Da decenni in America si festeggiava il Mother’s Day e anche il popolo d’Italia reclamava a gran voce la sua versione. D’altronde, cosa c’era mai stato di più italiano (pasta a parte) dell’amore per la mamma? Così nel 1958 si celebrò la prima festa della mamma a carattere nazionale, tra l’esultanza di mamme, papà, figli, cantanti e giornalisti, ma meno dei politici, preoccupati dalla deriva consumistica che poteva prendere una tale iniziativa.
Sin dalla fine dell’Ottocento negli Stati Uniti si era diffusa l’usanza di celebrare nel mese di maggio il Mother’s Day. Era una festa che piaceva a tutti: ai conservatori che vi vedevano una celebrazione del ruolo che spettava alla donna nella società, ai sostenitori dei diritti delle donne che vi vedevano un’occasione per celebrare l’importanza delle donne, ma soprattutto a imprenditori e commercianti, che vi scorsero subito una enorme opportunità economica.
Nel 1914 il presidente Wilson la ufficializzò e ne fissò la data alla seconda domenica di maggio e tanto fu il suo successo che cominciò a prendere piede anche nel Vecchio Continente. Si partì dalla Scandinavia fino ad arrivare alla Germania della Repubblica di Weimar, che nel 1920 creò un Muttertag sul modello americano ma più orientata a incoraggiare l’incremento delle nascite (con l’avvento del nazismo, poi, la festa assunse una connotazione razziale).
Anche nell’Italia fascista fu istituita la “Giornata nazionale della madre e del fanciullo“, che aveva proprio lo scopo di incoraggiare l’incremento demografico. La prima giornata fu festeggiata il 24 dicembre 1933 e naturalmente fu un tripudio di saluti romani e inni allo sviluppo della razza, il tutto con in sottofondo le note de “L’inno dei figli della lupa”. L’Opera Maternità e Infanzia conferiva annualmente un premio alle italiche madri più prolifiche (contavano solo i figli viventi) del Paese e ai fanciulli più sani e “meglio rappresentanti le caratteristiche della razza“.
Insomma, questa celebrazione aveva poco a che fare con la festa della mamma come la conosciamo oggi, di ispirazione sicuramente più floreale, consumistica e americana.
Fu infatti solo nel Dopoguerra che, nell’ondata di novità, mode, musica, film e costumi proveniente dagli Stati Uniti, finì dentro anche la festa della mamma. E gli italiani, c’è da dire, pareva che non aspettassero altro!
Alla metà degli anni Cinquanta cominciarono le prime celebrazioni spontanee in alcune città. La prima ebbe luogo la prima domenica di maggio del 1956 nel comune ligure di Bordighera, su iniziativa del sindaco democristiano Raoul Zaccari. Seguirono altri paesi (tra cui Assisi, che provò a rivestire l’occasione di un significato religioso), ma la prima festa della mamma a carattere nazionale si celebrò l’8 maggio 1858 a Milano.
La cerimonia si svolse quella domenica al Circolo della Stampa, alla presenza del Sindaco, che tenne un discorso sul significato spirituale e morale della festa, e di alcuni ospiti illustri: il giornalista Orio Vergani, l’attrice Lilla Brignone, il poeta Alberto Cavaliere, il pittore Carlo Carrà, lo scultore Francesco Messina e il ciclista Gino Bartali, ognuno di loro chiamato a esprimere un pensiero sulla loro mamma. Orio Vergani evocò una mamma cesellata come in un elzeviro: una mamma che sognava per lui una vita brillante, appassionata, mondana, tutta conquiste sentimentali, e che adesso, novantenne, a sera, dopo il rosario, si faceva leggere riga per riga tutto quel che il figlio scriveva. Per la mamma di Vergani, come per quelle degli oratori avvicendatisi dopo di lui, c’era un bel mazzo di garofani mandati in dono da Bordighiera. La figura veneranda della zazzera candida della mamma di Carlo Carrà portò una nota grave e patetica. Gli stenti in cui la madre era vissuta non ne avevano mai alterato la dolcezza, il coraggio. E Carrà disse come il cuore della madre gli fosse stato tramite per attingere una visione trascendente, mistica della vita.
Erano presenti alcune mamme di “famiglie regionali” invitate a Milano per passare una giornata con il figlio che non vedevano da tanto tempo. Una mamma veniva da Canneto, nelle Puglie, vedova di guerra, un’altra dall’Alto Adige, una terza dal Trentino, che la stampa definì “sante donne di casa, che davanti allo scrosciare degli applausi, e sotto la sferza dei fari della Televisione apparivano più umili e schiave ancora, assorte, non certo inebbriate dal momenti di celebrità”.
Seguì poi il momento più atteso: la premiazione della “mamma dell’anno”. La mamma italiana ideale doveva essere scelta da una giuria fra le candidate che avevano mandato la segnalazione nello studio del consigliere comunale professor Gianfranco Crespi, via Tenca 1. A vincere fu la signora Ermelinda Bonfanti nata Bestetti, 65 anni, milanese, “medaglia d’oro al valore civile, familiare, partigiano, affettivo“, che aveva fra l’altro adottato l’amico del figlio mortole in Albania. Il suo premio consisteva in un televisore 21 pollici e una macchina da cucire.
Dopodiché fu premiata anche la “mamma del giorno”, la signora Giovanna Losma in Begnis, che alla Maternità di via Melloni aveva dato alla luce un bambino 11 secondi dopo la mezzanotte, come attestato da due infermieri presenti per lei alla festa. Vinceva una culla, un corredo completo e gli alimenti per un anno, fino allo svezzamento.
E ora largo al tenore Giuseppe Di Stefano: canta la canzone “Mamma” di Bixio e Cherubini, naturalmente. Il commento del Corriere della Sera a proposito dell’esibizione è probabilmente più spettacolare dell’esibizione stessa. Sentite qua che pirotecnia verbale (peccato che l’articolo non è firmato!):
Non era più una canzone. Era un’onda appassionata, vibrante, che squillava, che invocava e saliva, pareva giungere dall’empireo: e l’uditorio, fra trasalimenti dei precordi e brividi, n’era rapito, levitando, verso una sfera dove gli angeli passavano sorridendo. Per un pezzo l’incanto è durato, non lo cancellava neppure l’uragano di applausi.
La stampa accolse con grande favore l’istituzione di questa nuova tradizione, anzi si chiese come mai si fosse atteso così tanto per promuovere la Festa della mamma. D’altronde, la materia prima di certo non scarseggiava: di mamme e amore filiale l’Italia ne era straricca.
L’entusiasmo arrivò perfino in Parlamento, dove il 18 dicembre 1958 Raoul Zaccari (il sindaco di Bordighera che intanto era diventato senatore) presentò al Senato insieme ai colleghi Zaccari, Bellisario, Baldini, Restagno, Piasenti, Benedetti e Zannini un Disegno di legge per l’istituzione ufficiale della Festa della mamma (qui trovate il testo completo).
La proposta fu discussa il 4 marzo 1959, ma incontrò delle sorprendenti resistenze da tutte le ale politiche. Il senatore liberale Mario Venditti, di avviso estremamente contrario, riteneva inopportuno che “sentimenti così intimi siano oggetto di norma di legge” e temeva, d’altro canto, che “la celebrazione della festa possa risolversi in una fiera di vanità“. Anche i senatori Donini (comunista), Caristia (democristiano), Russo (democristiano) e Macaggi (socialista) si dichiarano contrari al disegno di legge, e alla fine la Commissione espresse un parere sfavorevole.
Da una parte non piaceva il retaggio fascista della Festa della madre e del fanciullo, ma questo si sarebbe potuto superare infondendole nuovi valori e ispirazione. No, quello che davvero preoccupava era che Raoul Zaccari, oltre che da grandi passioni e ideali e reverenza filiale, era mosso dall’amico Giacomo Pallanca, presidente dell’Ente Fiera del Fiore e della Pianta Ornamentale di Bordighera-Vallecrosia, un’azienda che esportava fiori in tutto il mondo. La festa della mamma altro non sembrava che una grossa trovata commerciale.
Così, alla fine, la Festa della mamma non è diventata una data rossa sul calendario. Ma Zaccari e Pallanca nei fatti hanno vinto, perché ancora oggi la festa è un enorme successo commerciale e non si potrebbero vendere più fiori di così!
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