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7 Novembre 1937 – Muore Giuseppe Chiovenda

By Redazione

November 07, 2021

La vita

Giuseppe Chiovenda nasce a Premosello-Chiovenda (Novara) il 2 febbraio 1872. Dopo la laurea conseguita nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma il 5 luglio del 1893 con una tesi sul processo civile romano, esercita la professione di avvocato. È libero docente nella facoltà romana nell’anno accademico 1900-01; ottenuto un incarico a Modena nel maggio 1900, diviene professore straordinario di procedura civile e ordinamento giudiziario nell’Università di Parma per l’anno accademico 1901-02. Verrà però chiamato nella facoltà giuridica di Bologna già il 9 dicembre 1902.

Sono questi gli anni della fondazione dell’indirizzo scientifico che con continuità svolgerà per tutta la sua vita. Assumendo l’impostazione pandettistica di Vittorio Scialoja (che abbiamo trattato qua), studia la dottrina giuridica tedesca e svolge un innovativo ripensamento dell’ordinamento processuale.

Nell’anno accademico 1905-06 si trasferisce nella facoltà giuridica di Napoli per la cattedra di cui era stato titolare, prima di passare in magistratura, Lodovico Mortara (suo grande antagonista nel campo scientifico). Nel dicembre del 1906 Chiovenda verrà poi chiamato per chiara fama alla cattedra di Roma. Alla nuova disciplina processual civilistica, di cui è stato da subito riconosciuto il fondatore, ha fornito anche un luogo identitario con la «Rivista di diritto processuale civile», fondata insieme a Francesco Carnelutti nel 1924.

Sul piano politico, di Chiovenda va poi ricordata la presa di distanza dal regime fascista con l’adesione al manifesto degli intellettuali antifascisti proposto da Benedetto Croce nel maggio 1925. La sua operosità sul piano scientifico proseguì coerentemente, secondo la linea tracciata negli anni precedenti, fino alla morte che l’avrebbe colpito a Premosello il 7 novembre 1937.

L’attuazione della legge al crepuscolo dello Stato liberale

Possiamo osservare che Chiovenda è uno dei grandi protagonisti, forse il principale, della ridefinizione del processo in chiave pubblicistica.

A fondamento di essa c’è la constatazione della «importanza politico-sociale del processo», ma in effetti il recupero della funzione pubblicistica, qui, va più nel senso dello Stato che della società. Il processo è anzitutto ed essenzialmente un luogo di attuazione della legge – e in ciò esaurisce il suo compito politico-sociale – essendo l’amministrazione della giustizia una «funzione della sovranità».

Sul piano costruttivo lo strumento principale per la configurazione pubblicistica è il concetto di azione inteso come «l’autonomo potere giuridico di realizzare per mezzo degli organi giurisdizionali l’attuazione della legge in proprio favore». L’azione viene in tal mondo collocata «nel tradizionale sistema dei diritti» e concepita come un diritto soggettivo autonomo dal diritto sostanziale, che rientra nella categoria del «diritto potestativo». Per Chiovenda l’azione è «un diritto contro l’avversario», anche se nel quadro di una concezione pubblicistica del processo.

Questa costruzione permette di individuare l’altro concetto chiave, quello di rapporto giuridico processuale, inteso come «fondamentale rapporto», in relazione al quale i singoli atti processuali acquisiscono «importanza giuridica», teso all’accertamento della volontà concreta della legge, che coinvolge paritariamente le parti e il giudice. Esso implica un ripensamento del rapporto tra i poteri del giudice e la volontà delle parti, che interessa direttamente il principio dispositivo, cioè il principio posto a fondamento del procedimento civile dal codice in vigore, determinandone il superamento.

De iure condendo Chiovenda individua anche dei principi ordinatori del processo su cui basare la riforma, «per rendere una giustizia intrinsecamente migliore». Il principio chiave è rappresentato dalla oralità; è intesa come «rapporto immediato tra giudici e le persone, le cui dichiarazioni sono chiamati ad apprezzare; significa razionale contemperamento dello scritto e della parola come mezzi diversi di manifestazione del pensiero». Ci sono poi altri principi connessi come quello della identità del giudice per tutto il procedimento e quello della concentrazione delle diverse fasi processuali.

Rinunciando alle precisazioni tecniche possiamo dire che la nuova procedura tende a estendere i poteri del giudice nella gestione della causa. La centralità della funzione del giudice è però concepita in una prospettiva legalistica e non rinvia a un compito equitativo, o comunque di adeguamento del diritto ai bisogni della società e del tempo. Non a caso Chiovenda svolge una lettura critica delle dottrine giusliberiste, che vede come un «irrequieto e indeterminato movimento». Si ribadisce invece «che il processo è attuazione del diritto preesistente» e che l’attività del giudice è un’attività di attuazione della legge con la quale semmai si consacrano «le creazioni preparate dalla dottrina». Non viene attribuito con ciò un potenziale nomopoietico al diritto giurisprudenziale, ma si resta in un orizzonte nomofilattico nel quale «la sentenza è la volontà di legge accertata nel caso singolo». La legge qui è «l’ordine immanente di una realtà che si tratta di accertare nel processo».

Seppure la caratterizzazione statalistica del processo sia evidente, sembra eccessivo dedurre che alla base della riflessione chiovendiana vi sia un disegno di superamento dell’ordine giuridico liberale per l’instaurazione di una «organizzazione statale autoritaria». Piuttosto sembra trattarsi di una declinazione dell’ideologia liberale svolta al crepuscolo dello Stato di diritto. La posizione di Chiovenda risulta «storicamente giustificata» in rapporto alla crisi della giustizia civile nella crisi di quel mondo giuridico. Infatti la costruzione pubblicistica del processo, che rinvia all’azione dello Stato «non solo come giudice ma come potere», si giustifica con una esigenza di sostegno di principi fondatori dell’ordine liberale come l’uguaglianza, la libertà individuale, la legalità.

È probabilmente tale premessa che ha poi reso possibili riletture del suo sistema anche nel mutato scenario costituzionale e democratico del secondo Novecento.