Fino a che punto l’uomo può spingersi in termini di crudeltà? Probabilmente non vi è risposta, sarebbe come guardare all’interno di un pozzo senza illuminazione, non vedremmo la fine. Potremmo pensare che spesso, nel corso della storia, l’uomo ha toccato punte di atrocità tale da disumanizzarlo. Provando a scorgere il nostro sguardo in questo pozzo si potrebbero intravedere gli orrori di guerre e massacri, in ogni epoca, in ogni luogo del pianeta e contro tutti.
Spesso si dice che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, di sicuro non fu così per gli abitanti di Dresda, nella notte tra il 13 e il 14 febbraio del 1945. Quella città divenne un inferno, con fiamme e bombe che devastarono ogni cosa che trovarono sul loro cammino: costruzioni in acciaio, edifici, luoghi di culto, case e, soprattutto, persone, civili. Ancora oggi si è incerti sul numero preciso delle vittime di questa tragedia. Per alcuni decenni dopo la guerra si parlava addirittura di un numero vicino alle 250.000 vittime in totale (lo stesso Amadeus Konrad, cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, si spinse fino a questa cifra), ma un’inchiesta di più di dieci anni fa, a sua volta parlava di un numero compreso tra 22.000 e 25.000. In ogni caso, risulta davvero molto difficile arrivare ad un numero esatto, visto anche il numero esorbitante di profughi (spesso non ancora registrati al tempo della tragedia) che negli ultimi tre anni di guerra erano arrivati dai territori orientali del Reich tedesco, scappando dall’Armata Rossa.
Per parlare dell’inutile massacro di Dresda, si deve fare un salto di due anni in un’altra parte della Germania. Nella notte del 28 luglio del 1943 Amburgo fu vittima di un attacco aereo. Oltre alle consuete bombe, caddero sulla città bombe incendiarie con fosforo e benzina, oppure bombe a termite, un composto formato da ossido di ferro e alluminio granulare, in grado di sviluppare un calore tale da poter sciogliere il ferro. Il risultato fu spettrale, fiamme di diverse tonalità (dal rosso scarlatto al bianco, passando per il blu) che divorarono ogni cosa. Alcune bombe furono così potenti da sollevare da terra intere case, per non parlare delle vittime, sempre più simili a torce umane, che uscirono, per chi ci riusciva, urlando dalle rovine e agitandosi finché non stramazzarono al suolo. Fu una vera e propria tempesta di fuoco quella che si scatenò sulla città di Amburgo, che sicuramente rappresentò uno dei principali obbiettivi militari degli alleati, essendo non soltanto uno dei più grandi cantieri navali tedeschi, ma anche un crocevia fondamentale per le comunicazioni ed i commerci con l’Europa centrale e sede di molte industrie pesanti, in massima parte collegati anche agli armamenti via terra.
Sulla città di Amburgo vennero scaricati oltre 9.000 tonnellate di bombe, di cui la metà erano incendiarie, questa grande quantità di esplosivi andò ad impattare su un’area relativamente limitata ma ricca di fabbricati addensati e infiammabili, la mancanza di vento nella zona portò alla formazione di una corrente d’aria ascensionale di inaudita potenza e temperatura. L’elevata temperatura che scaturì in seguito alle esplosioni e agli incendi (dai 600 ai 1.000 gradi centigradi) surriscaldò l’aria che subito prese la via del cielo, facendo inesorabilmente precipitare l’aria fredda verso il suolo, generando venti verso il l’epicentro degli incendi che soffiavano ad una velocità di 300 km/h, al quale era impossibile opporre resistenza. Al centro della tempesta di fuoco si registrò una temperatura compresa tra i 300 e i 400 gradi centigradi e nel quale i cadaveri vennero completamente carbonizzati ridotti a circa un metro di lunghezza. A mano a mano che ci si allontanava dal centro la temperatura diminuiva, ma il calore era comunque così eccessivo da bruciare le vie respiratorie facendo morire le persone per soffocamento, per non parlare di coloro che vennero investiti direttamente dalle esplosioni (o direttamente dal fosforo) o comunque rimasero coinvolti nei crolli. Le vittime furono all’incirca 50.000. Quella notte lo sviluppo della tempesta di fuoco colse di sorpresa anche gli americani e i britannici, responsabili dell’accaduto, ma da quel momento la meccanica di questo tipo di bombardamento fu molto più chiara
La situazione di Dresda era decisamente diversa, si potrebbe dire che era una città prettamente culturale, con pochissime industrie e quelle che vi erano non erano coinvolte nella produzione bellica. Era, in assoluto, la più bella città romantica della Germania, con splendidi edifici storici e gioielli architettonici, cosmopolita e con un’intensa attività culturale. Con una popolazione di circa 600.000 abitanti in rapido aumento, visto l’incessante fiumana di profughi che, come già detto arrivavano da est, incalzati dai soldati sovietici, desiderosi di vendetta per le atrocità che i militari tedeschi avevano perpetrato a loro volta nei confronti della popolazione dell’Europa dell’est. Quindi viene da sé che la situazione era opposta dalla situazione in cui si era trovata la città di Amburgo, essendo questa un obbiettivo fortemente strategico a livello militare.
All’inizio del 1945 il conflitto stava entrando nel suo settimo anno, si può comprendere che dal punto di vita umano ciò comporti una sorta di logorio mentale da parte di tutti. È vero che sulla carta era solo una questione di tempo prima la Germania nazista capitolasse, ma ciò nonostante oppose comunque una strenua resistenza, facendo guadagnare agli alleati ogni chilometro con un pesante tributo di sangue. In tutto questo Dresda viveva un situazione paradossale, non era mai stata seriamente toccata dalla guerra e comunque la sua popolazione sperava che gli anglo-americani arrivassero prima dei soldati russi, nella convinzione che le truppe occidentali fossero più caritatevoli di quelle rosse. Anzi, addirittura serpeggiava le voci di un accordo segreto tra la Luftwaffe, RAF e USAAF per non toccare con i bombardamenti la città della Sassonia. Nulla di più lontano dalla realtà.
Il 13 febbraio alle ore 22.00 le sirene dell’allarme aereo investirono Dresda, che tra l’altro era rimasta priva di controaerea (che era stata spostata sul fronte orientale), mentre il cielo si riempiva di velivoli di ogni sorta e fu l’inizio della fine: per prima cosa furono rilasciati decine e decine di bengala e bombe segnaletiche, il cui compito era quello di illuminare la città ed individuare l’epicentro del bombardamento, lo stadio sportivo. La prima ondata di bombe venne rilasciate dopo circa venti minuti, con il rilascio di bombe fino a 3.600 libbre, poi i velivoli si allontanarono, ma coerentemente con la tattica che stavano adoperando, fare uscire allo scoperto la popolazione e i soccorsi con l’illusione di una tregua. Alle ore 1.28 del 14 febbraio arrivò la seconda ondata, circa 650.000 bombe, di cui 70% incendiarie come quelle lanciate su Amburgo caddero dai cieli su Dresda, con un analoga tempesta di fuoco che andò ad aggiungersi alle esplosioni. Il vento generato dalle correnti d’aria ascensionali fu talmente forte da trascinare anche vagoni ferroviari distanti tre chilometri. Fuoco, mancanza di ossigeno, vie aeree completamente bruciate uccisero a migliaia gli abitanti della città, molti furono ridotti in cenere tanto era elevata la temperatura. Chi non ebbe il coraggio di uscire dai rifugi fece comunque una brutta fine, soffocati o divorati dalle fiamme. L’inferno si abbatté sulla città della Sassonia, i testimoni parlano di un vero e proprio oceano di fiamme al quale era impossibile opporre resistenza, tanto che il bagliore della colonna di fuoco di Dresda era visibile a oltre un centinaio di chilometri e gli incendi proseguirono per altri cinque giorni. In totale vennero sganciate 2.702 tonnellate di bombe, non una cifra spropositata, ma sufficiente per causare una delle più grandi tragedie della Seconda Guerra Mondiale.
Settantasei anni fa il pozzo nero della guerra venne illuminato dalla sinistra luce dell’inferno di Dresda.