Il sistema di rilevazione delle impronte digitali è antico di 4.000 anni, ma fino all’Ottocento in Occidente venne snobbato.
Ad oggi, il sistema di rilevazione e archiviazione delle impronte digitali è il metodo principale usato dai corpi di polizia a livello mondiale per identificare le persone. In Occidente si è diffuso lo scorso secolo, ma non ci siamo inventati nulla: ci sono stati popoli che lo utilizzavano persino 4.000 anni fa.
L’Asia ha il primato
Nell’odierno Iraq, tra le antiche rovine della città mesopotamica di Ninive sono state rinvenute oltre 25.000 tavolette in ceramica, molte delle quali usate per trascrivere atti giuridici e contratti economici: accanto ai nomi delle persone interessate sono state fissate anche le impronte, in particolare i solchi delle unghie e parti dei polpastrelli o delle creste papillari dell’autore, proprio a voler firmare.
Anche l’imperatore cinese Qin Shin Huang (259 – 210 a.C.)) si firmava con le proprie impronte digitali, in effetti è il primo sovrano di cui si abbia notizia a utilizzare le impronte, incise nell’argilla, come sigillo sui documenti reali.
E furono proprio i cinesi della dinastia Han a studiare e migliorare le tecniche dattilografiche, analizzando le differenze nelle creste papillari e promuovendo l’identificazione degli individui su carta, di cui furono inventori nel 105 d.C. Lungo la via della seta, questo bagaglio scientifico si diffuse nel Sud Est Asiatico.
Occidente malfidente
Nello stesso periodo, l’Occidente preferiva metodi di identificazione più caserecci, per così dire: marchi sulla pelle fatti con tozzi di ferro arroventati o piccole incisioni a creare particolari cicatrici.
Per fortuna giunse il Settecento, secolo dei lumi i quali si batterono a colpi di penna e dibattiti per eliminare gradualmente la tortura e annessi brutali metodi.
Sorse allora il problema di trovare nuovi metodi di identificazione, e a pensarci furono in particolare i francesi: l’ex spia poi capo della polizia di Napoleone, Eugène François Vidocq, ideò un metodo per cui gli ispettori di polizia dovevano memorizzare i volti dei criminali detenuti nelle carceri. Ancora, dopo l’invenzione della fotografia nel 1839, dal 1874 la polizia parigina iniziò a raccogliere le immagini fotografiche dei delinquenti. Questi però potevano cambiare il loro aspetto, eludendo i sopracitati metodi.
Fu così che nel 1879 un impiegato della questura parigina, Alphonse Bertillon, propose un metodo di identificazione basato sulla misurazione corporea. Il suo lavoro è descritto anche in un dibattito affidato alla Rivista de La scuola positiva, 1891, di cui riportiamo l’estratto:
Il metodo consisteva nell’inserire le misurazioni corporee divise in categorie per ordine di importanza. Le tre categorie principali erano lunghezza della testa, larghezza della testa e lunghezza del dito medio. Un metodo che certo necessitava grande precisione, sebbene avesse fruttato alquanto nei primi tempi: pare che nel 1904 solo
a Parigi furono identificati 1000 criminali recidivi.
Se anche voi volete misurarvi secondo il metodo Bertillon, ecco una pratica guida dell’epoca, direttamente dal 1895 per il vostro utile.
Studi sull’unicità delle creste papillari erano attivi in Europa già dal Seicento, ma fu nel 1788 che l’anatomista tedesco Johann Christoph Andreas Mayer individuò e descrisse alcune caratteristiche ricorrenti delle impronte papillari, affermando la loro unicità da individuo a individuo.
Impronte digitali nell’età moderna
A questo punto, un ruolo importante lo giocò l’impero britannico, o meglio i suoi funzionari: scienziati ma anche funzionari e amministratori, come William Herschel che fu amministratore della Compagnia delle Indie Orientali dal 1853 al 1857, i quali entrarono in contatto con gli usi indiani, cinesi e similari di firmare con l’impronta delle dita. Fu il primo a proporre di estendere questo metodo d’identificazione entro l’impero.
Seguirono allora cinquant’anni di studi, che portarono all’introduzione del metodo dattiloscopico in Inghilterra nel 1901, ma già nel 1896 l’Argentina era stato il primo Paese ad abbandonare l’antropometria e a introdurre ufficialmente il metodo dattiloscopico, stimolando al passo l’intero Sud America entro il 1905.
Il sistema si stava istituzionalizzando. Nel 1914, i funzionari di polizia di diversi Paesi si riunirono nel Principato di Monaco, per creare le basi per la cooperazione internazionale di polizia, e sebbene il metodo dattiloscopico non fu formalmente adottato da tutti i Paesi, questo avvenne in maniera progressiva tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Ciò avvenne anche grazie all’ingerenza dell’FBI, che nella sua attività di schedatura aveva incluso, oltre ai delinquenti, anche i civili, i militari, gli stranieri e i dipendenti dell’industria militare, aprendo di fatto il metodo a ogni esigenza.
Tra gli anni ’60 e ’70, il sistema delle impronte venne digitalizzato, passando così dopo 4.000 anni dalla terracotta ai server. Il resto è storia dei giorni nostri.
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