Si voleva fare un” upgrade” della forma di governo e si è finito per cadere nell’assemblearismo, che è una degenerazione, una patologia del parlamentarismo.
Chi vi scrive è uno sconfitto. Sconfitto per varie ragioni. Ero convinto che la discussione sull’erede di Sergio Mattarella fosse incentrata su un’idea e non sul nome. Per questo mi convinsi (ma ne sono ancora convinto) dell’opportunità di un nome come quello di Marta Cartabia. Ma chi siede in Parlamento ha altri piani.
La sconfitta da parte mia sta, più che nel non aver previsto il nome giusto per il Colle, nel non aver troppo considerato la retrocessione della forma di governo in un assemblearismo in salsa italiana: non più partitocrazia, bensì autonomia e colpi di spugna di chi siede in Parlamento.
Sia chiaro: un Parlamento con prese di posizione è un augurio lieto per ogni corpo elettorale. Ma quando le decisioni si prendono senza una visione politica, facendosi guidare da paternalismi e da veti incrociati allora qualche problema sussiste.
È unità nazionale non ascoltare le “prediche inutili” (parafrasando Einaudi) di chi siede al Quirinale e ha chiesto, interpretando i sentimenti della Comunità nazionale, una presa di posizione forte guardando al futuro? Lo si era visto già quando il nome di Draghi era diventato l’unico nome ignifugo assieme a quello di Mattarella, che manteneva almeno 100 voti a chiama.
Spostare al Quirinale il Presidente del Consiglio, sapendo che si tratta di una personalità con un alto mandato di indirizzo politico, poiché gestisce il PNRR, è una decisione che ha precise conseguenze dal punto di vista costituzionale. Ma anche mantenere al Quirinale uno dei più grandi interpreti del ruolo, non ascoltando le sue ragioni costituzionali sull’opportunità della non rielezione, non può restare senza effetto.
Se un presidente in carica spende mesi a spiegare che vi è una opportunità costituzionale nell’imporre un divieto di rielezione lo fa argomentando e facendo riferimento alle sensazioni di più predecessori, non si può ignorarlo.
Se si vuole, infine, recidere il legame di responsabilità politica con l’elettorato e con il complessivo dello Stato Comunità e Apparato, c’è una conseguenza chiara che credo si sia materializzata: si voleva fare un” upgrade” della forma di governo e si è finito per cadere nell’assemblearismo, che è una degenerazione, una patologia del parlamentarismo.
Quest’ultimo ha da esserci solo se chi siede nell’assemblea non confonde l’art. 67 Cost. con la possibilità di disancorarsi da ogni dovere di interpretare i timori e i sentimenti che si celano nel Paese. Mi auguro vivamente di sbagliarmi, e che tutto questo sia in realtà frutto di precise strategie politiche e di programmazione (anche costituzionale).
Ce lo dirà la Storia e, forse, già le prossime elezioni. Una cosa è certa: Mattarella e Draghi saranno diversamente chiamati a garantire unità istituzionale e di azione nell’indirizzo politico. Si chiede tantissimo, sopratutto al primo, e sarebbe bene, qualora dal Colle più alto provenissero nuove prediche, di ascoltarle.
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