Dal 2018 è in discussione in Sudafrica un emendamento costituzionale per prevedere l’esproprio terriero senza compensazione. Lo scopo è quello di attuare una riforma agraria che sia di ristoro al periodo dell’apartheid. Sembra così una sorta di scorciatoia per il risarcimento socioeconomico della popolazione nera dalle ingiustizie del passato. Ma il problema più grosso è che rischia anche di diventare uno strumento nelle mani delle autorità tribali in grado di danneggiare l’economia e quindi i cittadini più poveri.
Firmata da Nelson Mandela nel 1996, la Costituzione del Sudafrica è uno dei più grandi documenti liberali del mondo. Essa sancisce i diritti fondamentali di tutti i sudafricani, come l’uguaglianza davanti alla legge, indipendentemente da razza, genere o sessualità. Insiste sui diritti dei cittadini all’istruzione, all’assistenza sanitaria e all’alloggio. Mandela alla firma dichiarò: “Stiamo finalmente maturando per diventare una società normale”.
Una sezione, tuttavia, è rimasta controversa. La sezione 25 delinea la legge sui diritti fondiari e di proprietà, vietando la “privazione arbitraria della proprietà”, limitando l’espropriazione ai casi di interesse pubblico, per i quali i proprietari terrieri riceverebbero un risarcimento “giusto ed equo”. Fin dalla sua fondazione nel 2013, l’Economic Freedom Fighters (EFF), partito nato da una propaggine nazionalista nera di estrema sinistra dell’ANC, ha chiesto che questa sezione fosse squarciata. Richiede espropri in stile Zimbabwe, con l’obiettivo che tutte le terre passino alla proprietà dello Stato. Anche se questa politica sarebbe la corsia preferenziale per la rovina economica, come lo fu per lo Zimbabwe, si è ugualmente dimostrata attraente per numerosi elettori frustrati.
L’ANC, il partito di governo e che fu di Mandela, si è a lungo opposto alle modifiche alla Sezione 25. Ma nel 2018, temendo che l’EFF stesse erodendo la sua base di elettori neri e desideroso di rendere la vita difficile al Presidente Ramaphosa, l’ala sinistra del partito lo ha convinto a sostenere “l’espropriazione senza compensazione”. Il governo si è impegnato a modificare la Costituzione.
Sebbene Ramaphosa giuri che qualsiasi cambiamento non danneggerà l’economia, molte persone sono preoccupate. Gli oppositori dicono che si tratta di iniziativa ulteriore alle oltre due dozzine lanciate dal 2007 che hanno messo a rischio il diritto di proprietà. Un ulteriore assalto, dicono, minerebbe un ambiente legale già fragile per gli investimenti.
Il nuovo disegno di legge sull’espropriazione e la riforma agraria è stato pubblicato l’anno scorso ed è in corso anche un processo per modificare la sezione 25 della Costituzione del Sudafrica.
Insieme, per la prima volta, consentiranno l’esproprio senza indennizzo in Sudafrica.
Il Portfolio Committee on Public Works and Infrastructure sta attualmente conducendo audizioni pubbliche virtuali sulla Expropriation Bill e un certo numero di entità, tra cui il Minerals Council, la Business Unity of South Africa e vari organismi agricoli, si sono opposti, sostenendo che significherebbe minare la fiducia degli investitori. Tuttavia, il disegno di legge – forse con emendamenti – dovrebbe essere approvato dal parlamento.
Le nuove modifiche consentiranno allo Stato di non pagare la terra, in particolare per consentire l’esproprio per la riforma agraria.
La nuova legge stabilisce anche che i proprietari devono ricevere un importo “giusto ed equo” per la proprietà – “che riflette un equo equilibrio tra l’interesse pubblico e gli interessi del proprietario espropriato”. Ma è ugualmente previsto che questo importo “giusto ed equo” possa essere commisurato a zero.
Il Dipartimento dell’agricoltura, della riforma fondiaria e dello sviluppo rurale è stato aspramente criticato in passato per non essere riuscito a garantire che la riforma agraria avvenisse su larga scala, con competenza e a sostegno della riparazione delle ingiustizie del passato.
La critica è di dominio pubblico, non solo in innumerevoli documenti di ricerca accademica, ma anche nel rapporto del Panel di alto livello del 2018 presieduto dall’ex presidente Kgalema Motlanthe.
“Il ritmo della riforma agraria è stato lento. Lo sviluppo della politica e del diritto si è allontanato dalla sua posizione iniziale a favore dei poveri e manca di una visione per una riforma agraria inclusiva. Ci sono anche lacune significative, come sulla sicurezza del possesso, dove la legislazione non è stata approvata, mettendo in pericolo la vita e i mezzi di sussistenza di molti abitanti delle zone rurali…” dice l’abstract al capitolo 3 del Rapporto sulla riforma agraria, la restituzione, la redistribuzione e la sicurezza del possesso.
Ma come sono andati per ora i processi di riforma agraria? A marzo il canale News24 ha riferito che 350 mucche da latte sono morte di fame a Mantusini vicino a Port St Johns nell’Eastern Cape poiché un progetto finanziato dallo stato da 43 milioni di Rand non è stato in grado di mantenere le infrastrutture o pagare le bollette dell’elettricità. Il progetto faceva parte del programma ufficiale One Household-One Hectare di Sviluppo rurale volto a risolvere la povertà e a creare piccoli agricoltori, produttori e agroproduttori. Nel 2016 il giornale di informazione statale Vuk’uzenzele aveva applaudito l’espansione di questo progetto per includere un “caseificio” costruito dallo Stato.
Il programma statale, cedendo un solo ettaro a famiglia, ha tolto terreni all’agricoltura ad alta intesità per creare tanti piccoli contadini di sussistenza, che spesso hanno abbandonato le terre a loro assegnate o non sapevano come coltivarle. Ma non solo bianchi sono stati colpiti dalla riforma agraria portata avanti dal governo: tutti i proprietari terrieri. Nell’anno finanziario 2019/2020 agricoltori neri espropriati hanno rivendicato oltre 2 miliardi di Rand nei tribunali contro la riforma agraria. La risposta del governo è stata introdurre in parlamento un emendamento per rendere impossibile il ricorso ai giudici.
Le audizioni pubbliche a livello nazionale del 2018 da parte del comitato di revisione costituzionale ad hoc del Parlamento, che alla fine ha dato origine a questi attuali processi di modifica costituzionale, mostrano che l’espropriazione senza compensazione siano solo una scorciatoia per il risarcimento socioeconomico della popolazione nera.
Qualsiasi discussione sulla terra in Sudafrica deve fare i conti con l’ineguale eredità del governo bianco. Ci furono guerre di conquista nell’Africa meridionale prima dell’arrivo dei coloni olandesi nel 1652. Ma il governo bianco cambiò la natura dei conflitti sulla terra. Armi superiori significarono che la conquista della terra fosse un evento a senso unico. E i bianchi legiferavano e codificavano questa conquista in un modo anch’esso nuovo.
Nel 1913 il Natives Land Act, che fu il primo provvedimento normativo segregazionista emanato dal Parlamento del Sud Africa, riservava il 90% delle terre ai bianchi, che allora costituivano il 21% della popolazione. Sotto il razzismo formalizzato dell’apartheid 3,5 milioni di neri vennero trasferiti con la forza in riserve isolate chiamate “homeland“. Queste erano spesso lontane dai luoghi di lavoro, quindi gli uomini dovevano viaggiare e soggiornare in ostelli per persone dello stesso sesso. Così l’apartheid non solo privò i sudafricani neri della capacità di possedere proprietà, ma distrusse anche le unità familiari. Oggi gran parte della povertà più concentrata si trova nelle ex homeland.
Ramaphosa definisce lo sfollamento dei neri il “peccato originale” del Sudafrica. Quando l’ANC è andato al potere nel 1994, si è impegnato ad affrontare le ingiustizie storiche. Prometteva la restituzione terriera a coloro che erano stati rimossi dopo il 1913, il finanziamento per la più ampia ridistribuzione della terra dai bianchi ai neri e il rafforzamento dei diritti di proprietà per la maggioranza nera. Si pose l’obiettivo di trasferire il 30% della terra bianca alla proprietà nera entro il 2014.
Oggi più terra è di proprietà dei neri. Sebbene non vi sia un censimento terriero basato sulla razza dei proprietari, uno studio di Wandile Sihlobo e Tinashe Kapuya stima che 17,4 milioni di ettari siano stati trasferiti dalla proprietà bianca dal 1994, pari al 21% dei terreni agricoli. Ciò include i terreni acquistati dallo Stato o da privati sul libero mercato. “La riforma fondiaria, con l’ausilio del mercato, ci ha quindi avvicinato all’obiettivo del 30% di quanto comunemente si creda”, concludono gli autori.
Che di più non sia stato ottenuto è principalmente il fallimento dell’ANC. Più del 90% della terra acquistata e ridistribuita dallo Stato è incolta, gran parte di essa è stata destinata all’agricoltura di sussistenza o ai campi abusivi. L’agricoltura commerciale è un’attività complessa e ad alta intensità di capitale. Ma a pochi agricoltori neri sono state date le competenze o il capitale per aiutarli a perseguire tali progetti. Il governo spende più soldi ogni anno per la sicurezza dei VIP che per la ridistribuzione della terra.
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I progressi nell’area della restituzione delle terre sono stati altrettanto lenti. Il governo di Nelson Mandela ha affermato che tutte le richieste avrebbero dovuto essere presentate entro il 1998. Ma la complessità dei casi ha presto travolto la burocrazia. Piuttosto che finanziare adeguatamente il processo, l’ANC ha lasciato che i casi si accumulassero. Poi nel 2009 c’è stato un “cambiamento catastrofico“, dice Glenn Farred dell’AFRA, una ONG che fa campagne a favore dei senza terra. Dopo che Zuma è diventato presidente, ha permesso che fossero presentate nuove richieste di risarcimento e ha dato la priorità ai casi spesso dubbi di potenti autorità tribali. I cui capi lottano per vedersi assegnare la terra espropriata in trust per poi redistribuirla arbitrariamente ai membri delle loro tribù.
Eppure, questo non è nemmeno il più grande fallimento della politica fondiaria. Sotto l’apartheid quasi tutti i cittadini neri non avevano titoli di proprietà terriera, il che significava che non avevano la possibilità di contrarre mutui usando come collaterale la loro proprietà o vendere terreni per il valore di mercato. L’ANC ha promesso che avrebbe garantito la proprietà ai senza terra. Ma, come sostengono William Beinart, Peter Delius e Michelle Hay nel loro libro “Rights to Land”, i diritti di proprietà della maggior parte delle persone sono “probabilmente più deboli e più incerti” rispetto al 1994.
Questi includono il 60% dei proprietari terrieri che hanno titoli “fuori registro”, dove la loro proprietà non fa parte di alcun registro formale. Poi ci sono i circa 20 milioni di sudafricani nelle ex homeland, che non hanno quasi nessun diritto di proprietà. In teoria il terreno è di proprietà “comunale”. In pratica appartiene ai capi tribù locali. E, dice Aninka Claassens dell’Università di Cape Town, poiché quei capi sono utili per ottenere il voto e per fornire tangenti, l’ANC si è unito a loro in “straordinari livelli di corruzione”.
Nella migliore delle ipotesi, il desiderio di riforma agraria è un comprensibile riflesso delle persistenti disuguaglianze causate dal governo bianco. Nel peggiore dei casi è uno strumento cinico che rischia di danneggiare l’economia e quindi i cittadini più poveri. In ogni caso, minaccia di minare la fiducia nelle politiche economiche di Ramaphosa. Come ogni politico, il Presidente deve tenere conto delle dinamiche del suo partito. Ma un Presidente veramente riformista non accetterebbe solo docilmente un’inutile modifica alla Costituzione. Avrebbe adeguatamente finanziato le riforme agrarie. E insisterebbe affinché i milioni di persone lasciate senza terra dall’apartheid e dall’ANC ottengano finalmente il titolo del proprio pezzo di terra.
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