai abituato lo spinse a dover cercare nuove risorse. Convinse quindi la sua Eugenia a fare ricorso alla generosità di un suo vecchio amante americano, mentre lui sedusse l’ingenua Maurizietta, figlia di una nobildonna, e la rese madre. Legato ormai indissolubilmente a questa donna, Prado poté godere da un lato del flusso costante di risorse delle suocera, con la quale si malignava avesse intimità. Dall’altro, tuttavia, Prado rinnegò l’amore con Eugenia, ma continuò a visitarne le stanze.
Durante uno di questi incontri, il malfattore rivelò alla sua bella l’omicidio di Maria Aguetant, che rimase segreto per mesi. Ben presto, però, la stella di Pardo smise di proteggerlo: l’ennesimo furto a Parigi, necessario dopo aver svuotato anche l’ultima tasca della Coronneau, lo portò al carcere. Dietro le sbarre finirono anche le sue donne, Eugenia e Maurizietta. A questo punto, signori, immaginate già quale fosse stata la sorte beffarda di Prado, che a lungo aveva tenuto separate le due, e ora veniva scoperto nelle sue oltraggiose bugie. La Forestier, amante rancorosa, raccontò a Maurizietta e al giudice del sangue versato da Prado, confermato poi dalle indagini giudiziarie.
Dopo anni di raffinata quanto brutale carriera, il furfante venne condotto dinanzi alle Assise della Senna. La corte si trasformò in una vera e propria arena di tigri, ma Prado sembrava più una lepre: provò a divincolarsi e scappare da ogni accusa, negando prima ogni parola della Forestier, ingiuriando poi le due donne, e infine, messo all’angolo, insinuò persino la corruzione del giudice. Quest’ultimo, infuriato dalle infondate insinuazioni dell’imputato, rimandò al giorno successivo l’udienza.
Nel mentre, Prado tramava con la suocera di evadere minacciando il giudice con un’arma, ma l’intervento di Maurizietta fu tempestivo per sventare la scenata. Tuttavia, non fu con Maurizietta ma con Eugenia il confronto finale: ella vomitò le bugie e le umiliazioni che aveva subito da quell’amante capace di condividerla con altri per pagarsi ogni agio. Eppure, l’amore della Forestier per Prado si manifestò autentico: lui pensò ancora di poter sfuggire alla condanna se avesse potuto sedurre, un’ultima volta, l’amante rancorosa. “La testa è ancor salda sulle mie spalle”, pensò quasi gioendo.
Il verdetto arrivò: assolte le due donne e un altro complice, mentre a due suoi sgherri fu destinata la reclusione. Di Prado venne chiesta la testa. A nulla servì il ricorso in cassazione, ma forse la speranza ancora restava nel ricorso per la grazia, di cui non abbiamo notizie.
Non sappiamo come finì la disavventura di Prado, né quella della sua testa. Possiamo però, cari lettori, lasciarvi con una considerazione finale: non confidate nel segreto delle amanti, se dovete proteggere una colorita carriera di furfante.
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