Questa notte le lancette dell’orologio si sono spostate un’ora avanti per l’ora legale. Dicono che sia l’ultima volta e noi non ci crediamo. Nel dubbio, vi raccontiamo la prima volta.
Francia, Regno Unito, gli Imperi Centrali e i Paesi scandinavi già da molto tempo avevano deciso di posticipare in estate le lancette dell’orologio per sfruttare a pieno la luce del sole. Nel 1916, con il continente straziato dalla guerra, il dibattito giunse anche in Italia. Siamo andati alla ricerca di come in quei giorni si discuteva di quella che sarebbe stata una vera novità.
Dal Correre della Sera del 22 maggio 1916: “Il principio a cui si ispira la riforma è molto chiaro e molto semplice. Durante parecchi mesi dell’anno la maggior parte della gente comincia la sua giornata alcune ore dopo che il sole è sorto, e la termina alcune ore dopo che il sole è tramontato: si alza quando è giorno fatto da un pezzo e va a letto quando la sera è già inoltrata, così che si perdono nel sonno delle ore di luce naturale, e si consuma per altrettante ore la luce artificiale”.
Questa la prima ovvia constatazione. Continuiamo a leggere per seguire il ragionamento. Ah, i corsivi sono miei: “È evidente che se in estate tutti si svegliassero e facessero ogni cosa un’ora prima, se la sera si pranzasse [prima o poi racconteremo anche del perché fino a non molti decenni fa si chiamava pranzo ciò che noi ora chiamiamo cena] alle 7 invece che alle 8, se i teatri aprissero alle 8 invece che alle 9, se l’illuminazione stradale si riducesse di misura alle 11 invece che a mezzanotte, se chi spegne il lume alle 11 lo spegnesse alle 10, e via dicendo [peccato, avrei gradito mille altri esempi, altroché], si farebbe un’enorme economia di energia elettrica, di gas, di acetilene, di candele, di petrolio, ecc. In Francia si calcola che l’economia sarebbe di 100 milioni [non dice di cosa…] per tutta la stagione, in Italia, dato il maggior prezzo del carbone, l’economia sarebbe anche maggiore: l’ing. Luiggi la calcola 150 milioni”.
L’ing. Luigi Luiggi fu il principale promotore della iniziativa, avendo studiato il funzionamento dell’ora legale all’estero e gli effetti benefici che questa aveva portato nell’economia dei Paesi che l’avevano adottata.
Detto questo si passa quindi a sottoporre l’interrogativo: come realizzare tutto ciò? La risposta prima passa attraverso una proposta “impossibile” per poi rendere ovvia e scontata la proposta reale. E infatti: “Ma come si può indurre tutto un paese a cambiare l’orario della sua giornata? Quale legge o quale decreto potrà modificare l’andamento di tutti gli uffici, di tutte le fabbriche, di tutte le case private e via dicendo? [evidentemente non aveva mai sentito parlare dei dpcm] Si potrà emanare un’ordinanza per imporre ai cittadini di alzarsi alle 6 piuttosto che alle 7? [no questo in effetti nemmeno i dpcm] Evidentemente no [eh], ecco allora farsi innanzi l’idea dell’anticipo dell’ora legale”.
Siamo così finalmente giunti alla spiegazione della questione, proseguiamo nella lettura: “Supponiamo che un giorno, il 1 giugno, ad esempio gli orologi siano messi innanzi di un’ora, e che i servizi pubblici funzionino serbandosi fedeli non all’ora del giorno solare, ma all’ora indicata dagli orologi [come si fa a non avere un soffio al cuore leggendo “serbandosi fedeli”?]; che cioè i treni che il 31 maggio partivano alle 7 di mattina, il 1 giugno partano ancora quando gli orologi spostati segneranno le 7, ossia un’ora prima del giorno innanzi rispetto all’ora del sole ma alla stessa ora secondo l’orologio; supponiamo che altrettanto facciano tutti i treni su tutte le linee, e che allo stesso modo si comportino gli uffici postali e telegrafici, che i ragazzi debbano trovarsi a scuola nominalmente alla stessa ora, ma effettivamente un’ora prima, che le banche chiudano gli sportelli un’ora prima, che i teatri aprano le porte un’ora prima, che l’ultimo tram passi un’ora prima [cronache di una vita che non c’è più…]. Chi potrà sottrarsi agli effetti di questo anticipo generale? Qualcuno penserà che lo stesso risultato si potrebbe raggiungere spostando di un’ora treni e tramvie, banche, teatri, ecc., senza muovere gli orologi, ma tanto vale, ed è più semplice, prendere un unico provvedimento, semplice ed istantaneo, facendo spostare le lancette sui quadranti, senza contare che col tempo anche la suggestione dell’orologio concorrerebbe all’effetto. A ottobre, poi, gli orologi sarebbero mossi in senso inverso, e tutto tornerebbe nella normalità”
E ancora: “Come si vede, nulla di più elementare. E se si pensa che una riforma così semplice potrebbe essere operata da noi con un semplice decreto che produrrebbe un’economia notevolissima, concorrerebbe ad alleviare le difficoltà del rifornimento dei carboni, e quindi potrebbe avere un certo effetto, sia pure modesto, sui noli e sui cambi: se si aggiunge che la salute pubblica non potrebbe che avvantaggiarsene e si renderebbero meno opprimenti le serate estive nelle città comprese nella zona di guerra o nelle vicinanze ove non si possono tenere i lumi accesi e le imposte spalancate, bisogna augurarsi che anche l’Italia si risolva, e senza indugio, come tant’altri paesi, all’anticipo dell’ora. Un provvedimento di Governo è parso più raccomandabile per la semplicità dell’applicazione e la bontà degli effetti”.
E così, mentre l’esercito respingeva a Coni Zugna gli austriaci, mentre cruentemente si lottava sull’Altipiano d’Asiago, mentre a Magenta si preparavano le celebrazioni per l’anniversario della battaglia, il 27 maggio 1916 anche l’Associazione Commercianti, Esercenti e Industriali, presieduta dall’onorevole Candiani, pur riconoscendo l’esistenza di “inevitabili inconvenienti iniziali” constatava la “opportunità e la convenienza della riforma, avuto riguardo anche ai vincoli sociali in genere e commerciali e industriali in ispiece colle nazioni europee che già l’adottarono”.
Fu così a stretto giro di tempo che il 27 maggio 1916 fu pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto con cui il Governo aveva assunto la decisione di anticipare l’ora (decreto legislativo luogotenenziale 25 maggio 1916 n. 631, firmato dal Luogotenente del Regno Tomaso di Savoia, zio del Re Vittorio Emanuele III che era partito per le retrovie del fronte). La decisione proveniva direttamente da Salandra, Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno, sulla base degli studi del Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio dal quale dipendevano gli uffici di meteorologia e geodinamica e gli osservatori astronomici che avevano fornito dati e suggerimenti.
Peraltro, era la prima volta dal 1893 che veniva preso un provvedimento sull’orario. Quell’anno (regio decreto 10 agosto) era stata approvata la convenzione internazionale per l’adozione del fuso orario che divideva l’Europa in tre fasce distanziate di un’ora.
Il decreto del 25 maggio 1916 non stabiliva però ufficialmente la data in cui le lancette sarebbero di nuovo tornate indietro, anche se le intenzioni del Governo, poi confermate, erano nel senso di tornare all’ora solare il 3 ottobre.
Come sarebbe poi stato attuato il provvedimento? Continua il Corriere in un articolo del 27 maggio: “Molti già pensano che sarebbe conveniente che nelle grandi città alla mezzanotte del 3 giugno venisse sparato un colpo di cannone per indicare che sarà giunto il momento di invecchiare legalmente di un’ora e di mettere pertanto gli orologi sull’una antimeridiana. Gli uscieri di tutti i pubblici uffici, prima di abbandonare il loro ufficio la sera del 3 giugno si assicureranno che gli orologi funzionino bene e poi li metteranno avanti di un’ora, così la mattina seguente si troveranno in regola col nuovo ordine di cose. Altrettanto potranno fare i privati prima di mettersi a letto” [per chi se lo chiedesse il 3 giugno 1916 era sabato, dunque l’intervento sarebbe occorso nella notte tra venerdì e sabato, che allora era una giornata lavorativa].
La Chiesa invece ci tenne a far sapere che sarebbe rimasta comunque immutata l’ora dell’Ave Maria basata sull’alba e il tramonto, mentre si sarebbe adeguata all’ora legale l’Angelus ai fedeli.
Non mancarono voci critiche. Per alcuni il Governo stava per ordinare “una contrazione della nostra esistenza. L’ora fra mezzanotte e l’una ci sarà soppressa: i nostri orologi subiranno uno scatto di sessanta minuti verso l’avvenire e noi avremo l’illusione di far un salto nel domani”.
Le ferrovie ebbero un bel daffare e questa fu la trovata un po’ cervellotica per adeguarsi alla nuova ora: “ogni treno partito prima delle ore 24 del 3 giugno si fermerà nella prima stazione che incontrerà nel suo cammino, anche se la qualità del treno, direttissimo, diretto, accelerato, omnibus o merci in tempo normale non prescrive la fermata. La corsa non sarà ripresa dal treno con la nuova ora se prima quel capo stazione non avrà avvertito l’altro seguente che riceverà il treno con un’ora di ritardo. Questo ritardo si verificherà per la giornata del 4 giugno da parte di tutti i treni che man mano cercheranno di ricuperare, lungo il percorso, il tempo perduto, purché non superino il massimo della velocità stabilita”.
Non risultano grossi problemi di attuazione dell’ora legale che entrò in vigore ogni anno fino al 1920 (negli anni successivi al primo si arrivò a introdurre l’ora legale nel mese di marzo). Nel 1920 uno sciopero generale (il c.d. sciopero delle lancette) portò alla interruzione dell’ora legale, provvedimento che peraltro si voleva legato al periodo di guerra. Tornò in vigore solo 20 anni dopo tra il 1940 e il 1948, soppressa ancora una volta alla fine della guerra, e poi reintrodotta nel 1966.
Siamo ora in attesa di conoscere il destino dell’ora legale per il prossimo anno. A noi dispiacerebbe un po’ perdere il sogno delle lunghe estati.
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