Nomen Omen

Obbligo, s.m.

By Elisabetta Gavetti

July 27, 2021

Obbligo, s.m.

Il Nomen Omen di questa settimana è un altro perfetto crossover tra lingua del diritto e italiano non solo letterario, ma anche quotidiano; rientra nel club dei termini spesso abusati e ripetuti come mantra a tempi alterni, da un certo giornalismo, a buon o cattiva ragione.

Ma bando alle ciance e inoltriamoci nel ginepraio etimologico che tanto ci diverte: oggi parliamo di obbligo.

Per gli amici giuristi, l’obbligo svolte un compito preciso nell’ambito del diritto soggettivo, e contestualmente un rapporto giuridico tra due parti. Potremo aver obblighi in positivo e quindi tesi a produrre azioni come il “dare” o il “fare” qualcosa, oppure in negativo, nel vietare comportamenti, azioni da parte di uno dei soggetti coinvolti.

Nel mondo dei comuni mortali troviamo sostanzialmente la stessa differenziazione: il termine porta con sé una allure certo non positiva, spesso legato alla limitazione della libertà personale nell’indurci nel fare, o non fare, una certa azione. Talvolta però prende anche sfumature più docili, designando quel senso di doverosa riconoscenza che ci troviamo a dover mantenere ed espletare verso qualcuno come “obbligo” morale.

E l’etimo del termine, invece, cosa ci racconta?

La radice è latina, da OBLIGO, dal verbo OBLIGARE, “vincolare, obbligare legalmente”, composto dalla preposizione OB- “dinanzi, verso” e un altro verbo, LIGARE, “legare”. Un perfetto Nomen Omen? Certamente sì: il termine riassume in sé il significato di stretta entro il nodo di un patto, di un vincolo ineluttabile se non pagando pegno.

La regolamentazione dei rapporti giuridici nella quale è fiorito il senso di obbligo è molto antica e la possiamo rintracciare senza indugio già nel diritto romano.  Già qui troviamo la distinzione tra “soggetto passivo”, con determinati doveri giuridici: il fare o non fare qualcosa, e nel caso di contravvenziore, il sottostare alla sanzione concordata, detto “soggezione”.

L’altra parte della medaglia, il “soggetto attivo”, detentore dello scettro del diritto soggettivo e del potere giuridico, può invece “pretendere” che l’altra parte rispetti i patti presi, e nel caso ciò non avvenga può disporne la sottoposizione forzosa alla sanzione preconcordata.

Ma ovviamente non è finita qui. Ben sanno gli addetti ai lavori quanti tipi di obblighi siano poi sbocciati nel panorama giuridico e attaverso i secoli: dall’obbligo di contrarre, a quello di dimora, a quello di sicurezza nel caso di ambienti di lavoro.

Proprio traendo eredità dal diritto romano, nel nostro beneamato volgare italico il termine fece la propria comparsa sul finire del XIII secolo in area toscana, e proprio in ambito giuridico, in un estimo pistoiese dove lo troviamo però scritto in una forma, diciamo, diversa:

[ (E) dicie che al ditto Sinibaldo (e) Fra[n]chino (e) Sinibalducio ne tocha, delle ditte credenzze (e) te(r)ra (e) vingna (e) chasame[n]to (e) buoi ditti di sotto, lo quinto di chatuna (e) no più, nonistante p(er)ché l’ obrigho dicha in Boldo (e) da llui fosero richonosciuti li servisgi, e che l’ altre quatro parti debono tornare a lloro chonpangni pistoresi, i quali non abitano in Bolongna, né ci sta(n)no.

Che evolverà poi lentamente verso il grafema obbligo che utilizziamo tutt’oggi, come testimonia un testo di circa cinquant’anni più tardi, sempre di area toscana ma stavolta fiorentina: il Libro Segreto di Simone, dove il Simone in questione è Simone di Rinieri, di professione mercante nell’area di Montepulciano:  

Richordanza ch’io m’oblighai all’Arte della Lana per miei fatti propri, cioè in mio nome, a Tommaso Archangnioli changnioli chamerlingho di sindachi e ad altri per lui in fior. 200 d’oro per Bartolomeo di Giotto de’ Peruzi e a sua richiesta quanto che ll’obigho diciesse in mio nome propio in que medesimo die feci quello per Berto che fue per una medesima chagione e cioè per la loro fine, e poi si ridusse questo obligho all’uficio della merchatantia chome quello feci per Berto di messere Ridolfo scritto qui a dietro.

Per aggiungere una nota di colore, esuliamo dall’obbligo etimologico e letterario per inoltrarci nella biblioteca personale di questo Simone, il quale ci ha lasciato diversi documenti di proprio pugno, tra i quali spicca una seconda versione del testamento dove disereda il figlio dopo anni di discordie, fornendo ragioni più che valide:

E il detto Benedetto mio figliuolo maladicho, e da mme quanto posso sia maladetto, chome in ogni bene e virtù disubbidiente a mme; il quale, chon ongni inghanno, tradimenti, falsità m’à sempre disubidito, istraziato e tradito, e chosì il mio popolo e Chomune, e i miei chonsorti e chongiunti. E per sua chagione inique, false e rie, molti danni e pericholi in (on)ore, istato e pacie, e sì nell’avere e sì nelle persone, cie ne sono seguite. Sia sempre quanto’ posso maladetto da Ddio, amme(n). E se dopo a mme rimane in vita, ed io non l’abbi prima chorretto e ghastighato chome merita, la sentenzia di Ddio giusta il punischa chome malvagio traditore quanto merita.

Ricordandoci quindi quanto siano fondamentali questi obblighi tra contraenti, ma anche quanto tutelino la parte attiva: specialmente nel caso in cui ci siano figli da diseredare e maledire. Amen.

Bibliografia

Obbligo, in TLIO, Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (accessibile online).Obbligo, in GDLI, Grande Dizionario della Lingua Italiana, UTET (accessibile online).OBLIGO, in Charlton T. Lewis and Charles Short, A Latin Dictionary, Oxford: Clarendon Press, 1879.Obbligo, in Dizionario Giuridico, edizioni Simone (accessibile online).Guarino, Antonio, Storia del Diritto Romano, Napoli, Editore Jovene, 1990 (8° ed.)

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