Il 23 giugno del 1668 nasce a Napoli da una famiglia di umili origini Giambattista Vico.
Il padre libraio direzionò il figlio alla formazione gesuita, iscrivendolo nel collegio dove iniziò a frequentare la seconda classe di grammatica. Dopo la parentesi scolastica si approcciò allo studio da autodidatta, avvicinandosi alla logica. Il suo percorso con la conoscenza fu nei primi anni molto sofferto e intermittente, avendo frequentato e interrotto lezioni di filosofia scotista ed essendosi avvicinato autonomamente alla metafisica.
Decise poi di dedicarsi alla giurisprudenza per assecondare la volontà paterna e dopo un tentato esordio nella carriera forense si dedicò alla didattica divenendo precettore dei figli del signore di Vatolla, marchese Domenico Rocca. In quei nove anni approfondì le sue conoscenze filosofiche e si dedicò all’apprendimento del latino e ad accrescere la sua cultura letteraria, per poi affinare l’erudizione storica.
La sua produzione storiografica si impernia principalmente su due opere redatte su committenza, la De parthenopea coniuratione e il De rebus gestis Antonj Caraphaei, entrambe legate agli accadimenti storici che videro Austria e Spagna contendersi il Regno di Napoli.
Sarà poi nella Scienza nuova che Vico paleserà la sua idea di storia e il paradigma vichiano del veruum factum, che sono termini dalla semantica convertibile utilizzati da Vico per indagare la coincidenza tra verità e eventi, ossia l’elaborazione della teoria secondo cui il “criterio di verità di una cosa stia nell’averla fatta”. È sempre in questa opera che Vico indaga gli antecedenti e le reazioni ad esse. A suo dire la storia degli uomini si basa sulle capacità degli stessi, che “prima sentono senz’avvertire; dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso; finalmente riflettono con mente pura”.
La storia dell’umanità, incardinata in continuum di “corsi e ricorsi” in cui si alternano momenti di sviluppo alto e derive critiche e degenerate, articola la sua evoluzione in tre età diverse: quella degli dei in cui domina la fantasia, quella degli eroi che funge da primordiale stratificazione dei nuclei sociali e dell’affermazione della virtù oligarchico-aristocratica e quella degli uomini in cui si afferma il principio di uguaglianza dinanzi alla legge, unico strumento a garanzia di ogni modello di funzionamento politico. La complessità del suo contributo filosofico nell’indagare la genealogia della civiltà si racchiude in una celebre affermazione di Benedetto Croce:
“Si potrebbe […] presentare la storia ulteriore del pensiero come un ricorso delle idee del Vico”
Il suo debutto nella ricerca giuridica è contenuto nella Sinopsi, a cui susseguì il De universi iuris uno principio et fine uno e il De constantia jurisprudentis. Sarà poi a partire dal 1720 che Vico si dedicherà alla pubblicazione del Diritto universale.
Vico si concentrerà nella ricostruzione delle leggi universali e funzionali allo sviluppo delle società, sviluppando l’ideale della Storia Ideal’Eterna su cui si radicano le storie di tutte le nazioni, che sono quindi trasposizioni del diritto natural delle genti. Secondo Vico diritto rappresenta lo strumento genetico primo di ogni evoluzione storica attraversata da tutte le nazioni civili, all’alba dell’epoca primitiva postuma al diluvio universale.
La poliedricità di questo gigante rappresenta il punto di contatto tra la cultura secentesca e quella illuministica, nonostante nel suo pensiero vi siano tracce di estraneità alla cultura illuminista e di forte attaccamento ai retaggi conservatori di certe teorie politico- religiose.