Criminale, spia, detective, leggenda: nei vicoli di Parigi Eugène François Vidocq inventa un mestiere e un metodo che cambiano per sempre la storia dell’investigazione. E della letteratura gialla.
La leggenda vuole che il genere poliziesco nasca nel 1841, quando Edgar Allan Poe pubblica I delitti della Rue Morgue e ci regala Auguste Dupin, il primo detective della storia. Tutto vero. Peccato che i francesi già da un pezzo ci avessero messo lo zampino nei romanzi gialli ante litteram: Balzac con la mastodontica Comédie Humaine (iniziata nel 1829) e Dumas con I Mohicani di Parigi (1854-1859). In queste pagine compaiono ispettori destinati a restare nella memoria come Vautrin e l’inafferrabile Jackal: figure implacabili, dall’aura ambigua, sospese in un gioco di specchi in cui il confine tra investigatore e criminale si fa deliberatamente incerto. Uomini che sembrano fuorilegge, ma agiscono al servizio della legge, o, talvolta, l’esatto contrario.
A ispirarli non è la fantasia, ma un personaggio storico reale: è Eugène François Vidocq, nato ad Arras nel 1775.
La sua biografia è degna di un romanzo. Bambino vivace e intelligente che non si tira indietro di fronte alla possibilità di una buona azzuffata, si trasforma presto in un giovane senza troppa voglia di lavorare, collezionista seriale di condanne. In gioventù entra ed esce di prigione, finché l’incontro con il signor Henry, ufficiale di polizia, ribalterà il suo destino.

Henry riconosce il suo potenziale e fa quello che qualsiasi autore di thriller farebbe: finge la sua evasione, lo recluta e lo forma alle arti dell’indagine.
Reclutato come informatore, Vidocq inizialmente fa da mouton, la spia interna alle carceri: l’uomo che ascolta, decifra, memorizza. Nessuno sarebbe stato più adatto. Come ammette lui stesso nelle sue Memorie:
«Ero il più abile degli spioni perché ero già stato il più intrepido dei farabutti».
A decretarne la fortuna non fu solo l’arguzia e il coraggio dell’uomo, ma l’originalità del metodo. Vidocq comprese prima di molti che l’identità era un catalogo di segni unici e irripetibili incisi sul corpo e nella memoria di chi sa osservare. Osservava orecchie, mani, tatuaggi, cicatrici: tutto ciò che rimane anche quando il resto può cambiare.
Nel 1811 arriva la consacrazione della sua tecnica e dei suoi successi: diventa capo della Brigade de Sûreté, un’unità investigativa composta in buona parte da ex delinquenti come lui. Nel 1813 la Brigata diventa Sûreté Nationale, e lui ne è il direttore.
E qui si cambia la storia. Sotto la sua direzione nasce la carte de physionomie: una scheda individuale con generalità, precedenti penali e soprattutto la descrizione minuziosa dei tratti fisici. Una rivoluzione metodologica che ci porta dagli identikit estremamente generici usati fino ad allora alla prima forma di identificazione “scientifica”, sistematica, moderna.

Ma la polizia ufficiale non lo ha mai amato fino in fondo: su di lui e sul suo oscuro passato gravano ancora troppi sospetti. Così Vidocq fa un’altra cosa che sembra uscita dalla narrativa: si licenzia dallo Stato e inventa il settore privato. Fonda la prima agenzia di investigazione della storia, offrendo sorveglianza e informazioni a negozianti e cittadini. La dirige fino alla morte, nel 1857.
Nelle sue Memorie racconta con stile spavaldo tutta la sua vita e le indagini più brillanti. Il pubblico ne è entusiasta e il successo è tale che vengono tradotte in inglese e in italiano già nel giro di un anno. Dalle carceri ai bassifondi, dagli archivi di polizia all’agenzia investigativa, la traiettoria di Vidocq sembrava offrirsi da sola al romanzo: per Balzac e Dumas è una fonte inesauribile di ispirazione, e traducono i tratti più potenti in figure narrative destinate a segnare l’immaginario del tempo.
Vidocq diventa così l’archetipo del detective moderno, l’investigatore ambiguo, il poliziotto che conosce troppo bene la mente criminale perché ci ha vissuto dentro. Il suo è uno sguardo sul crimine non più astratto, ma diretto, analitico, vissuto.

Ma nella storia della letteratura fu Dupin, la creatura di Poe, a sancire la vera e propria consacrazione letteraria di questo nuovo tipo di investigatore: un uomo capace di decifrare gli enigmi attraverso l’acume, anche se incline a smarrirsi nei particolari se non guidato da un disegno più ampio. Era il riflesso fedele di Vidocq, anche nei difetti: come lui, Dupin è analitico, acuto, ma per Poe talvolta si perde nei dettagli.
Se la detective story ha poi preso la forma che conosciamo, tuttavia, lo deve meno all’inchiostro dei letterati e più ai fascicoli, gli inseguimenti tra le strade malfamate di Parigi e la memoria visiva di un uomo che che aveva imparato a leggere i volti come tracce, indizi e storie irripetibili. La letteratura non fece che riconoscere ciò che la storia aveva già mostrato: che l’investigatore poteva diventare un personaggio, e il crimine un enigma da raccontare e sciogliere. Un’intuizione nata dalla strada, nel secolo giusto per farla nascere.
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