Nel 1898 a Parigi spopolavano degli spettacoli molto particolari: quelli della donna petomane! Senonché un giornale benpensante la accusa di non produrre veri peti bensì dei suoni artificiali e l’artista, indignata, fa causa chiedendo il risarcimento dei danni per queste ingiuste accuse.
Il Moulin Rouge era stato fondato da pochi anni e nel 1898 era già una attrattiva prelibata per i palati fini che si fossero arrischiati a inoltrarsi nel quartiere di Pigalle, un po’ quello che per Milano rappresentava il Bottonuto.
Ma mentre il quartiere milanese è stato soppiantato dal razionalismo, il leggendario Moulin Rouge è ancora lì, sopravvissuto agli incendi e ai nazisti.
Chi lo sa cosa accadeva in quel teatrino cento e passa anni fa. Forse spettacoli che ora ci sembrerebbero ridicolmente pudici, ma che allora dovevano sembrare pornograficissimi (sulla morale del tempo, peraltro, abbiamo scritto molto qui, qui e qui). Di sicuro, il mulino rosso era una istituzione, tanto da attirare la attenzione, l’interesse e le brame delle riviste giuridiche dell’epoca.
Su Rivista Penale del 1898, in particolare, ci siamo imbattuti in una storia che non potevamo certo tenere per noi.
C’era questa diva del Moulin Rouge che aveva una qualità diversa dalle colleghe: non ballava, non si strusciava, non faceva il can can, ma si esibiva in… fragorosi peti. Una specie di freak esposto al pubblico ludibrio del pubblico maschile che a quanto pare mostrava di apprezzare questo strano spettacolo, forse anche più dei normali, noiosi e ordinari spogliarelli, tanto da pagare un biglietto aggiuntivo apposta. Un bel franco per vedere la petomane!
Ma ve li immaginate i francesi tutti divertiti e goduriosi, sicuramente sghignazzanti, mentre salivano le scale per andare al primo piano per non perdersi lo spettacolo di Angèle Thiébaud (questo era il suo nome). Chissà che scuse inventavano per le mogliettine: “Chère, Je vais ou café”… E invece andavano dalla donna petomane. Infingardi. Pervertiti!
Non dovevano poi essere pochi questi appassionati, se persino la stampa si interessò al caso. Naturalmente per praticare lo sport prediletto della pubblica opinione: criticare.
In particolare, il sapido giornale con la puzza sotto il naso “L’art lyrique et le Musée-Hall” aveva preso a bersaglio la nostra amata Angela. Una dura presa di posizione contro lo sconcio spettacolo? No. La critica riguardava le modalità di esibizione. Il giornale malignava che i “suoni” non fossero naturali, ma artificiali. Leggete qua
Fa meraviglia che la Direzione faccia pagare un franco per andare a udire al primo piano la donna petomane; costei, che non à neanche la scusa d’esser bella, imita la soave musica in questione per mezzo di un soffietto che tiene in saccoccia. È una trappoliera, una turlupinatura di cattivo gusta che la Direzione non dovrebbe permettere.
Una vergogna insomma: uno pensa di andare lì per udire veri peti e invece è tutta una messinscena! Inutile a dirsi, l’artista s’offende e s’arrabbia: quell’articolo rischia di rovinarle la carriera. Leggiamo la nostra rivista perché il modo in cui lo dice è eccezionale:
“Com’ebbe letto ciò la donna petomane, sentendosi offesa nell’onore e nella riputazione, ricorso subito alla giustizia. Libero il giornale di apprezzare come gli pare questi suoi esercizi; ma non dica che è una turlupinatura, mentre essa non fa che esplicare un dono naturale. Libero di pensare quel che vuole, ma non di danneggiarla nei suoi interessi, allontanando gli avventori dalle sue esperienze, che non avrebbero più valore quando si trattasse, il che non è, di un artifizio qualunque”.
Che poesia.
L’artista quindi fa causa chiedendo il risarcimento di un danno per un somma pari a duemila lire. Immaginiamo – anzi ci auguriamo – che nel corso del giudizio sia stato condotto un esperimento giudiziale e che l’artista abbia dato prova delle sue genuine abilità, magari indossando un abito che non lasciasse dubbi sull’inesistenza di qualche strano marchingegno.
Purtroppo, però, il Tribunale della Senna respinse quell’istanza ritenendo non provato il danno, “e tanto meno poté ritenere che concorressero nella specie gli estremi della diffamazione, perché dire che si tratta di un trucco non di una realtà, non comporta violazione dell’onore e della reputazione. Inoltre, aggiunse la corte, che nemmeno poteva parlarsi di attentato alla reputazione professionale, dato che quello della donna petomane non era un talento personale“.
Su questa ultima affermazione dell’Ecc.mo Tribunale della Senna, seppur a distanza di 140 anni, ci permettiamo sommessamente di dissentire.
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