Dal 1894 la storia incredibile dell’arresto e del processo di una scimmia colpevole di ubriachezza, che più che da una rivista di diritto penale sembra uscita da una commedia hollywoodiana.
Ormai abbiamo perso il conto delle notti in cui ci siamo dedicati furiosamente all’avida lettura di uno dei libri più incredibili che ci siano mai capitati fra le mani: Bestie delinquenti di Carlo D’Addosio. Pubblicato nel 1892, è un vero e proprio tesoro di storie giudiziarie che hanno animali come protagonisti: dai processi penali (mandrie di porci incarcerati in Borgogna, un cavallo condannato dal Parlamento di Digione, un gallo stregone a Basilea), ai processi civili (tortorelle scomunicate in Canadà, sanguisughe in udienza, locuste processate in Ispagna), fino ai casi più turpi di bestialità.
Tutti queste vicende, però, erano considerate già all’epoca storie vecchissime. Nel 1894 la Rivista penale – grazie alla quale abbiamo scoperto il capolavoro di d’Addosio – ci tiene invece a riportare una notizia più “recente” che giungeva dall’America: un processo intentato contro una scimmia.
Non sappiamo se la notizia sia vera o meno: sembrerebbe proprio uscita da una di quelle commedie matte con Cary Grant, ma visto che la rivista era diretta da Luigi Lucchini ci fidiamo.
Ci troviamo nel Tribunale di Elmira (New York), quando in udienza comparve dinanzi al giudice, scortata da due poliziotti, «una grossa scimia, sotto la grave accusa di ubbriachezza, schiamazzi notturni e rottura di mobili».
Alle domande del magistrato (era talmente serio da non scomporsi o talmente burlone da stare al gioco?) l’imputata, che si chiamava Jocko, non rispose che digrignando i denti e facendo le più orribili boccacce.
Ma i due «policemen» che l’avevano arrestata fecero gravemente la loro deposizione, senza dimenticare nessuna circostanza di tempo e di fatto (anche loro: erano seri e perfettamente imbecilli o dei gran mattacchioni?).
La scimmia viveva nel negozio da liquorista del signor Eban ed era sempre stata il divertimento di tutti i clienti. Come deposero i «policemen», di notte Jocko, rotta la catena con cui era legata, aveva destramente rubato una bottiglia di whisky al suo padrone, e l’aveva vuotata in un sorso solo.
Ma attenzione: ora viene il bello.
«Ubbriacatasi così, libera di andare di qua e di là per la bottega, la scimia si trovò in faccia a uno specchio, e vi vide riflessa la propria immagine».
Pare che la signora non si compiacesse troppo del suo ritratto, giacché, afferrata un’altra bottiglia, la scagliò con violenza contro lo specchio, che andò in mille pezzi.
«Sfogato così il malumore, la signora Jocko seguitò a darsi del bel tempo» e quante bottiglie di liquori le capitavano fra le mani le scolava tutte d’un fiato.
«Passata così dal furore alla gioia più sfrenata, prese a lanciar bottiglie in ogni direzione, fracassando tutto e dandosi quindi alla fuga».
Com’è che finì la storia? Naturalmente come la migliore delle commedie: «il giudice, posto in imbarazzo da questa strana giudicabile, la mandò assolta».
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