C’è sempre la storia che ci mette lo zampino. Nella vita e nelle più bieche questioni politiche. Così capita di ricordare che alla fine degli anni ’90, nel bel mezzo della XIII legislatura, Sergio Mattarella era il capogruppo del Ppi, il Partito Popolare Italiano. Uno degli eredi, forse il principale della già vecchia DC, partito che sarebbe diventato “La Margherita” prima di fondersi con i DS e dare vita al PD.
Ebbene, al tempo, pur non essendo imminenti le elezioni del capo dello Stato, forse memori del travaglio del 1992, o meglio per convenienza, furono in molti che dalla maggioranza di governo provarono a spingere per una rielezione di Oscar Luigi Scalfaro. Tra questi, proprio l’onorevole Sergio Mattarella, che in una intervista al Corriere della Sera del 28 agosto 1998 dichiarò: “Per ora la cosa più importante è l’identikit del futuro capo dello Stato Io penso debba avere equilibrio, gran senso delle istituzioni e svolgere un ruolo di garanzia attiva. Proprio quello che Scalfaro ha realizzato in questo settennato“.
E quando l’intervistatore gli chiese se stesse pensando a una personalità simile a Scalfaro, lui rispose: “No, io penso a Scalfaro“.
Provò anche a sostenere che pure l’opposizione si sarebbe potuta accodare alla rielezione in un rinnovato spirito di intesa sulle riforme, soluzione invero assai improbabile visto i rapporti d’odio tra Scalfaro e Berlusconi, che dell’opposizione allora era il leader.
Come sappiamo, quella convergenza sullo Scalfaro-bis non si verificò, e nel maggio successivo, alla prova delle elezioni, fu eletto Ciampi, votato a larghissima maggioranza.
Strano osservare che anni più tardi, nel 2015, fu proprio l’occasione della elezione di Mattarella a rompere il dialogo tra gli schieramenti, con Berlusconi che si sfilò dal patto per le riforme istituzionali. In queste ore, mentre Forza Italia si schiera per il Mattarella-bis e pure Berlusconi conferma il proprio appoggio al Presidente, sono in molti a gongolare in Parlamento.
PS: nella stessa intervista, Mattarella disse anche che non avrebbe scommesso nemmeno cento lire sul rischio che Rifondazione mettesse in crisi il Governo Prodi.
Come è facile raccontare la storia col senno del poi?
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