17 maggio 1990 – L’omosessualità non è più malattia mentale
Un tempo considerata psicopatologia, c’era chi tingeva l’omosessualità di depressione, chi di tendenza al suicidio, abuso di stupefacenti, dipendenza, o di semplice pazzia. L’omosessualità era una malattia, qualsiasi forma le si volesse dare, e questo non si poteva negare.
Ci vollero quindi anni perchè nel 1990 l’omosessualità venisse eliminata dall’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems e venisse alla fine dichiarato dall’OMS che di malattia mentale non si trattava.
L’OMS, infatti, riferendosi in particolare alla transessualità, rendeva chiaro che “non è un disordine mentale“ e che quindi classificarla così “può causare un enorme stigma per persone che sono transgender“.
Qualche anno dopo, su proposta dello scrittore Louis-George Tin, curatore del Dictionnaire de l’homophobie, il 17 maggio, anniversario di quella grande conquista, è diventata anche la giornata mondiale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, riconosciuta dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite.
La Giornata mondiale è riconosciuta anche dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Centinaia di loro, infatti, sono ogni anno costretti lasciare i propri paesi proprio a causa dell’orientamento sessuale.
“72 paesi nel mondo ancora sanzionano penalmente orientamento sessuale ed identità di genere” afferma Felipe Camargo, Delegato UNHCR per il Sud Europa “la protezione delle persone LGBTI è molto importante per l’UNHCR e ringraziamo le istituzioni ed associazioni italiane per il loro impegno”.
