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Matrimonio, s.m.

Matrimonio, s.m.

Il lemma di questa settimana è, paradossalmente, tra i più divisivi all’interno dell’opinione pubblica contemporanea, nonostante il suo significato spinga in tutt’altro senso.

Parliamo del negozio giuridico per eccellenza: il matrimonio.

Croce e delizia dell’essere umano almeno dai tempi dei regni Mesopotamici e del codice di Hammurabi (circa 1792 a.C.), nel corso dei secoli è mutato a seconda della società di appartenenza, da contratto di acquisto a obbligo di legge per tutti gli under 60, dalla poligamia al matrimonio cristiano e poi cattolico.

Un panorama vario e complesso, che non può prescindere da una domanda fondamentale: da dove deriva il termine matrimonio?

Matrimonio deriva dal latino MATRIMONIUM, “matrimonio”, composto MATRIS, genitivo singolare di MATER e il suffisso -MONIUM, tipico dei nomi designanti uno status legale o un vincolo, che in questo caso sta proprio ad indicare un obbligo. Il matrimonio etimologicamente è, dunque, l’obbligo della madre, la procreazione.

Per dirla con Sant’Agostino:

Matrimonium quippe ex hoc appellatum est, quod non ob aliud debeat femina nubere, quam ut mater fiat.

Il matrimonio è così chiamato, perché la donna deve sposarsi unicamente per diventare madre.

E dunque, qui il senso intrinseco del termine.
L’unione, tuttavia deve essere sancita da un’autorità, civile o religiosa: altrimenti non v’è validità alcuna.

Come abbiamo accennato, troviamo uno degli esempi più antichi ad oggi conosciuti di una codificazione matrimoniale nel Codice di Hammurabi: una vera e propria compravendita della donna da parte del marito, il quale riceve in luogo del padre (o tutore) della sposa la potestà sulla stessa.
All’epoca era anche ben vista la poligamia, se necessaria a garantire una folta prole al marito. Fondamentale era inoltre mettere per iscritto il contratto: sia mai che il giorno dopo uno dei due cambiasse idea e cercasse di sottrarsi all’alcova nuziale.

Nel mondo romano, dove il matrimonio era assolutamente monogamo, le iustae nuptiae sussistevano solo in caso di possesso, da parte di entrambi gli individui, di ius connubi, uno status sociale adatto a questo tipo di negozio.
Per il matrimonio sine manu, e cioè quello in cui il marito non potesse fare man bassa della dote della sposa, bastavano tre notti insieme nel nuovo nido d’amore per sancire la validità dell’unione. Vi era ovviamente anche il caso in cui il marito potesse imporre il proprio volere e potere sulla dote della moglie: il matrimonio cum manu, validato solo attraverso rituali specifici. La Confarreatio era forse l’uso più antico, che prevedeva l’offerta di una focaccia a Giove Capitolino da parte dei due sposi.

Con la Lex Julia de Maritandis Ordinibus del 18 a.C. e la Lex Papia Poppaea Nuptialis, de 9 d.C., al fine di combattere l’abbassamento del numero di unioni – importanti per la società romana e la crescita demografica – venne introdotto l’obbligo, per gli uomini tra i 25 e i 60 anni e le donne tra i 20 e i 50, di contrarre il matrimonio. E se il contratto veniva sciolto, o se uno dei coniugi veniva a mancare? Nessun problema, la sede vacante poteva essere riempita di nuovo entro termini ben precisi. La pena era severissima: inabilità al recepire i beni lasciati in eredità e interdizioni dai pubblici spettacoli. Cattivissimi, questi romani.

Ma salpiamo verso l’antica area insulare dei Celti, e diamo uno sguardo a una piccola curiosità nascosta tra le irlandesi Fénechas e le gallesi Cyfraith Hywel, due corpus di leggi bretoni datate tra il 438 d.C. e il X secolo.

In questi sistemi legislativi, dove il matrimonio consentiva anche la poligamia, le donne potevano sposarsi a partire dai 14 anni e, pensate, vi erano ben nove modi per poter far riconoscere l’unione agli occhi della giurisprudenza; non solo aspetto economico, ma anche coronamento di atti illegali e violenti.

Lánamnas comthichuir: unione tra due persone con condivisione equa delle risorse economiche.

Lánamnas mná for ferthinchur: unione in cui la donna offre una dote di valore inferiore rispetto al patrimonio offerto dall’uomo.  

Lánamnas fir for bantichur: unione in cui l’uomo offre una dote di valore inferiore rispetto al patrimonio offerto dalla donna.

Convivenza presso l’abitazione della donna.

Fuga d’amore senza il consenso della famiglia della donna.

Rapimento senza il consenso della famiglia della donna.

Incontro segreto.

Matrimonio per stupro.

Matrimonio tra due persone non sane di mente.

Cioè che venne dopo è cosa nota. La Chiesa mise mano alla procedura di unione legale rendendola sacra e aprendo la strada al binomio che prenderà forma solo nel tardo Ottocento: quello tra unione civile ed unione religiosa.

Da qualsiasi parte stiate, una cosa è indubbia: questo istituto è stato alla base della società sin dall’antichità, subendo periodi di crisi e di rinascita ciclici, esattamente come la storia di cui è parte fondamentale e fondante.


Bibliografia

Matrimonio, in DEI, Dizionario Etimologico Italiano, a cura di Carlo Battisti e Giovanni Alessio, Firenze, Barbera, 1950-1957; DELI, Dizionario etimologico della lingua italiana, a cura di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, Bologna, Zanichelli, 1983.
Matrimonio, in GDLI, Grande Dizionario della Lingua Italiana, a cura di Salvatore Battaglia, Torino, UTET, 1961-2002.
Margherita Guarducci, Il “Conubium” nei riti del matrimonio etrusco e di quello romano, Roma, Tipografia Cuggiani, 1928.
Codice di Hammurabi e XII Tavole – Diritti dell’Oriente Mediterraneo e Diritto Romano arcaico, originalità del Diritto Quiritario, su filodiritto.com (accessibile online).
Ellis PB, Celtic Women: Women in Celtic Society and Literature. Eerdmans Publishing Co., 1996.

Image Credits: Il marito raccoglie nelle sue mani la mano della moglie (dextrarum iunctio). Museo delle Terme di Diocleziano, Roma.

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Milano, 1988. UX Designer e Project manager, dottoressa in Filologia Moderna. Appassionata di vino, cose vecchie e storia della lingua.

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