Questa settimana ci addentriamo nella storia supplizio che ha avuto più successo nel corso dei secoli: lo squartamento. Pena che ha la sua origine nell’Iliade di Omero e fa la sua ultima comparsa nella Francia del 1700. Inutile ribadire che la nostro unica e “sacra” guida è Hans von Hentig.
Non è certo un caso se il boia, definito nel XIV con l’altisonante titolo di «esecutore di alta opera di giustizia», fosse anche chiamato macellaio o squartatore. Signore e signori, tenetevi pronti, perché dopo annegamento, rogo e sepoltura dei vivi, la nostra retrospettiva sulla geneologia delle pene è arrivata a una delle più orrende e sanguinose: lo squartamento, proprio il procedimento tramite cui si uccidono gli animali al mattatoio.
È dubbio se il supplizio bestiale dell’estrazione di viscere costituisse lo stato evolutivo iniziale della pena dello squartamento, ma sicuramente ne abbiamo una orripilante testimonianza del 1500 nel disegno di Lucas Cranach che raffigura il martirio di Sant’Erasmo. Le viscere della vittima erano bruciate esattamente come, secoli prima, si faceva con quelle di una vittima sacrificale offerta sull’altare.
L’estrazione delle viscere era una pena afflitta per alto tradimento e… per il danneggiamento degli alberi! Lo so, sembra strano si potessero mettere sullo stesso piano il tradimento e il danno “ambientale”, ma è bene ricordare quanto fossero venerati sia gli alberi che le foreste da popolazioni antiche. Per questo chi avesse danneggiato un albero togliendo anche solo una parte della corteccia sarebbe stato punito con l’estrazione di una parte dell’intestino, in modo tale che potesse percepire su di sé lo stesso danno subito dall’albero.
Ancora negli anni Trenta – quando scrive von Hentig – sulle coste baltiche della Germania e della Russia vigeva la credenza che gli alberi fossero qualcosa di animato e di sacro ai quale si deve offrire qualche sacrificio. Ed essendo in periodo natalizio, è bene sapere che le luci che tutt’oggi si accendono sull’albero di Natale sono proprio un retaggio di questi antichi riti sacrificali.

La maggior parte delle esecuzioni per squartamento avvennero tra il XV e il XVI secolo in diverse città dei paesi germanici. Vi riporto alcuni casi atroci.
Nella città di Uberlingen troviamo la descrizione di una siffatta esecuzione, in questo caso però preceduta dalla decapitazione, secondo l’antica tradizione per cui il corpo del delinquente doveva essere diviso in due parti, l’una minore dell’altra, e cioè la testa doveva essere divisa dal tronco. Il corpo poi veniva squartato, venivano estratte le interiora e bruciate. Ma come se non bastasse, il corpo veniva suddiviso ulteriormente in quattro parti, le quali venivano esposte ai quattro angoli del palco, mentre la testa veniva issata sulla cima di un palo.
Una procedura diversa prevedono le ordinanze svizzere per la punizione di alto tradimento. Innanzitutto si doveva estrarre il cuore insieme a tutte le altre viscere (considerate “sedi” della malvagità), poi si decapitava il reo e lo si squartava. Eduard Osenbrüggen riferisce di un caso di Losanna, nel quale prima di squartare un servitore accusato di aver ucciso il suo padrone, un vescovo, gli strapparono con tenaglie infuocate i testicoli.
A Basilea il supplizio era eseguito sui corpi viventi. Invece a Francoforte, che fin dai tempi più antichi fu una città di commercio e di alta cultura, lo squartamento era applicato solo sui cadaveri e assai di rado.
Qualche descrizione cruenta? Sarete accontentati. Un’esecuzione davvero notevole fu quella di Baldassare Gerard, assassino del principe Guglielmo d’Orange nel 1584. Il supplizio del primo durò due giorni: il primo giorno lo flagellarono, lo spalmarono di sale e gli misero degli aghi sotto le unghie; il secondo giorno lo straziarono con tenaglie infuocate, gli aprirono il tronco, gli strapparono il cuore e glielo misero in mano. E nel cuore fu incisiva la seguente iscrizione che fu letta ad alta voce: «questa è la giusta punizione per chi tradisce il suo signore». Infine lo squartarono ed esposero ai quattro punti cardinali i miserandi resti.

Un’altra paurosa immagine dell’epoca è l’esecuzione del cavaliere di Franconia Wilhelm von Grumbach nel 1527 a Gotha. Prima lo si spogliò, lo si appese e lo si legò (o forse addirittura inchiodò a una croce), poi gli si estrasse il cuore dal petto e glielo si mise in bocca, mentre il boia pronunciava le parole: «Guarda, o Grumbach, il tuo falso cuore». Infine, lo si squartò.
L’intera procedura, osserva von Hentig, ricorda molto da vicino alcuni assassini commessi da pazzi, che appendono alle piante, intorno al luogo ove hanno ucciso, le viscere della vittima.
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Per il momento abbandoniamo i dettagli splatter e proviamo a spiegare il significato e il valore simbolico dello squartamento, da rintracciare forse nell’importanza degli intestini nel culto greco-romano. Infatti, nell’antica Roma si praticava un’arte divinatoria detta “aruspicina” che consisteva nell’analisi delle viscere animali per trarne segni o messaggi delle divinità. Anche le superstizioni popolari tedesche conferiscono alle viscere un valore magico di esorcismo, per non parlare poi del loro ruolo di primo piano nei riti delle civiltà precolombiane.
La consuetudine dello squartamento era molto più comune nelle popolazioni primitive rispetto al Medioevo, nel quale si presentava come un caso eccezionale. Lo scopo dell’esecuzione, comunque, non era distruggere il corpo, ma estrarre il cuore, il centro della vita. Perciò von Hentig afferma: «Si confondono così elementi magici con riti sacrificali più antichi e ancora oggi in alcuni efferati delitti possiamo rilevare un residuo di queste formazioni culturali, in quanto alcuni procedimenti seguiti dagli assassini non si possono tutti spiegare con la volontà di distruggere il corpo dell’ucciso».
Ancora più antico dello squartamento eseguito con l’ascia o con il coltello sembra che fosse lo squartamento mediante l’uso dei cavalli o dei tori per trascinare il reo. Si pensa che questa declinazione del supplizio fosse un’aggravante dello squartamento. Il condannato veniva legato all’interno di una pelle di bue oppure su una specie di slitta e trascinato fino al luogo dell’esecuzione. Secondo la procedura penale della città di Zurigo, il boia doveva assicurare il condannato supino su di una tavola, legargli i piedi alla coda di un cavallo e farlo così trascinare al luogo del supplizio.
L’origine e lo scopo di questo trattamento sono assai oscure, ma sicuramente la prima testimonianza è nell’Iliade (XXII, 400), quando Achille trascinò il cadavere di Ettore intorno alle mura di Troia.

Von Hentig suppone che questa “cerimonia” in cui si trascinava il corpo del condannato prima dell’esecuzione vera e propria fosse conseguita in modo magico-superstizioso al fine impedire al morto di fare ritorno: «la traccia del sacco di pelle di bue, o della slitta di legno, o della tavola, doveva impedire al morto di rintracciare le sue orme, e con esse, coloro che lo avevano condannato».
Forse è legata a queste antiche pratiche la diffusione dello squartamento “francese”, praticato legando i quattro arti dei condannati ad altrettanti cavalli: sorte atroce riservata, per esempio, a Sebastiano de Montecuccoli nel 1540 (di cui vi avevamo già parlato: se non ne avete ancora abbastanza di storie raccapriccianti correte a recuperarlo).
Vi informo, tra l’altro, che l’ultima esecuzione per squartamento tramite cavalli fu eseguita in Francia nel 1757 ai danni di Robert François Damiens, che si rese reo di un tentativo di assassinio contro il re Luigi XV. Poi dal 1792 questo supplizio fu abolito e cominciò l’era d’oro della ghigliottina. Ma questa, naturalmente, è un’altra storia.
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