Da che mondo è mondo lo sport preferito di chi vede Sanremo è la caccia al plagio. D’altronde la storia giudiziaria è ricca di cause per plagio di opere sanremesi. Qui vi raccontiamo tutti i casi, compresi quelli più insospettabili, da “Volare” a “Romantica”.
Anche quest’anno, più che aspettare Sanremo, che nessuno vede e che tutti vedono, si aspettano con ansia le immancabili polemiche su Sanremo.
Sin dalla prima edizione del Festival nel 1951, infatti, di scandali, gaffe e controversie se ne sono susseguiti a non finire. Tra tutti, quelli che a noi fanno particolarmente gola sono le accuse di plagio.
Il primissimo caso risale al 1954 e ha per protagonista la seconda classificata di quell’anno, “Canzone da due soldi”, interpretata da Achille Togliani in coppia con Katyna Ranieri. Il maestro Carlo Innocenzi citò il compositore Carlo Donida Labati e la casa editrice Ricordi sostenendo che il tema della canzone premiata riprendesse quello della sua canzone “Bocca desiderata”. In giudizio, però, la situazione si complicò, perché intervenne un terzo maestro, Giuseppe Borello, sostenendo che sia Donida che Innocenzi avevano copiato la sua “Appassionatamente t’amo”. I periti nominati dal Tribunale esclusero all’unanimità l’esistenza di un qualsiasi plagio: quel motivo tanto contestato si udiva davvero nelle composizioni di Innocenzi e Borello, ma anche di tantissimi altri del passato. Era solo un “luogo comune musicale”, su cui nessuno poteva avanzare diritti.
Nel 1956 toccò a Nino Oliviero comparire in tribunale. L’autore della parte musicale de “La vita è un paradiso di bugie”, cantata quell’anno sul palco dell’Ariston da Luciana Gonzales, era stato accusato dal maestro Domenico Surace di aver plagiato il motivo di una sua canzone del 1954 dal titolo “Ninna nanna del cuore”. Surace fece ricorso chiedendo il sequestro di tutte le copie a stampa della canzone e di tutti i proventi spettanti a Oliviero. Un anno dopo, però, arrivò la pronuncia: la canzone non poteva essere considerata un plagio.
Il 1958 fu l’anno indimenticabile in cui Domenico Modugno trionfò la sua “Nel blu, dipinto di blu”. Mentre il singolo scalava le conquistava le classifiche non solo italiane ma di tutto il mondo, non poteva non fioccare anche un atto di citazione. Ve lo avevamo già raccontato in un articolo di qualche tempo fa: il musicista Antonio De Marco citò in giudizio Domenico Modugno e il coautore Franco Migliaccio insieme alla casa editrice Curci, sostenendo che la canzone fosse il plagio sia nella musica che nelle parole di una sua composizione del 1956 intitolata “Il castello dei sogni”. Peccato che – come affermava De Marco – lo spartito di questa sua canzone si trovasse in una borsa che aveva smarrito sul Lungotevere proprio nel momento in cui stava andando a depositarlo alla SIAE. Nondimeno, De Marco chiedeva convintamente a Modugno ben 15 milioni per i danni sofferti, riservandosi pure il diritto di chiedere la liquidazione di ulteriori danni da determinarsi nel corso del giudizio.
Il Tribunale di Roma, come si può immaginare, assolse Modugno e Migliaccio, ma il cocciutissimo De Marco volle portare la vicenda in appello a Milano. Modugno, da parte sua, rispose con una serie di querele per diffamazione e stravinse, sia nelle cause per diffamazione che in appello (se volete leggere la sentenza, vi rimandiamo qui).
Non poté godersi per troppo tempo la vacanza dalle aule di tribunale: fresco della nuova vittoria a Sanremo 1959 con “Piove” fu investito da un’altra accusa di plagio. Stavolta era il maestro Enzo Aita a presentare l’istanza, affermando che il titolo “Piove” era stato ripreso da una sua composizione del 1939. Il pretore capo di Napoli rigettò l’istanza senza troppi indugi e condannò Aita a pagare tutte le spese di lite.
Nel 1960 le accuse di plagio colpiscono Renato Rascel, autore della canzone vincitrice di quell’anno: l’indimenticabile “Romantica”. È la stampa tedesca a sostenere per prima che il motivo derivi dalla canzone bavarese “Ja, ja, der Chianti Wien”. Ma anche se le tre note iniziali del ritornello sono le stesse, è troppo poco per parlare di plagio. Le discussioni sulla vicenda assunsero toni vivaci, ma i tribunali non furono nemmeno chiamati in causa. Qualche mese dopo, però, un medico abruzzese di nome Nicola Festa tornò alla carica contro “Romantica”, affermando che fosse uguale a una sua composizione chiamata “Angiulella”. Stavolta, in effetti, le somiglianze erano più evidenti: il musicista incaricato di confrontare le due composizioni, Ildebrando Pizzetti, rilevò 12 battute in comune. Nessuno poteva mettere in dubbio la neutralità di Pizzetti, che dall’alto della superiorità della sua arte giudicò entrambe le “canzonette” in verità molto insignificanti, amorfe e, soprattutto nel caso di “Angiulella”, dilettantesche. Al pretore di Roma non rimase che ordinare il sequestro cautelativo del singolo di Rascel.
Alla fine la causa si concluse con sentenza dell’11 maggio 1965 a favore di Rascel, non senza prima scomodare, però, nientedimeno che Igor Stravinskij per avere il parere di un altro esperto.
Arriviamo al 1963, quando Tony Renis fu accusato dal maestro Pasquale Frustaci, il quale riteneva che la vincitrice di Sanremo “Uno per tutte” costituisse plagio una sua canzone di quindici anni prima, “Noi siamo quelli dello sci sci”. Nel presentare l’istanza di sequestro, Frustaci aveva allegato anche una consulenza sottoscritta da otto musicisti che confermavano l’identità di molte battute. Cosa fece a quel punto la casa discografica? Rispose che, se proprio si doveva parlare di plagio, allora bisognava accusare anche l’accusatore. Benché riconoscesse una casuale somiglianza fra la canzone di Renis e quella di Frustaci, infatti, “Noi siamo quelli dello sci sci” non era certo originale: c’erano un sacco di altre canzoni precedenti che le somigliavano (e compose perfino un disco che le raccoglieva tutte). La “frase incriminata” che accomunava tutte quante, in ogni caso, era ormai in pubblico dominio e poteva essere ripresa a oltranza. Indovinate come andò a finire per Tony Renis? Assolto, ovviamente.
Ma il 1963 fu un anno abbastanza succulento da regalarci anche un altro caso: pure la seconda classificata, “Amor, mon amour, my love” interpretata da Claudio Villa ed Eugenia Foligatti fu accusata di plagio dal professore in pensione Lino Mirko Pacchioni, che rinveniva nelle prime note della canzone un calco dell’apertura del “Silenzio” militare. Dopo aver fatto qualche minaccia di denuncia alla Procura della Repubblica contro i compositori e aver fatto parlare i giornali, però, il prof. deve aver cambiato idea.
Col passare degli anni la solita accusa di plagio saltò fuori molto spesso, se ne parlò sui giornali e poi anche in TV e su internet, ma molto meno spesso gli accusatori si presero la briga di mettere di mezzo gli avvocati. E non solo – o non tanto – perché tutti i casi precedenti si erano risolti con una scoraggiante sconfitta per chi si era rivolto ai giudici, ma anche perché la posta in gioco in caso di vittoria nel processo era diventata via via forse meno allettante.
Nei primi anni, il Festival non aveva rivali di nessun tipo: tutta l’Italia ascoltava in radio e comprava i dischi solo delle canzoni sentite per la prima volta a Sanremo e attorno alle vincitrici giravano tantissimi soldi (e, guarda caso, quasi tutte le canzoni accusate erano proprio le vincitrici).
In seguito l’offerta del panorama musicale divenne sempre più varia e si capì che denunciare i successi di Sanremo era un pessimo affare.
Per conoscere un nuovo caso che arrivò davvero in tribunale dobbiamo quindi fare un lungo salto in avanti fino al 1992, quando Aleandro Baldi e Francesca Alotta vinsero Sanremo nella categoria “Nuove proposte” con “Non Amarmi”. Il giovane casertano Francesco Oliviero presentò un ricorso alla pretura di Firenze sostenendo che il successo sanremese attingeva abusivamente dal suo pezzo “Non finisce qui”. Per eseguire un’analisi comparata fu chiamato un perito d’eccezione: Ennio Morricone. Il maestro ravvisò alcune innocue somiglianze, ma d’altra parte entrambe le canzoni ricordavano centinaia di brani del passato, fra cui persino composizioni di famosissimi autori classici, da Mozart a Bach a Haendel. Aleandro Baldi e l’editore Giancarlo Bigazzi rimasero soddisfatti solo a metà del parere di Morricone, il quale riconosceva che il brano non era stato copiato, però aveva detto neanche tanto velatamente che era ben poco originale.
Da allora di vicende giudiziarie non ce ne sono state più (almeno per ora). Le polemiche, però, sono sempre state gratis e se ne sono profuse a volontà, finendo per toccare un po’ tutti, da Patty Pravo a Toto Cutugno.
Nel 1995 la cantante Giovanna Nocetti, in arte Giovanna, mandò un telegramma a Pippo Baudo e all’allora sindaco di Sanremo Guido Oddo diffidandoli dal lasciare che Massimo Ranieri interpretasse ancora “La vestaglia“. Perché? «Perché è un plagio della mia canzone “Un’ora insieme a te”», dichiarò ai giornali. Ranieri difese gli autori della canzone Marcello Marrocchi e Giampiero Artegiani, che nel 1988 gli avevano consegnato la trionfale “Perdere l’amore”, definendoli due professionisti che non avevano certo bisogno di scopiazzare. Piuttosto giudicò l’assurda accusa come un becero modo per Giovanna di far tornare a parlare di sé dopo essere stata eclissata dalle scene per un po’.
Giovanna infatti aveva presentato “Un’ora insieme a te” alle selezioni per Sanremo del 1981, ma era stata scartata e a partire dal 1983 si era impegnata per fondare un sindacato di cantanti, che aveva trovato il supporto della Lega Nord.
Il capostruttura Rai Mario Maffucci, comunque, dichiarò che non c’erano gli estremi per squalificare Ranieri: che Giovanna si rivolgesse al tribunale. Cosa che non fece.
Nel 1996 finì sotto il mirino dei media Ron, vincitore quell’anno insieme a Tosca con “Vorrei incontrarti fra cent’anni“. Il Corriere della Sera vestì i panni dell’avvocato di Shakespeare, notando provocatoriamente che molti versi della canzone ne riprendevano i sonetti. Ron, rintanato nell’Oltrepò pavese, non rilasciò neanche un’intervista e rispose per lui il manager Piergiovanni Moro: Ron leggeva molto e le sue canzoni assorbivano le sue letture. Ma in fondo, quale scrittore non si è mai lasciato ispirare dalla letteratura precedente? Non c’è neanche bisogno di dire che anche stavolta la vicenda si dissolse in un nulla di fatto.
Ormai il fantaplagio a Sanremo è diventato sport nazionale: anche quest’anno parte la caccia alla canzone che ce ne ricorda un’altra.
© Riproduzione riservata