Nel contesto del Risorgimento napoletano, si distingue per le risposte argute e l’atteggiamento provocatorio verso l’autorità il patriota don Michele Viscusi, sempre pronto a ridimensionare l’aura di severità dei giudici borbonici con una battuta di spirito.
Un aneddoto che ci riporta il giudice milanese Virgilio Feroci nel suo libro Giustizia e Grazia del 1941.

Durante il Risorgimento, per la precisione nel corso dei moti del ’48 a Napoli, in uno scontro fra i liberali e la polizia borbonica, parecchi poliziotti erano rimasti malconci. Al processo che seguì il pubblico ministero sosteneva che i poliziotti erano ben dieci, gli imputati dicevano invece che erano solo otto. Il Presidente aveva appena pronunciato la condanna sulla base di dieci feriti, quando il principale imputato, don Michele Viscusi, noto fanatico del governo costituzionale, chiese la parola e disse: “Eccellenza, noi siamo stati condannati per aver percosso dieci sbirri, invece, come noi abbiamo sempre sostenuto, gli sbirri erano otto. Ho l’onore di chiedere, anche a nome dei miei compagni, che l’Eccellenza Vostra ci rilasci un buono per picchiare altri due sbirri. Cosa ne pensa?”.
In una simile occasione, Viscusi riuscì a dimostrare in giudizio che le guardie svizzere uccise dai rivoluzionari erano “solo” centoventi e non centoquarantotto, come sostenuto dall’accusa. Di fronte all’osservazione che si trattava pur sempre di più di cento vittime, l’imputato ebbe a replicare:
Ma signor procuratore, è pe la cuntabilità! Mò nce avite da fa buono vuie diciotto svizzere a nuie!
(“ma signor procuratore, è per la contabilità! Ora dovete mandarci buoni voi diciotto svizzeri a noi!”)
Don Michele Viscusi
Quando, in una delle ultime udienze, il procuratore Angelillo stava prolissamente riassumendo la requisitoria, lo scherzoso imputato si accorse che il presidente dormiva e fece al magistrato: “Ma, signor procuratore, voi così disturbate il sonno dell’egregio presidente…”, con quest’ultimo che si riprese all’improvviso ed esclamò, nell’ilarità generale, “Approvo la vostra dichiarazione!”.
Non parliamo poi del momento in cui Viscusi chiese un bicchiere d’acqua che tardava ad arrivare: “Signor presidente, a quanto pare, qui va più a buon mercato il ferro (i lavori forzati, n.d.a.) che l’acqua!”. Infine, gran finale, quando fu rimproverato dal giudice per questo suo continuo scherno nei confronti dell’autorità, rispose:
Signor presidente, qui, come tutti veggono, la causa va per le lunghe. Ogni tanto, na barzelletta nuu fa male! … Ccà, ridenno ridenno, nce ne iammo ‘ngalera!
(“Signor presidente, qui, come tutti vedono, la causa va per le lunghe. Ogni tanto, una barzelletta non fa male! Qua, ridendo ridendo, ce ne andiamo in carcere!”)
Don Michele Viscusi
Una volta pronunciata la (prevedibile) condanna, Viscusi fu rinchiuso nel carcere di Santa Maria Apparente, dove non si perse però d’animo e acquisì anzi la fama di personaggio. Una volta, con la scusa di volersi confessare, fece convocare presso la sua cella il prete confessore del carcere che, tra le altre cose, era un noto cabalista; intrapresero così una lunga conversazione sui migliori numeri da giocare. I carcerieri, che avevano origliato i due, si erano convinti che il detenuto avesse ricavato delle combinazioni di cifre fortunate per il lotto e così lo assillarono di domande finché questi non rivelò loro tre numeri. Le guardie giocarono e giocarono, una settimana dopo l’altra, ma non vinsero il becco di un quattrino. Nel frattempo, la pena di don Michele era stata scontata e, il giorno della scarcerazione, espressero tutta la loro indignazione per l’inganno: “Don Michè, nce avite appezzentute senza farce piglià maje niente!” (“Don Michele, ci avete resi poveri senza farci vincere mai niente!”).
Emblematica la risposta: “Nun putennove dà na spata ‘ncuorpo, v’aggio dato tre nummere à settimana!” (“Non potendovi dare un colpo di spada, vi ho dato tre numeri a settimana!”).

Vale la pena di approfondire la figura di don Michele Viscusi. Benché impiegato borbonico, come ispettore della illuminazione pubblica, fu tra i capi della rivoluzione: di lui raccontano che si assunse il compito di educatore del popolo e che, ogni domenica sera, usasse arringare la plebe partenopea da palchi improvvisati nelle piazze della città, decantando nelle sue orazioni le virtù del Governo costituzionale.

Le fonti sono concordi su un aspetto della personalità del patriota napoletano: anche nei momenti più seri per non dire drammatici, Viscusi non rinunciava mai allo scherzo e alla ricerca della risata.
Le pubbliche concioni di don Michele Viscusi son rimaste memorabili. Esse avevano la nota dell’epoca: la mistificazione e l’inganno nella sottile ironia che le infiorava di motti arguti, di riso beffardo, di immagini buffe. Perché la nota caratteristica di don Michele Viscusi era la burla. Egli, in tutti gli atti della sua vita, non ebbe di mira che la facezia e la corbellatura. anche senza uno scopo determinato, a lui piaceva di ridere e di far ridere; anzi allor che qualcuno voleva dare importanza ad un fatto egli più si ostinava a tradurlo in canzonatura. Ed in questo è la personalità bizzarra del tipo che non sarà mai dimenticato.
O. Giordano, Il ciceruacchio partenopeo. Don Michele Viscusi, 1908
– Don Michè è overo che cu la libertà mò nnu nce starranno cchiù mariuole? –
– Miezo a la strada no! … –
– Don Michè, è overo che mò se pò durmì cu’ e porte aperte? –
– Mò è de vierno! … Sempe è buono d’appannarle pe nun piglià catarre! … –
– Don Michè, è overo che mo’ se faciarrà sempe ‘a giustizia? –
– Unn dubitate, sarrate tutte giustiziate. –
– Don Michele, davvero ora, con la libertà, non ci saranno più criminali? –
– In mezzo alla strada, no! … –
– Don Michele, è vero che ora si può dormire con le porte aperte? –
– Adesso è inverno! … Forse è meglio chiuderle per non prendere malanni! … –
– Don Michele, è vero che ora si farà sempre giustizia? –
– Non dubitate, sarete tutti giustiziati.-
Chiudiamo con un ultimo aneddoto.
Un giorno, il commissario di polizia, non potendo impedire i pubblici comizi di don Michele, lo obbligò a radersi la barba, considerata allora ostentazione di liberalismo e di animo sovversivo. Il giorno dopo, Viscusi si mostrò in giro per la città assieme a tre suoi parenti, tutti quanti ben sbarbati. Il commissario lo rimproverò severamente per questa sua dimostrazione “alla rovescia”, ispirando al rivoluzionario partenopeo una strofetta in memoria dell’episodio:
Se peli ho sul mento,
fazioso divento.
Se rado la pelle
divento ribelle.
Ma in somma, per non esser rivoltoso,
mi volete peloso o non peloso?
Poesiola di don Michele Viscusi
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