Una vicenda raccontata in una sentenza del 1880 della Corte di Cassazione di Firenze è lo spunto per ripercorrere la storia di come veniva considerato il delitto di bestemmia in Toscana e come veniva punito, dal Bando Sopra le Bestemmie del 1542 al codice penale del Granducato di Toscana del 1853.
Non sappiamo esattamente chi fosse l’eroe di questa storia, tale Dante Bini. Viveva a Empoli o nei suoi pressi. Siamo all’inizio del 1880 e il Bini ebbe un alterco con i carabinieri. Questi lo arrestarono per oltraggio a pubblico ufficiale; lui, sconvolto, pensava alla povera moglie e ai figli e piangendo si mise a bestemmiare “in istato di accecamento”. In particolare diede alla divinità, come ci dice la sentenza riportata da Rivista Penale, gli attributi di “birbone e ladro“. Per questo reato, venne condannato a 10 giorni di carcere.
L’affare creò un conflitto di interpretazioni fra il pretore di Empoli e la Corte di Cassazione di Firenze (ricordiamo: allora per l’Italia c’erano ancora cinque corti di cassazione). Infatti in Toscana non si applicava lo stesso codice penale del resto della penisola, che era quello del Regno di Sardegna allargato agli altri stati, ma rimaneva in vigore il codice del Granducato di Toscana del 1853: i piemontesi si batterono al tempo per l’uniformazione legislativa, ma non riuscirono a togliere ai toscani la peculiarità delle loro leggi penali in quanto queste non includevano la pena di morte (abolita tatticamente dal Governo Provvisorio della Toscana il 30 aprile 1859).
Tornando alle nostre questioni di bestemmie, vi era a proposito una differenza fra il Codice Penale Sardo e quello Toscano: in questo erano punite molto più severamente. Il codice sardo infatti puniva la bestemmia solo se era pubblica e volta con animo deliberato a offendere la religione, permettendo di comminare anche solo una multa (art. 185 e 188).
In Toscana, invece, il codice puniva la bestemmia con animo deliberato col carcere da uno a cinque anni (art. 136.1). Non volendo avere limitazioni, puniva anche la bestemmia “per malvagia abitudine o per impeto di collera” con la pena del carcere da un anno a sei mesi.
Vi era però una scappatoia utilizzata spesso: se la persona bestemmiatrice si trovava in uno stato prossimo all’incoscienza, si poteva applicare una pena molto ridotta rispetto all’edittale (art. 64).
Per la Cassazione di Firenze, infatti, Dante Bini si trovava in uno stato di tale dolore “accecante” da non rendersi conto pienamente di quello che stava facendo: si era quindi nel caso dell’articolo 64, non stava bestemmiando per malvagia abitudine o impeto di collera.
Su questa tecnica processualistica il grande Francesco Carrara pubblicò pure un articolo lo stesso anno sul Giornale delle Leggi di Genova (numero 25), dal titolo “La bestemmia verbale nel codice penale toscano“.
Il grande giurista lucchese si domandava in particolare come la bestemmia potesse essere ancora presente nell’ordinamento, visto che “non può essere annoverata fra i reati senza sconvolgere i principi fondamentali giuridici sui quali riposa l’odierna scienza penale“. La bestemmia è un vizio e non è più sensato punire penalmente il vizio della bestemmia che il vizio dell’adirarsi. Carrara, però, non tratta della divisione toscana fra le bestemmie con animo deliberato e le altre.
Questa distinzione in Toscana non era nuova. Anche nel codice emanato da Pietro Leopoldo il 30 novembre 1786 era presente una doppia disposizione, punendo da un lato la bestemmia con animo deliberato (art. 60) con i lavori forzati anche a vita; mentre dall’altro le rimanenti, quelle proferite per “ignoranza ed insieme da una alterazione di mente, o da un subitaneo impeto di collera, o dall’abuso del vino, in somma da animo diretto a tutt’altro che a fare ingiuria alla Divinità”, col carcere amministrativo (art. 61).
Sotto questo aspetto, comunque, il codice di Pietro Leopoldo realizzò una grossa innovazione rispetto alla disciplina draconiana precedente, contenuta nel Bando Sopra le Bestemmie dell’8 luglio 1542. Prima del 1786, infatti, non c’era alcuna distinzione fra bestemmie e si era puniti per semplice responsabilità oggettiva (lo dicevamo anche su TikTok):
1. alla prima bestemmia 200 Lire di multa e la perforazione della lingua;
2. alla seconda 300 Lire e amputazione della lingua;
3. alla terza e quarta 500 Lire di multa, giro sull’asino per la città, ulteriore perforazione della lingua e due anni di galera;
4. alla quinta bestemmia la pena era la morte, irrogata pure per le bestemmie “enormissime”.
A ben vedere la disciplina applicata dall’Inquisizione Romana era molto più accomodante e vicina a quella auspicata dai giuristi riformatori del tardo ‘800. Per Eliseo Masini, autore del Sacro Arsenale (1621), è punibile solo la bestemmia proferita volendo pienamente e coscientemente offendere Dio. Di conseguenza…
quelli che, ahimè, hanno preso la bestemmia come abitudine, o che sono ebbri, o sono solo ignoranti del basso volgo che non si rendono conto di quello che stanno davvero dicendo, si rimanderanno a casa al massimo con qualche Pater Noster da ripetere.
© Riproduzione riservata