Il giorno dei morti è una importante ricorrenza.
Tutti dedicano un pensiero ai cari e agli amici che non ci son più e a chi si è conosciuto in vita. Riaffiorano alla mente i ricordi, dolci e amari. Senza necessariamente scomodare il Principe De Curtis, ci si sofferma a pensare alla caducità della vita, a quanto siano effimere le ricchezze, e soprattutto al maledetto motivo perché questo giorno non sia rosso sul calendario e si debba comunque andare a lavoro.
Il tutto è poi condito dalle giornate più corte, dal freddo incipiente nei piccoli cimiteri di paese, quelli più tristi, con i morti dimenticati.
In questa atmosfera tutti, credenti e non, tendono a riconciliarsi con la propria spiritualità e non v’è nessuno che non abbia una breve preghiera da dedicare. Davanti al cimitero si formano lunghissime code di auto, il prezzo dei fiori schizza alle stelle come la benzina negli anni ’70, e i lumini di cera faticano ad accendersi. Normalmente piove.
A nessuno però verrebbe mai in mente di impedire o ostacolare questa celebrazione.
Non andò così nel 1909 a Molinella, piccolo centro rurale alle porte di Bologna. Il Sindaco Giuseppe Massarenti aveva infatti vietato alla cittadinanza di celebrare funzioni religiose nel cimitero comunale. Il divieto valeva proprio per i primi giorni di novembre.
Vi è da dire che il Massarenti era fervente socialista, difensore delle classi umili e dei braccianti, arrestato, confinato e internato durante il fascismo, perseguitato per le sue idee politiche.

Cimitero di Molinella
Va da sè, che in quanto socialista Massarenti non amava particolarmente i curati di campagna, e tra questi aveva un odio prediletto per l’arciprete di Molinella. Si racconta ad esempio che una volta nel 1907, quando un fulmine danneggiò il campanile della chiesa e il parroco si rivolse al Comune per avere una piccola sovvenzione, Masserenti rispose per iscritto dicendo che “se il buon Dio, nella sua infinita saggezza, ha pensato bene di punirvi col fulmine, è piuttosto a Lui che dovreste rivolgervi, anziché al sindaco di Molinella“.
Insomma, è forse proprio in virtù di questa malcelata antipatia che aveva emesso l’insensato ordine. Ma questa storia, così italiana, così emiliana, non può non ricordare l’epopea di Guareschi e dei suoi celebri personaggi. Seppur avvenuta addirittura prima della I Guerra Mondiale, questi personaggi possono ben ritenersi ispiratori di Peppone e Don Camillo.

peppone e don camillo
Fatto sta – tornando a noi – che il 2 novembre 1909, arciprete e fedeli di Molinella vanno al cimitero a dir e sentir dire messa. Il custode, dipendente comunale, sotto l’ordine del sindaco chiude i cancelli e sbarra l’ingresso. Interviene la polizia, convince il custode ad aprire, e permette la celebrazione della funzione religiosa. Intanto però, intorno, si era fatta una folla di anticlericali che disturbarono la celebrazione con grida e insulti, urlando “abbasso la religione” e inneggiando a Francisco Ferrer Guardial, anarchico spagnolo, fucilato nemmeno 20 giorni dopo essere stato condannato a morte per aver fomentato una rivolta popolare di contadini che non volevano partire per le guerre coloniali in Africa.
Su come sia andata a finire la storia, vi lascio alla sentenza.
Una chiosa: quando nel 1947 un oramai molto anziano Giuseppe Masserenti tornò dopo 27 anni di esilio a Molinella, uscendo dal portone del municipio verso la folla che lo acclamava la prima persona di cui chiese fu proprio il parroco.
In fin dei conti, c’è speranza per tutti.

massima
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