Nel 1883 si firmava a Parigi la Convenzione internazionale per la tutela della proprietà industriale.
Il contesto è quello, ben noto, della Rivoluzione Industriale e della conseguente crescita esponenziale che interessò gli scambi commerciali, spinti da quel momento in poi ben oltre i territori nazionali. Attraversare i confini conosciuti rese sempre più urgente la fino ad allora silente necessità di armonizzare le diverse leggi locali.
Emblematico quel che successe in occasione della Mostra Internazionale delle Invenzioni di Vienna del 1873, quando molti degli inventori che avrebbero dovuto esporre si rifiutarono addirittura di partecipare. Il motivo era semplice: esporre la propria invenzione senza che questa potesse essere in alcun modo tutelata li avrebbe esposti al rischio di vedersi irrimediabilmente sottratte le proprie idee.
Ecco perché proprio a Vienna nacque la proposta di convocare una conferenza internazionale per esaminare più da vicino una questione tanto cruciale e trovare, tutti insieme, delle regole comuni per proteggere i frutti dell’ingegno e del lavoro dell’uomo: la “proprietà industriale” e cioè, concordemente alle esigenze del tempo, per lo più le invenzioni.
L’appello fu raccolto in occasione dell’Esposizione di Parigi del 1878.
Dal 5 al 17 settembre si tenne infatti un vero e proprio congresso internazionale sulla proprietà industriale.
Obiettivo dell’incontro, il progetto di una legislazione unica tra gli Stati.
Al Congresso intervenne anche Alessio Romanelli, capo della Direzione dell’industria e del commercio del ministero dell’Agricoltura italiano e delegato per l’Italia, che diede voce a quelle speranze proponendo di convocare una conferenza internazionale che, partendo dalle risoluzioni del congresso di Parigi, potesse definitivamente predisporre una legge comune.
Una legge comune venne effettivamente scritta e vi aderirono 11 Paesi.