Lungi da me parlare di politica. Quello che sto per scrivere è più un pezzo di sociologia per esprimere un concetto molto chiaro. Diciamoci la verità. Noi nati nella metà degli anni ’80, che eravamo nel pieno dei nostri otto anni quando Berlusconi scese in campo, assistiamo con un briciolo di nostalgia alle pressanti notizie della sua candidatura al colle più alto.
Avevamo lasciato Berlusconi ormai dieci anni fa, rigettato dal sistema, dallo spread, silurato da Napolitano e sostituito con Monti, con pochi e miserabili vagiti della sua corte dei miracoli (mitologico il titolo de Il Giornale del 31 dicembre 2011 con scritto a caratteri cubitali “È stata la culona”, dando così alla Merkel la colpa dell’uscita di scena di Silvio). Nel frattempo condanne, processi su processi, l’umiliazione della legge Severino, persino la perdita del titolo di “Cavaliere”, e un declino inesorabile accompagnato anche ai naturali acciacchi dell’età. Povero Silvio, abbiamo pure iniziato a pensare.
Avevamo all’epoca 25 anni, e ci affacciavamo a una nuova stagione della vita, con la voglia di spaccare il mondo, di affermarci, con mille opportunità davanti. Il mondo era tutto per noi, Berlusconi era il passato e abbiamo assistito annoiati alla sua parabola discendente. Nel frattempo altri protagonisti della politica ci hanno più o meno degnamente intrattenuto.
Oggi di anni ne abbiamo 35. Il mondo è cambiato, la nostra vita pure, molti dei nostri sogni si sono infranti contro i faraglioni della dura realtà. Il presente non è stato proprio quel futuro che ci eravamo immaginati e due anni di pandemia hanno scavato la fossa a molte delle nostre attese. Nel frattempo, è arrivata l’ora della responsabilità, della vita-adulta-per-davvero, del “forse è ora di metter su famiglia”, delle preoccupazioni.
D’improvviso, a sconquassare questa nostra vita, una luce a tinte fosche: Berlusconi vuole fare il Presidente della Repubblica. E chi se lo sarebbe mai aspettato? Non se lo aspettava Salvini, che pensava di avergli fatto le scarpe già dieci anni fa, figuriamoci noi.
La sola notizia ci fa piombare in uno spazio-tempo delizioso: l’infanzia della docile innocenza e l’adolescenza della irresponsabile irruenza. C’era Berlusconi l’anno che ci eravamo per la prima volta stropicciati gli occhi per il pallone. Avevamo nelle camerette i poster di Van Basten e di Roberto Baggio (io di Del Piero a grandezza naturale), giocavamo a pallone tutti i giorni. Guardavamo i cartoni animati alla TV di Berlusconi, c’era Bim Bum Bam, i quiz sbrilluccicanti, c’era Paolo Brosio invitato di Emilio Fede e c’era quel politico nuovo che sorrideva in televisione e che aveva vinto le coppe dei campioni. Non avevamo vissuto tutta la storia della legge Mammì, della conquista di Mondadori e tutto il resto. Noi sapevamo solo che era ricco e che voleva comprarsi tutto lui. Ci stava pure simpatico, perché la “politica” dei grandi era quella grigissima e noiosissima che ci faceva ridere solo per le imitazioni del Bagaglino. Quando avevamo la febbre ed eravamo felici di stare a casa, facendo zapping alla tv vedevamo le notizie di politica e sentivamo quei nomi “Spadolini, Andreotti, Martinazzoli, etc. etc.” e ci sentivamo morire dentro.
Nel 1996 la maestra a scuola chiese a tutti noi bambini chi avremmo votato alle imminenti elezioni. Tutti, TUTTI, risposero “Forza Italia”. Io risposi “L’Ulivo”, solo per fare il bastian contrario e senza capire che cosa significasse. Ma Silvio era già presente in tutti noi, aveva forgiato le nostre personalità. Negli stessi anni ascoltavano compiaciuti gli Aqua.
La cosa migliore della sinistra di quegli anni è stata la satira. I programmi di Guzzanti e della Dandini su tutti, a volte anche quelli di Santoro. Eccezionali nello sbeffeggiare quell’assurdo capo di turno che non erano stati in grado i politici veri di fermare. Ci siamo schierati contro Berlusconi, perché era così comodo e bello prendersela con il riccone che voleva tutto per sé e che trattava la cosa pubblica come la cosa sua, che aveva avuto legami con la mafia, che aveva imbrogliato, che viveva in un colossale conflitto di interessi (di cui noi eravamo le prime vittime), che aveva presieduto il Governo del pugno duro al G8. Andavamo al primo maggio a piazza San Giovanni a cantare contro Berlusconi e ci sentivamo pure una bella famiglia felice. Grazie, Silvio, per tutto questo.
Eravamo all’università quando commentavamo inorriditi il Lodo Alfano, perché avevamo appena fatto diritto costituzionale. Ce la prendevamo pure con la legge elettorale definita “porcata” dal suo stesso ideatore commentata malamente pure dal Bin Pitruzzella (“vedi, pure il libro lo dice!”, dicevamo gradassi al nostro collega berlusconiano). Qualche nozione di economia l’avevamo pure ai tempi dello spread. Mentre aspettavamo il concerto dei Nine Inch Nails all’Alcatraz e quello dei Verdena alla cascina Monlué, abbiamo commentato indignati i rapporti con Gheddafi, le corna alla foto ufficiale del G8, le barzellette con bestemmia a L’Aquila. Quando poi quando deflagrò la notizia delle feste bunga bunga e di tutto quel sordido squallore non ne abbiamo proprio potuto più: Berlusconi, basta. “Unfit to lead Italy”, titolava l’Economist al quale pure ogni tanto ci abbonavamo, per fare i grandi.
E adesso eccoci di nuovo qui, spaesati. Non tutto è andato bene. Non per tutti. E la notizia della nuova, ennesima, inesorabile, immarcescibile discesa in campo di Silvio Berlusconi sembra come d’incanto una carezza. Vuole dirci: non tutto è perduto, non tutto è impossibile. Affiorano i ricordi più belli, gli anni del primo bacio, quelli delle pizze la sera con i compagni di classe, dei battibecchi con i professori, gli anni della irresponsabilità totale e assoluta, di quando si poteva fare davvero quello che si voleva (e non ce ne rendevamo conto), di quando eravamo tutti insieme e ci innamoravamo tutti i giorni.
Per noi nati alla metà degli anni ’80, Berlusconi che torna è un po’ il canto di Natale della nostra gioventù. Voliamo alti con lui e riviviamo i nostri ricordi più dolci. E ora che si ripresenta alla porta, nemmeno ce la prendiamo più con lui. Lo accogliamo come si fa con una ex che non vediamo da dieci anni perché ci avevamo litigato a morte, ma che ora tutto sommato ci fa piacere rivedere. Che senso ha indignarsi ormai? Ora che abbiamo visto anche Di Maio ministro degli esteri va bene tutto.
Scommetto che tutti vorremmo provare anche solo per cinque minuti a vedere “cosa accadrebbe se succedesse per davvero”. Chiudo gli occhi e immagino la primavera del 2023, dopo le elezioni politiche, il nuovo centro laico ha ottenuto un buon risultato ed è l’ago della bilancia per la maggioranza parlamentare. Il capo dello stato Silvio Berlusconi conferisce l’incarico per formare il nuovo governo a Matteo Renzi.
Siamo stati ragazzi felici.