Il 18 settembre 1805 nacque a Lucca Francesco Carrara, tra i più illustri esponenti della scuola classica di diritto penale.
Si laureò a soli 22 anni dopo aver frequentato il liceo universitario a Lucca, dove tornò nel 1848, questa volta dietro la cattedra, per insegnare diritto penale. In quello stesso 1848 Carrara, che sentiva fortemente la causa patriottica, manifestò il suo sostegno ai movimenti per l’indpendenza, pur prendendo le distanze dalle loro manifestazioni più radicali. Dal 1859 ottenne la cattedra di professore ordinario di diritto e procedura penale presso l’Università di Pisa.
La sua opera maggiore fu il Programma del corso di diritto criminale, stampato per la prima volta nel 1860, a cui si affiancarono numerosi scritti che spaziarono tra diverse tematiche di diritto penale.
Dopo l’Unità fece esperienza in politica, sia da deputato, sia da senatore. Partecipò alla commissione per il codice Pisanelli, nel 1866, e poche settimane prima di morire, il 15 gennaio 1888, ebbe modo di leggere il progetto di codice penale Zanardelli.
Nella sua opera Carrara diede risalto agli elementi costitutivi del reato, dotandoli di un fondamento razionale, che il giusnaturalismo illuministico si era preoccupato di dare solo agli interessi tutelabili dalle norme penali. Perché una condotta costituisse reato era innanzitutto necessaria la forza fisica, dunque una condotta offensiva di un diritto. Sulla necessità dell’offensività della condotta pose l’accento, perché si epurasse la punizione dei reati di ogni considerazione morale preconcetta. Un secondo elemento costitutivo del reato era la forza morale, intesa come profilo soggettivo del reato. A questo riguardo, approfondì il requisito del dolo, nell’intento di estendere la sua configurabilità oltre alle ipotesi di dolo diretto o intenzionale.
Carrara riteneva che la punibilità dei reati trovasse giustificazione non in un diritto di punire connaturato in capo al legislatore, bensì nell’accompagnarsi, alla lesione del diritto di un consociato, di un riflesso sociale del reato, quello che egli definiva danno mediato. Vi sono poi dei reati che per loro natura implicano un potenziale risvolto sociale già nel danno immediato, e sono quelle offese non strettamente individuali, ma indirizzate a beni collettivi quali la pubblica giustizia, la pubblica tranquillità, la pubblica salute. Tra questi, tuttavia, Carrara non annoverò i reati politici, che anzi sono i grandi assenti della sua trattazione. Probabilmente questa scelta risente dell’influenza del codice Leopoldino, che non prevedeva l’incriminazione per reato di lesa maestà. D’altronde l’influenza del codice toscano si ravvisa anche nella contrarietà di Carrara alla pena di morte, che egli considerava contraria alla legge della natura e per di più nemmeno utile socialmente.