Una delle principali politiche del fascismo era rimpinguamento degli italiani: per questo fu promulgata una legge per scoraggiare i single istituendo la famigerata tassa sul celibato.
Una delle preoccupazioni del governo Mussolini negli anni ’20 e ’30 era quella di creare una nazione forte e vigorosa, autonoma dal punto di vista economico e temibile quanto a forze militari. La chiave per raggiungere questi obiettivi era la crescita della popolazione, che venne perseguita attraverso una serie di politiche familiari.
Il 13 febbraio 1927 venne promulgato il Regio Decreto n. 124 che disciplinava in dettaglio il meccanismo di funzionamento della tassa sul celibato, già istituita con il Regio decreto-legge numero 2132 del 19 dicembre 1926.
Si trattava di una tassa progressiva che colpiva i “single” compresi tra i 25 e i 65 anni (art. 1), a eccezione di:
1° sacerdoti cattolici e dei religiosi che hanno pronunziato il voto di castità;
2° grandi invalidi di guerra;
3° ufficiali, sottufficiali e militari di truppa vincolati a ferme speciali delle forze armate dello Stato, per i quali il matrimonio sia subordinato a condizioni o a limitazioni;
4° coloro ai quali l’art. 61 del Codice civile vieta di contrarre matrimonio;
5° stranieri ancorché residenti permanentemente in Italia.
Per tutti gli altri, per sfuggire alla tassa bisognava a quel punto o sposarsi o attendere il 66esimo anno di età!
L’ammontare era variava in base a fasce di età (art. 2) e aliquote di reddito (art. 3). 35 lire annue per i giovani dai 25 ai 35 anni, 50 lire fino ai 50 e 25 lire superati i 50 anni. A queste cifre si sommava un plus calcolato in base all’aliquota di reddito prodotto dal celibe.
L’imposta era dovuta nel Comune in cui il contribuente aveva la propria residenza. I cittadini residenti all’estero o nelle Colonie dovevano l’imposta nel Comune di ultima residenza in Italia o, in mancanza, in quello del domicilio di origine (art. 9).
Chi si sottraeva dal pagamento o denunciava un’età falsa incorreva a una sanzione consistente nell’aumento dell’imposta, nonché in un’ammenda da L. 100 a L. 1000 commutabile nell’arresto in ragione di L. 20 al giorno (art. 13).
Una vera e propria tassa ideologica, che come spesso accade produsse scarsi risultati. Passò appena un anno e visto che il tasso di natalità non aumentava, la tassa sul celibato raddoppiava, e così di nuovo nel 1934. Il governo fascista doveva essere davvero seccato dalla questione, poiché nel ’36 la tassa venne estesa anche ai celibi residenti nelle colonie. Questi ultimi inoltre, poveri malcapitati, subirono un’ulteriore condizione: se non si fossero decisi a prender moglie e cambiare stato civile, in caso di assunzioni o promozioni, a loro sarebbero stati preferiti gli uomini sposati e, tra questi, quelli sposati con figli. Insomma, che un uomo fosse un playboy farfallone o semplicemente disinteressato a condividere la sua vita con un partner, doveva accettare l’idea di un’allegra casetta allietata dal pianto di marmocchi in fasce, dalle lamentele di una moglie oberata di lavoro domestico e infine, possiamo ben compatirlo, dalle critiche affilate della suocera che si apprestava a crescere i bambini.
Immaginiamo poi la questione economica: o spendi i tuoi soldi nel crescere figli, o li spenderà lo Stato!
Con fierezza, il 26 maggio 1927 Benito Mussolini pronunciò il famoso discorso dell’Ascensione dinanzi la Camera dei deputati, spiegando le ragioni della nuova politica demografica del regime:
La tassa sui celibi dà dai 40 ai 50 milioni. Ma voi credete realmente che io abbia voluto questa tassa soltanto a questo scopo? Ho approfittato di questa tassa per dare una frustata demografica alla Nazione. Qualche inintelligente dice: siamo in troppi. Gli intelligenti rispondono: siamo in pochi. Affermo che, dato non fondamentale ma pregiudiziale della potenza politica, e quindi economica e morale delle Nazioni, è la loro potenza demografica. Queste leggi sono efficaci? Le leggi sono come le medicine, sono efficaci se sono tempestive.
Certo il Duce sarà stato nero – di rabbia – nello scoprire della decrescita del tasso di natalità che seguì negli anni anni successivi: passata dal 29 per mille del 1926 al 25,2 per mille del 1930 e poi al 23,2 del 1937. In realtà, la colpa non può essere attribuita a tale tassa bensì agli effetti della Grande Depressione del 1929, che purtroppo per Mussolini arrivò proprio a vanificare i suoi piani di prosperità.
Al difficile periodo che segnò gli anni ’30 in Italia come nel resto dell’Occidente, il governo fascista varò una serie di misure più in linea con le necessità delle famiglie, come l’esenzione parziale dalle tasse per le famiglie numerose, gli assegni familiari per i lavoratori dipendenti, i prestiti matrimoniali, i premi di nuzialità e quelli per le madri prolifiche, i periodi di riposo per le madri lavoratrici prima e dopo il parto. Ci fu persino la riduzione delle tariffe ferroviarie per i viaggi di nozze.
La tassa sul celibato venne applicata fino alla caduta del regime. Di fatto, però, la disciplina restò formalmente in vigore fino ai giorni nostri ed è stata abrogata solo con il decreto legislativo n. 212 del 13 dicembre 2010.
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