Il sapere giuridico, in quanto sapere complesso e tecnico, si appoggia necessariamente sulla padronanza di abilità più universali. Attraverso un’analisi della retorica, dalle sue origini siracusane fino ad arrivare ad Aristotele, cerchiamo di capire quali sono gli ingredienti base che servono per essere un perfetto avvocato.
La dotazione minima per erigere un muro è costituita da una certa quantità di mattoni in laterizio commisurata alle dimensioni del muro, da una certa quantità di calcestruzzo proporzionata a quella quantità di mattoni e da una livella che aiuti a erigere un muro perfettamente a piombo. I mattoni in laterizio sono composti da una base di argilla; il calcestruzzo da sabbia e calce, impastata con acqua fino a formare una malta sufficiente a fungere da collante. La dotazione minima di chi intende erigere un muro, allora, è costituita da argilla, sabbia, calce, acqua e una livella.
Se quel muro fosse un atto processuale o un parere legale, la dotazione minima per ‘erigerlo’ sarebbe costituita dai fatti narrati dal cliente (mattoni); dalle disposizioni legislative che contemplano quei fatti (calcestruzzo); e dall’abilità con la quale l’avvocato indirizza la lettura dei fatti verso l’effetto auspicato (livella).
Ma forse, più che un muro, sarebbe meglio prendere come esempio un ponte, perché lo scopo di un discorso giuridico (categoria alla quale appartengono sia gli atti processuali sia i parere legali) è la comunicazione di una tesi che è destinata ad aprirsi al confronto dialettico.
I fatti, le norme e, perfino, l’abilità dell’avvocato si manifestano essenzialmente attraverso le parole: quelle che usa il cliente per raccontare la propria storia; quelle cui ricorre il legislatore per scrivere le regole; quelle scelte con cura dall’avvocato per selezionare le prime e rielaborare le seconde. La conoscenza del diritto, sotto questo profilo, è una competenza necessaria ma non sufficiente per fare l’avvocato: la dotazione essenziale per ‘erigere’ quel ponte, difatti, è costituita dal linguaggio. E il linguaggio è la facoltà di comunicare organizzando le parole.
Il saper fare l’avvocato, quindi, presuppone la padronanza del sapere giuridico (che è la competenza dichiarativa tipica del giurista) unita all’abilità di organizzare le parole di cui il diritto è costituito. Questa abilità è il frutto di saperi forensi che non sono saperi giuridici: la retorica, la logica e la dialettica.
La retorica, la logica e la dialettica appartengono alla tradizione forense, sebbene non abbiano come proprio oggetto la conoscenza delle disposizioni dell’ordinamento giuridico e delle norme che da esse si ricavano in via interpretativa. Tra il VII e il VI secolo a.C., Solone riorganizzò l’Aeropago – il principale tribunale ateniese – e introdusse l’obbligo per gli imputati di perorare personalmente la propria causa davanti ai giudici. All’introduzione di quest’obbligo seguì lo sviluppo dell’attività dei logografi, che erano incaricati di redigere i discorsi giudiziari delle persone incapaci di scriverli da sé. In questa fase storica, la tecnica degli ‘autori dei discorsi’ – locuzione che traduce letteralmente la parola ‘logografo’ – è il frutto della capacità naturale di alcuni di elaborare discorsi – e, dunque, difese – eloquenti e perciò efficaci.
Una tradizione largamente diffusa, però, individua in Siracusa e nell’inizio del V secolo a.C. il luogo e il tempo in cui nasce la retorica: in quel luogo e in quel tempo un’insurrezione determina la caduta della tirannide e dà vita a una lunga serie di processi per la rivendicazione delle terre che i tiranni Gelone e Gerone I avevano confiscato allo scopo di premiare i propri eserciti mercenari. Corace e Tisia codificano il metodo e la tecnica utilizzate dai litiganti durante le dispute giudiziarie, offrendo una vera e propria precettistica per la difesa in giudizio. Si tratta, per certi versi, della prima manualistica processuale nella quale si delinea la struttura più efficace di un atto difensivo. Gli antichi logografi svolgevano la sola attività di assistenza perché il diritto processuale dell’epoca non riconosceva – e anzi vietava – l’attività di procuratore e, dunque, la funzione del ministero: ciascuno era legittimato a definire le proprie difese con l’assistenza di una persona più competente e capace, ma non poteva delegare quest’ultima a rappresentarlo di fronte ai giudici.

La retorica, pertanto, nasce con una finalità processuale ed è il frutto da un canto della pratica di assistenza difensiva offerta dai logografi e dall’altro della riflessione concettuale su cosa renda quella pratica di assistenza difensiva efficace. I logografi greci, e poi anche i retori romani, stabiliscono una serie di ‘operazioni-tipo’ da realizzare nell’esercizio della tecnica retorica, individuando una serie di passaggi pratici che facilitano la costruzione di un discorso giudiziario e definiscono la struttura del discorso a cui il retore dovrà attenersi. Nel codice retorico, la strategia per articolare un discorso giudiziario persuasivo consta di cinque passaggi fondamentali che sono definiti: inventio, dispositio, elocutio, memoria e actio.
L’inventio codifica le strategie per individuare i contenuti del discorso a partire da un dato tema; la dispositio codifica le strategie per disporre in successione le parti del discorso, per ordinare le parole all’interno della frase, per raccontare gli eventi in modo chiaro e conciso; l’elocutio insegna le strategie per costruire una formulazione linguistica appropriata agli argomenti trovati attraverso le strategie dell’inventio, e collocati ordinatamente grazie a quelle della dispositio. Una volta composto il discorso, infine, se esso è destinato alla discussione orale, bisogna memorizzarne tutti i passaggi e imparare a recitarlo davanti a un uditorio che sarà, inevitabilmente, attratto sia dalla qualità del testo sia dalla ‘presenza scenica’ del retore. Il sistema della retorica, dunque, offre una strategia per articolare un discorso giudiziario persuasivo, che individua le questioni sottese al racconto del cliente ed elabora la soluzione migliore per ognuna delle questioni individuate.
Questa descrizione non corrisponde a quello che generalmente si dice sulla retorica, poiché nell’accezione comune un discorso retorico è un discorso caratterizzato da un eccesso di artificiosità o da una vistosa ricerca dell’effetto stilistico. Sotto questo profilo, l’aggettivo ‘retorico’ ha una connotazione estremamente negativa. L’accezione spregiativa di retorica (e di discorso retorico) deriva da un certo modo di intendere la propria tecnica che i retori (e i filosofi che si sono occupati di retorica) hanno manifestato nel corso dei secoli, slegandola dai criteri della logica.
Un certo modo, però, che non è l’unico. L’avvocato deve guardare all’altra faccia della retorica: quella ‘buona’, che affonda le proprie radici nella tradizione aristotelica.
La logica è lo studio dei metodi e dei principi usati per distinguere il ragionamento corretto da quello scorretto, e si basa sul presupposto che esistono criteri oggettivi per i quali un ragionamento può essere qualificato come corretto. A seconda del tipo di premesse che si antepongono, i ragionamenti possono essere di due tipi.
La dimostrazione è il tipo di ragionamento caratteristico delle scienze esatte come la matematica: le premesse di un teorema matematico non sono discutibili; se le accetti, accetti necessariamente la conclusione cui si giunge sulla base di nessi inferenziali deduttivi. L’argomentazione, invece, è il tipo di ragionamento caratteristico dei campi di studio dominati da premesse opinabili e, dunque, da ciò che non è vero ma solo verosimile. Così avviene tipicamente nelle scienze sociali e, in particolare, nel diritto.
L’accezione negativa di retorica deriva dal presupposto che l’opinabilità delle premesse utilizzate nel ragionamento giuridico impedirebbe di costruire le argomentazioni in base ai criteri della logica. Il retore – che è colui che argomenta poiché non può dimostrare – sarebbe dunque costretto a utilizzare artifici stilistici tali da trascinare l’anima dei destinatari del proprio discorso, non potendo ottenere l’adesione delle loro menti attraverso la forza di un ragionamento logicamente corretto. Questa retorica è definita ‘retorica psicagogica’. La retorica psicagogica è il frutto di cui si nutrono gli stilemi che rendono il linguaggio di alcuni avvocati (e di alcuni giudici, e di molti professori) ampolloso, anacronistico e incomprensibile ai più.
La retorica ‘buona’, al contrario, è la ‘retorica logica’ che opera in simbiosi con ‘logica informale’ (o ‘critical thinking’), così definita proprio perché si occupa dei ragionamenti espressi nel linguaggio naturale. La prima teoria della logica informale è stata formulata da Aristotele (che però non utilizza mai il termine ‘logica’, coniato da altri e molto tempo dopo) nelle opere che si occupano di dialettica.
La dialettica per Aristotele è il «metodo per poter costituire attorno a ogni formulazione proposta di una ricerca sillogismi che partano da elementi fondati sull’opinione e per non dir nulla di contraddittorio rispetto alla tesi che noi stessi sosteniamo» (così all’inizio dei “Topici”; cfr. Organon nell’edizione curata da Giorgio Colli per Adelphi). Il metodo proposto da Aristotele è il metodo logico-dialettico che traduce a livello concettuale l’approccio esistenziale degli antichi greci, condizionato dall’idea che il contrasto degli opposti (agòn) sia un principio di verità. Uno dei lasciti principali della cultura greca alla nostra civiltà, difatti, è l’agonismo: agonistico è il modo in cui i greci intendono la politica, che si volge nei dibattiti dell’agorà; agonistico è lo spirito dei giochi antichi, le Olimpiadi; agonistico è il confronto degli artisti negli “agoni tragici”, che erano delle vere e proprie gare drammaturgiche. Agonistico è il processo che è strutturato attorno al metodo dialettico, nella convinzione che l’accertamento della verità (oggi diremmo della verità processuale) è il frutto migliore del confronto tra tesi opposte, entrambe sostenute da argomentazioni retoriche (nel senso buono) e logicamente corrette.

La retorica aristotelica, in sostanza, è una retorica argomentativa che costruisce discorsi logicamente corretti in funzione del metodo dialettico: anche la logica e la dialettica, quindi, sono saperi forensi, seppure non giuridici, perché costituiscono il supporto ineludibile dell’attività del retore; e, in specie, di quel particolare retore che è l’autore del discorso giuridico. Nella cultura occidentale, il fulcro del processo (civile e penale) è il principio del contraddittorio: principio che non esisterebbe, se non avessimo le elaborazioni concettuali del metodo logico-dialettico; e che funzionerebbe male, se non avessimo quelle poste a base del codice retorico.
Per ricorrere a uno slogan, potremmo dire che non c’è processo senza contraddittorio, non c’è contraddittorio senza difesa, non c’è difesa senza avvocato. E non c’è avvocato (o, meglio, non dovrebbe esserci) che non sia un retore, votato all’applicazione del metodo logico-dialettico.
© Riproduzione Riservata