Che cos’è lo scontro parlamentare? La sublimazione di una lotta materiale? Da Giulio Cesare fino ai Bizantini per arrivare a Letta e Renzi: ripercorriamo alcuni casi di lotta politica spinti da un unico obiettivo: eliminare l’avversario.
Se per ventura qualcuno chiedesse al Senatore Rino Formica – già ministro delle finanze nei Governi Spadolini – cos’è la politica, probabilmente si sentirebbe rispondere con un’endiadi netta: “Sangue e merda”.
Mettiamo da parte il più greve dei sostantivi, il secondo, e soffermiamoci sul primo. Senza dubbio, la politica è affare truculento: del resto, cos’è lo scontro parlamentare se non la sublimazione di una lotta materiale? Dalla clava ai velluti ne è passata di acqua sotto ai ponti, eppure vi fu un periodo in cui l’aspetto grand-guignolesco era parte integrante dell’agone politico.
Se la memoria non mi inganna, cominciarono i greci: Armodio e Aristogitone, due amici con la passione per la democrazia, pensarono bene di piantare qualche colpo di coltello all’indirizzo di Ipparco, figlio di Pisistrato, tiranno di Atene. Inaugurarono la moda dei tirannicidi. Scorrendo il dito sul plamisfero, verso Ovest, arriviamo a Roma. Spingiamo il tasto flash-forward della storia. 15 marzo del 44 a.C.: un gruppo di Senatori decide di cappottare Giulio Cesare dentro al Senato. Cesaricidi li chiameranno, e così diventano i traditori della Maestà imperiale per definizione. Segue tutta una trafila di imperatori scannati nei modi più teatrali possibili.
Stiamo operando ancora su una materia grezza e rudimentale, che obbedisce a regole basiche: tu hai il potere, io lo voglio, io dunque prima ti accoppo e poi me lo prendo.
Il trascorrere dei tempi, si sa, affina gusti e comportamento, rendendo certi espedienti più ricercati ma non meno incisivi. Sì, perché vi fu un tempo in cui la tendenziale stabilità delle istituzioni consentì alla violenza di esplicarsi all’interno del potere costituito, senza tentare di sostituirlo con un altro potere, in questo caso costituente.
Questa sofisticatezza non poteva che manifestarsi nel più… sofisticato degli imperi a noi familiari, e cioè quello Bizantino, la cui dimensione cerimoniale era talmente pervasiva che – evidentemente – era riuscita ad entrare nell’animo di chi lì visse e morì.
La Bellezza in Costituzione
Se Bisanzio si fosse regolata su una Costituzione così come noi la intendiamo, i Bizantini avrebbero senz’altro inserito una norma per cui l’imperatore doveva essere bello e prestante. La lontananza dalla madre-patria li aveva resi più greci che latini, e – mente alle lezioni sull’epica di Omero – bellezza e virtù erano, per gli elleni, l’una il riflesso riflessa dell’altra.
Kalokagathia, la definivano, con una crasi, e del resto tutti gli eroi erano giovani e belli mentre gli antieroi come Tersite era brutti i deformi: così l’animo – inteso come complesso di caratteristiche morali – incide sulla resa genetica delle persone. Praticamente il bodyshaming all’ennesima potenza.
Questo approccio alle cose del mondo, dicevamo, si rifletteva anche sulle istituzioni di Bisanzio e anzi sulla sua istituzione principale che era il Basileus. Se per i Cinesi l’imperatore agiva su espresso mandato del Cielo, il Basileus era il riflesso di Dio. E Dio, si sa, bello è e bellezza crea (confrontare le più moderne traduzioni della Genesi).
Questo principio aveva delle conseguenze ben precise: se bello e integro doveva essere l’imperatore, allora chi non rispondeva a questi requisiti fisici – che nel nostro gergo burocratico si definirebbero “atti all’impiego” – allora non poteva rivestire la porpora.
Come ti mutilo un pretendente al trono
Se l’Italia fosse Bisanzio e il passaggio di consegne tra Enrico Letta e Matteo Renzi si fosse svolto dove ora c’è il Palazzo Imperiale, il premier uscente avrebbe potuto mozzare la mano dell’entrante nel momento in cui passava la campanellina del Presidente del Consiglio: in questo modo avrebbe potuto mantenere saldo il suo incarico per… inabilità del successore.
Sì, perché bastava poco per mettere fuori gioco un avversario “politico”, ed uno di questi espedienti era proprio la mutilazione. Come funzionava? In fondo era semplice. C’è un pretendente al trono che insidia il mio cursus honorum? Ottimo, ed io, molto banalmente: 1) gli taglio una gamba; 2) gli taglio una mano; 3) lo acceco; 4) lo castro (sì, avete letto bene); 5) gli taglio il naso.
Un uomo senza una gamba o una mano è del tutto inabile al combattimento (ma già nella Bibbia si ha traccia del taglio dei pollici e degli alluci per limitare la corsa e la capacità di brandire armi), mentre un cieco non può in alcun caso opporre resistenze. Quanto a quest’ultimo aspetto, vale al pena riportare la triste vicenda di Costantino VI, che si ritrovò senza occhi per volere della madre Irene, la quale trovò così interessante il Trono da ritenere sacrificabile il proprio figlio. Questo per dire che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.
Quanto poi alla castrazione occorrerebbe aprire capitoli a parte. E’ fatto notorio che – nei bei tempi andati – chi si ritrovava senza attributi poteva senz’altro ambire a cariche importanti.
Ispiravano fiducia, gli eunuchi. La ispiravano a chi poteva permettersi un Harem per questioni di facile intuibilità, ma anche a chi voleva affidare loro incarichi di governo: e infatti la loro intrinseca incapacità di generare dinastie proprie non avrebbe mai e poi mai messo in discussione quella per il cui esponente lavoravano. Narsete – burocrate (Bizantino, ca va sans dire) efficace come pochi – fu uno di questi.
Dunque bastava un taglio netto alle parti basse del proprio avversario per elidere qualsiasi possibilità di diventare imperatore e ciò proprio perché non avrebbe potuto generare – ed insediare – una dinastia propria.
Tutti questi espedienti, bene o male, obbedivano ad esigenze prettamente materiali salvo poi rivestirle di significati ulteriori.
Quel che davvero risulta curiosa è l’amputazione del naso. Essa non comportava una inabilità ma si limitava a sfigurare e deturpare. Il che – a ben vedere – si ricollega più che strettamente al principio di kalokagathia: un uomo senza naso doveva assomigliare troppo ad un teschio per meritare l’investitura divina.
La vittima più famosa di questa strana pratica fu Giustiniano II, per ciò detto “Rinotmeto” (cioè “dal naso tagliato). Il nostro amico dall’aspetto curioso ad un certo punto della sua vita fu deposto, nel dubbio gli recisero la nasca e lo esiliarono chissà dove. Il successore, però, non ebbe l’intuizione fondamentale, e cioè quella di renderlo inabile in maniera definitiva e fu così che Giustiniano II non solo si riprese il trono ma – alla stregue di Alessandro Magno che taglia il Nodo di Gordio – si premurò di risolvere la questione della sua menomazione con una bella protesi d’oro. Poi fu comunque ammazzato ma questo è un altro discorso.
Mutilazioni moderne
Esiste un modo per far fuori avversari politici odierni? L’art. 582 c.p. sembra escludere la percorribilità del metodo bizantino. E tuttavia esistono mezzi ben più sottili, ancor più incisivi e spesso più dannosi: dossieraggi e character assassination – ad esempio – che spesso si manifestano sui giornali, sulle tv. O le fake-news che attribuiscono a quel personaggio chissà quali magagne che però non esistono.
Ora che la chirurgia plastica ha fatto miracoli, occorre mirare alla dimensione reputazionale: lì, purtroppo, non esistono cure che possano ristabilire l’integrità morale di chi l’ha perduta – ingiustamente – di fronte all’opinione pubblica.
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