Continuiamo la nostra incursione nella storia dei processi agli animali, spostandoci indietro nel tempo fino a un periodo storico di grande subbuglio per il nostro caro vecchio continente: la Rivoluzione Francese.
Vi abbiamo già raccontato qualche giorno fa l’incredibile storia (vera, lo giuriamo!) della scimmia processata per “ubbriachezza” molesta, una vicenda dai toni grottesca degna della America di fine Ottocento. Nulla di cui stupirsi.
Questa volta, ci spostiamo nel cuore dell’Europa e attingiamo a piene mani dal capolavoro letterario di Carlo D’Addosio, la folle miscellanea intitolata Bestie delinquenti pubblicata nel 1892 che abbiamo riscoperto e pubblicato con Le Lucerne.
Impostiamo così la nostra macchina del tempo fino all’epoca della Rivoluzione Francese, e conosciamo due simpatici animali: un cane reazionario e un merlo rivoluzionario.
Ci immaginiamo d’Addosio, anche lui come noi, intento a sfogliare un tomo intitolato Mémoires sur les Prisons, e scovarci la sentenza – datata 27 brumaio anno II (cioè 17 novembre 1793) – di condanna a morte nei confronti di un uomo e del suo cane.
Ci troviamo in pieno Regime del Terrore, un periodo in cui bastava un’accusa, anche infondata, per essere condannati e persino giustiziati come nemici della rivoluzione. Nel caso della nostra storia, bastarono un paio di morsi ben assestati.
Pare che, all’epoca, un tale di nome Saint-Prix avesse coinvolto il suo cagnolino nei propri misfatti, istigandolo a morsicare i polpacci di un venditore di giornali liberali.
Quando l’uomo finì a processo, il povero cane fu ritenuto colpevole tanto quanto il padrone. Anche l’atto del cane costituiva d’altronde una vera e propria “manovra anti-rivoluzionaria”.
Al cane venne riservato un processo ufficiale, tale e quale a quello del suo padrone, avviato dall’accusatore pubblico Antoine Quentin Fouquier de Tinville, feroce magistrato di Robespierre. Ne parlò M. E. Campardon nella sua Histoire du Tribunal Revolutionnaire de Paris, riportando anche l’intero processo verbale. Fu solo al termine del solenne processo che il cane venne ucciso, in presenza di un ispettore di polizia e di un sergente di un vicino posto di guardia.
D’Addosio si mostra sconvolto quanto noi nel riportare questa vicenda, commentando che “persino gli uomini della rivoluzione francese non si mantennero immuni da tali stupide usanze!”. Anche se c’è da dire che per lo meno al cane era stato concesso un qualche processo, per quanto sommario.
Per fare da controcanto all’accusa nei confronti del cane reazionario, il nostro d’Addosio cita poi un’altra sua lettura, dalle pagine della Storia d’Italia dal 1799 al 1814 di Giovanni De Castro. E infatti questa volta siamo in Italia, precisamente a Milano.
“Durante la reazione austro-russa in Milano, nel 1799, furono incarcerate molte persone innocenti, tra cui un bambino che gridava: Viva la Francia! La commissione di polizia si fè portare innanzi un merlo, che cantava il “Ça ira” e che ripeté la sua lezione innanzi al commissario Bazzetta”.
Un merlo rivoluzionario, quindi. Di lui, però, non ci è dato sapere se fu sottoposto a processo, né che fine abbia fatto. Se però volete farvi una idea su cosa stesse cantando, vi suggeriamo la versione di Édith Piaf.
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