La vita
Tiberio Deciani nasce a Udine il 3 agosto 1509 da nobile famiglia. Dopo aver ricevuto un’educazione umanistica nella città natale, nel 1523 si trasferisce a Padova dove studia diritto sotto la guida di Marco Mantova Benavides e consegue con grandi onori il dottorato in utroque iure il 19 aprile 1529. Ritornato a Udine, sposa nel 1530 la nobile Maddalena Antonini, e affianca all’attività di avvocato e consulente un intenso impegno politico e diplomatico a servizio della città, quale membro prima del Consiglio maggiore e poi dei Settemviri, deputati al governo della città.
Trasferitosi a Venezia nel 1544, in virtù dell’abilità oratoria, unita alla profonda cultura giuridica, si guadagna notevole fama, tanto da essere chiamato ad assistere i nobili veneziani che svolgono funzioni di governo nelle città di Terraferma: nel 1546 è assessore del podestà di Vicenza Lorenzo Venier, nel 1548 ricopre lo stesso incarico a Padova per Bernardo Navagerio e nel 1550 a Verona per Francesco Venier. Mentre si trova a Padova, il 23 aprile 1549 il Senato di Venezia, apprezzandone la capacità di coniugare dottrina e pratica, lo chiama a tenere l’insegnamento di diritto criminale presso lo Studio patavino; contemporaneamente, viene ammesso nel Collegio dei giuristi di Padova. Il 12 ottobre 1552 il Senato gli affida la seconda cattedra di diritto civile, insegnamento che terrà fino alla morte dopo essere passato nel 1570 alla prima cattedra, posizione di massimo prestigio accademico.
Nell’ambiente padovano instaura rapporti di amicizia e di intenso confronto culturale con colleghi giuristi (tra i quali, oltre al Mantova, Guido Panciroli, discepolo di Andrea Alciato, Jacopo Menochio e Francesco Mantica, suo allievo) e intellettuali di stampo umanistico. I suoi impegni in ambito universitario non si limitano alla docenza: i riformatori dello Studio patavino gli affidano prima, nel 1550, l’incarico di curare l’edizione a stampa degli statuti dell’Università, poi, nel 1562, assieme a Mantova, Girolamo Tornielli e Guido Panciroli, quello di riformare gli statuti stessi, modificati in modo da favorire il controllo del Senato veneziano sullo Studio senza nessun coinvolgimento degli studenti.
Deciani, doctor iuris di apparato al servizio delle strategie di potere di Venezia, per la quale svolge importanti consulenze giuridiche oltre che incarichi diplomatici, il 21 ottobre 1578 viene nominato dal Consiglio dei Dieci consultore in iure della Serenissima, massimo riconoscimento per i giuristi più fedeli alle politiche veneziane. Grazie all’abilità oratoria, alla fama acquisita con l’insegnamento e alle competenze sui molteplici profili del diritto comune, si dedica a una rilevante attività consiliare anche per illustri committenti (oltre al Senato veneziano, gli imperatori Carlo V e Ferdinando I per questioni sulla spettanza di feudi e castelli, i duchi d’Este per lo scontro sulla precedenza con i Medici, la Repubblica di Genova per la confisca dei beni dei Fiesci, il patriarca d’Aquileia Giovanni Grimani accusato d’eresia).
Muore a Padova il 7 febbraio 1582.
Il Tractatus criminalis
L’opera più importante di Deciani è il Tractatus criminalis, edito postumo a opera del figlio Niccolò nel 1590 e rimasto parzialmente incompleto.
Composto di nove libri, il Tractatus è organizzato secondo uno schema espositivo nuovo per la materia criminale: affronta questioni terminologiche, risalendo all’origine storico-filologica dei vocaboli utilizzati nel diritto penale e spiegandone poi il corretto significato (libro I); analizza il concetto di delitto in astratto, prima attraverso gli strumenti della logica aristotelica, con cui ne indaga l’origine, le cause, la definizione, gli elementi, poi dilungandosi sul rapporto tra delitto e legge e sulla differenza tra reato e peccato (libro II); descrive le regole processuali (libri III-IV) con quasi esclusivo riferimento al modello accusatorio; propone le consuete classificazioni dei reati (ordinari e straordinari, privati e pubblici) per poi passare alle descrizioni delle singole figure criminose ripartite secondo il criterio del bene leso (libri V-IX).
I primi due libri sono molto diversi dallo stile delle Practicae, dei trattati tematici o delle stampe di lecturae su leggi o parti del corpo giustinianeo in ambito penale, opere orientate per lo più a spiegare funzioni e modi del processo o a descrivere in modo casistico i comportamenti punibili. I generalia omnia delictorum costituiscono l’aspetto più originale del lavoro decianeo, capaci di caricare di un significato nuovo anche i contenuti attinti con continuità dal deposito del diritto comune. Pur non trattandosi di una parte generale nel senso che tale espressione ha assunto a partire dalle codificazioni moderne, la ricerca di uno spazio teorico in cui definire regole, principi, caratteri del reato in astratto segna certamente una forte discontinuità con la letteratura precedente, e avrà una fortuna di lungo periodo nella scienza criminale.
La chiave di lettura per interpretare le ragioni della sperimentazione metodologica del Tractatus deve tener conto sia dell’influenza esercitata su Deciani dall’Umanesimo nell’ambiente padovano, sia della sua volontà di sostenere la politica penale egemonica veneziana. La scelta di scrivere una prima teoria generale del reato presuppone competenze sistematiche che egli ha potuto perfezionare non solo leggendo gli umanisti d’oltralpe, ma anche confrontandosi con docenti dello Studio patavino che già avevano avviato una riflessione sul contractus in genere, elaborando attraverso gli strumenti dialettici una concettualizzazione della categoria generale del contratto.
L’opzione metodologica del trattato, tuttavia, non può essere intesa solo come una scelta di stile, perché la razionalizzazione del delictum in genere e l’ordinata descrizione dei suoi elementi costitutivi, oltre a testimoniare dell’autonomia scientifica raggiunta dal diritto criminale, veicolano anche una visione politica sulla funzione costituzionale del penale nel Cinquecento. Sistematizzata attorno ad alcuni principi guida, definita nei suoi caratteri necessari, strettamente ricondotta alla dipendenza dalla legge scritta, differenziata dal peccato, la teoria del delictum di Deciani è perfettamente funzionale al modello di penale egemonico, centralizzato nelle mani del principe e strumentalizzato come leva di governo, che gli Stati europei stanno cercando di imporre nel 16° secolo.