15 marzo 1844 – La rivolta di Cosenza e i fratelli Bandiera
Il moto cosentino del 1837 non aveva dato i risultati sperati. Il fuoco della rivoluzione crebbe. L’attaccamento alle idee della Giovine Italia anche.
Ci si aspettava che la situazione esplodesse da un momento all’altro e in verità la data designata doveva essere il 23 ottobre 1843. Purtroppo, a causa di una inaspettata tempesta, i rivoluzionari non riuscirono a raggiungere i punti concordati e l’operazione venne rinviata.
Alle idi di marzo.
“Uomini del 15 marzo si dissero coloro, che al 1844, fecero in Cosenza contro il borbonico governo la celebre sommossa, che iniziò l’indipendenza e l’unità politica d’Italia”, scriveva il poeta Vincenzo Padula.
La notizia di una sollevazione in Calabria arrivò anche a Corfù, da dove decisero di partire i Fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, ufficiali disertori della marina austriaca originari di Venezia.
I due, con al seguito due decine di compagni, sbarcarono sulle coste calabresi il 16 giugno per scoprire che della sommossa, finita nel sangue, non c’era più neanche l’ombra.
I fratelli Bandiera, però, fedeli alle idee mazziniane, non si fecero scoraggiare e decisero di continuarla loro quella rivolta, partendo per la Sila.
Con loro c’era anche il brigante corso-francese Pietro Boccheciampe che, per salvarsi, li abbandonò per strada denunciandoli alla polizia. Boccheciampe venne comunque condannato a cinque anni di carcere, anche se poi graziato.
Quanto ai fratelli Bandiera, il destino fu anche peggiore. Catturati dalla polizia, vennero processati di fronte alla Corte Marziale e condannati alla fucilazione.
Al grido di “Viva l’Italia” i due patrioti morirono giustiziati il 25 luglio 1844 nel vallone di Rovito, assieme ai mazziniani Nicola Ricciotti, Giovanni Venerucci, Anacarsi Nardi, Giacomo Rocca, Domenico Moro, Francesco Berti e Domenico Lupatelli.
Nello stesso luogo, pochi giorni prima erano stati giustiziati i patrioti calabresi autori dei moti di Cosenza Pietro Villaci, Nicola Corigliano, Giuseppe Franzese, Santo Cesario e Raffaele Camodeca.