Con l’espressione Bill of Rights si definiscono, collettivamente, i primi dieci emendamenti alla Costituzione degli Stati Uniti d’America (1789), tutti volti ad assicurare una efficace tutela ad alcuni diritti ritenuti così “fondamentali” da essere connaturati a uno «schema di ordinata libertà» (Palko v. Connecticut [1937]). Il Bill of Rights fu aggiunto al testo della Costituzione come parte di un compromesso raggiunto durante la Convenzione di Philadelphia (1787), incaricata di riscrivere la “prima” carta costituzionale americana, i cosiddetti Articles of Confederation and Perpetual Union (1777). Durante la Convenzione, però, alcuni tra i partecipanti (su tutti, Alexander Hamilton e James Madison) decisero di cogliere l’occasione per tentare un’operazione più ambiziosa e radicale: anziché limitarsi a correggere le deficienze più gravi del sistema di governo federale allora vigente, essi proposero di fondarne uno nuovo, contrassegnato da un maggior grado di centralizzazione e supremazia sui singoli governi statali.
Ciò condusse al formarsi di due partiti opposti: da una parte, una coalizione raccoltasi attorno a Hamilton e Madison – e che prese il nome di Federalists – e, d’altra, il gruppo imperniato sulla figura di Patrick Henry – noto come Anti-Federalists – che temeva che il Governo federale avrebbe potuto usare i nuovi poteri per mettere a repentaglio tanto i diritti individuali quanto l’autonomia dei singoli governi statali. Tra i due gruppi fu, alla fine, raggiunto il già ricordato compromesso: gli Anti-Federalists acconsentirono alla ratificazione della Costituzione solo a patto di una sua emendazione, al fine di includervi una serie di espressi riconoscimenti di alcune libertà fondamentali, che il Governo federale non avrebbe potuto violare o avrebbe potuto invadere solo a precise condizioni – il Bill of Rights, per l’appunto. I Federalists accettarono, seppure obtorto collo, e James Madison, che aveva contributo in modo decisivo a scrivere il testo della “originaria” Costituzione, fu incaricato di occuparsi anche della stesura di questi ulteriori emendamenti, che furono infine ratificati il 15 dicembre 1791.
Alcuni degli emendamenti che compongono il Bill of Rights sono celebri anche tra i non americani: la protezione (quasi) assoluta della libertà di parola (primo emendamento), la libertà di detenere e portare armi (secondo emendamento), la garanzia del due process of law (quinto emendamento), il divieto di trattamenti penali crudeli o inconsueti (ottavo emendamento). Essi vengono comunemente intesi alla stregua di guarentigie di libertà individuali, ma – in verità, come si legge negli studi di Akhil Reed Amar – questa è solo una parte della storia. Il Bill of Rights ha, infatti, una “doppia anima”: recuperando la celebre distinzione che risale a Benjamin Constant, può dirsi che esso è espressione tanto della libertà dei “moderni” (una libertà “negativa”, dal Governo), quanto della libertà degli “antichi” (una libertà “positiva”, di partecipazione al governo). In altre parole, la preoccupazione dei fautori dell’inclusione di una dichiarazione dei diritti non era solo quella di proteggere i diritti individuali, ma anche quella di assicurarsi che il governo federale sarebbe rimasto espressione della sovranità democratica popolare, e non lo strumento in mano a ristrette élite o minoranze varie. Si pensi al primo emendamento, a norma del quale «il Congresso non potrà emanare leggi […] per limitare la libertà di parola o di stampa»: la libertà di parola non è pensata solo per consentire alle opinioni impopolari o minoritarie di essere espresse, ma anche per impedire al governo – eventualmente controllato da una minoranza – di soffocare la volontà della maggioranza popolare. O, ancora, si guardi al sesto emendamento, che proclama il diritto, per ogni imputato, «a un giudizio sollecito e pubblico da parte di una giuria imparziale dello Stato e del distretto in cui il reato è stato commesso»: il cosiddetto jury trial non serve solo a garantire il diritto del singolo incriminato a un regolare processo, ma anche quello della collettività alla partecipazione attiva nell’amministrazione della giustizia.
In verità, ad oggi, la doppia anima del Bill of Rights è molto più sbiadita di quanto non lo fosse un tempo. È opinione comune che in virtù dell’adozione del quattordicesimo emendamento, a seguito della vittoria dell’Unione nella guerra di secessione, il Bill of Rights sia da intendere ormai quasi esclusivamente come una carta di diritti individuali, e solo indirettamente di libertà collettive. Peraltro, l’aspetto più rilevante connesso alla ratificazione del quattordicesimo emendamento è rappresentato dalla cosiddetta doctrine of incorporation, che ammette la possibilità di invocare la tutela delle libertà presidiate dal Bill of Rights anche contro i singoli Stati. Così, e in un modo alquanto paradossale, il Bill of Rights, originariamente concepito come uno strumento di limitazione del governo federale, è diventato uno dei veicoli più importanti del rafforzamento di quest’ultimo nei confronti dei governi statali.