Nel XIX secolo le donne erano escluse dalla vita pubblica, ma si interessavano di politica, economia e società grazie alla stampa femminile diffusa in tutte le regioni d’Italia
La rigida società del XIX secolo imponeva alle donne di prendere distanza da questioni politiche, affari economici e dibattiti sociali. Erano queste materie considerate per soli uomini, seguendo il secolare modello gerarchico del “pater familias” incaricato del fardello del bene pubblico come dell’amministrazione del privato. Alle donne, lo sappiamo, era relegato il ruolo di angeli del focolare e graziose decorazioni alla destra dei consorti. Tuttavia, l’ingegno femminile non si è lasciato vincere, e proprio al riparo tra le pareti domestiche, le signore di casa posavano ricami e merletti per dedicarsi alla lettura di riviste specializzate.
In particolare, nella seconda metà dell’Ottocento in Italia si diffusero moltissimi periodici a stampa che erano spesso settimanali, mensili e bimestrali, confezionati per le colte signore nobili e borghesi che non volevano cedere il passo ai mariti su come girasse il mondo. Tale modello di stampa femminile esisteva sia a livello nazionale che regionale, e spesso le riviste nascevano nei principali centri culturali italiani come Torino, Milano, Venezia, Parma, Bologna, Roma, Napoli e Palermo, con esempi datati addirittura alla fine del Settecento.
Gli obiettivi di queste opere erano molteplici: non solo la volontà di favorire una classe intellettuale femminile ed emancipare le donne dai divieti culturali loro imposti, bensì tali lavori contribuirono, soprattutto negli anni ’60 e ’70 dell’800, a costruire l’Italia come nazione, facendo circolare notizie lungo tutta la Penisola, stimolando alla conoscenza reciproca delle regioni e soprattutto stimolando la diffusione e l’esercizio della lingua comune, l’italiano. Quest’ultimo punto assume infatti una dimensione particolarmente sensibile per tempo: la lingua viva, parlata, era soprattutto quella dei dialetti locali, ma quando si incontravano persone provenienti da diverse località italiane, soprattutto nei salotti a vincere era l’uso del francese, lingua che qualsivoglia uomo d’affari e signora elegante dovevano necessariamente conoscere.
Una squisita singolarità che abbiamo riscontrato nelle riviste femminili sta nella “facciata” costruita attorno ai contenuti: in primis per titolo e prima pagina. Proprio i nomi delle riviste infatti – per molte di esse quanto meno – richiamano parole neutre associate ai valori o ambienti tradizionali delle donne, oppure a stereotipi loro associati.
Così, per esempio, uno dei principali mensili stampati a Genova tra il 1862 e il 1917 era La donna e la famiglia, mentre a Firenze regnava il “foglio settimanale per giovinette italiane” Cordelia, fondata da Angelo De Gubernatis attiva dal 1881 al 1942. A Firenze vi era pure una quasi omonima, da non confondersi: Cornelia, “Rivista letteraria educativa dedicata principalmente agli interessi materiali e morali delle donne italiane” fondata e diretta dalla scrittrice Aurelia Cimino Follieri De Luna già dal 1872. Nomi associati dunque al ruolo tradizionale della donna nella casa, o alla loro fragilità e sensibilità.
A Napoli invece, immancabilmente nasceva La Comare, e nel 1861 Il diavoletto. Ma no, cari lettori, non si trattava certo di mera cartaccia da pettegolezzo: le autrici di La Comare discutevano dei disegni di legge presentati in Parlamento, delle questioni internazionali come le vicende di Prussia, la figura del cancelliere Otto von Bismark, degli andamenti della borsa, senza tralasciare scoperte mediche e innovazioni tecnologiche. La prima pagina de La Comare era particolare: includeva un calendario in cui si ricordava il santo del giorno, opere e simbolismo associati, poi delle storie di cronaca in apparenza leggere, ma che proseguivano nelle pagine successive trattando dibattiti morali sulla condizione delle donne, e infine una sezione in cui si proponeva un brano di teatro, poesia o romanzo. Un’astuzia bella e buona per celare ai mariti e padri più intransigente il reale e vivido contenuto di stampo politico, economico e sociale del periodico. Altro che gossip e frivolezze!
Titoli fortemente di contestazione furono l’Almanacco delle serve pubblicato nel 1891, a Roma, dall’editore Perino o La cameriera. Organo della lotta di classe fra padrone e serve, pubblicato a Palermo nel 1898. Erano questi due periodici fortemente conditi da echi filosofici di stampo marxista, ma si ponevano l’obiettivo tutto nazionalistico di istruire le donne – non solo nobili e istruite, ma quelle comuni – sui propri diritti e stimolarle a rivendicazioni di equità e uguaglianza in campo professionale.
In molte di queste riviste non mancava la componente d’intrattenimento: rubriche sulla moda in vigore a Parigi, consigli di cucina, civetterie di mondanità e attività per il tempo libero. Esemplare connubio tra istruzione, informazione e divertimento era La donna fondato a Padova nel 1868 da Gualberta Alaide Beccari e poi spostato a Bologna, il cui titolo sarebbe stato ripreso dalla rivista torinese omonima del 1905.
Assistiamo nel tempo a un’interessante evoluzione del genere di stampa femminile: nacquero filoni espressione dei movimenti di emancipazione, ispirati soprattutto ai periodici inglesi pubblicati dalle suffragette, ma esistevano anche riviste di stampo religioso – soprattutto cattolico, poi sindacale e professionale. Erano questi ad esempio La difesa delle lavoratrici, il quindicinale edito per le donne socialiste a Milano dal 1912 al 1925, o Casa e lavoro, pubblicazione di respiro territoriale più ampio dell’Ente nazionale per l’organizzazione del lavoro, in stampa dal 1929 al 1935.
Negli anni del fascismo molte di queste pubblicazioni dovettero ufficialmente spegnersi sotto la rigida politica sessista del Duce, ma molte di esse resistettero dandosi alla clandestinità. Superato il secondo conflitto mondiale, la stampa femminile si fece portatrice dei valori democratici e di emancipazione, soprattutto trattando il tema dei diritti civili e sociali nelle riviste pubblicate dalle organizzazioni femminili dei partiti.
La stampa femminile è dunque uno squisito esempio d’ingegno delle nostre antenate: pur dovendo mascherare il loro interesse per le questioni pubbliche, sono ricorse all’astuzia non volendo rinunciare al diritto all’informazione. Una volontà forte, un messaggio vivo nei suoi quasi duecento anni di storia: poco importa scendere a compromessi col quotidiano, cerchiamo sempre di perseguire il sapere.
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