Ebbrezza, s.f.
La memoria del passato aggredisce il mio stato
Ho ragioni per restare in ebbrezza totale
Cantavano i Bluvertigo in una (splendida) canzone del 1997, raccontando dello stato di ebbrezza come un viaggio della coscienza in un mondo parallelo. Almeno fino al risveglio al mattino successivo.
Ebbrezza, ebrietà: stati di gaudioso annebbiamento mentale, conseguenza dell’assunzione di alcolici di ogni sorta, che assopisce il senso etico di ogni buon cittadino.
Ma cosa ci racconta l’etimologia di ebbrezza?
Il termine è un derivato dell’aggettivo “ebbro”, nipote del latino ĒBRIUS, “ubriaco”, significato che era certamente già noto nella Roma di Ovidio, che utilizza il termine per descrivere il vecchio Sileno nell’Ars Amatoria:
Ebrius, ecce, senex pando Silenus asello
Tuttavia, se scaviamo un po’ più a fondo, troviamo qualcosa di inaspettato.
La radice Proto Indo Europea di ĒBRIUS è *hegwh-, che significa “bere”, in generale. Tant’è che la stessa radice la troviamo nella bevanda più scansata in Veneto: l’acqua.
Come e quando il termine si sia plasmato sino a prendere il significato odierno, è difficile dirlo.
Sappiamo tuttavia che gli effetti dell’ebbrezza erano ben noti sin da tempi antichi, tanto da essere celebrati con eleganza divina.
Una delle bevande alcoliche più arcaiche è la birra. Nata dall’ingegno dei Sumeri (ai quali siamo ovviamente grati), la inclusero nel proprio Pantheon sotto le sembianze della dea Ninkasi, alla quale venne dedicato un Inno, tramandato insieme ad una “canzone conviviale”, le cui origini si perdono oltre il 4000 a.C.
Tra gli antichi versi ritroviamo la radice Proto Indo Europea dell’azione di bere, riferita all’atto stesso e non alle conseguenze dell’abuso di alcol; il tutto nella familiare allegria delle “drinking songs” irlandesi:
Farò dei coppieri, ragazzi, i birrai sono già qui
Mentre giro intorno all’abbondanza di birra
Mentre mi sento meraviglioso, mi sento meraviglioso,
Bevendo birra, con umore beato
Bevendo liquore, sentendomi esilarato,
Con gioia nel cuore, e un fegato felice
Mentre il mio cuore pieno di gioia
E il mio fegato felice, mi rivesto di un abito fatto per una regina!
Nelle popolazioni mediterranee sarà invece il vino ad inondare banchetti e libagioni. Un prodotto, secondo la mitologia, di origine divina:
Leggenda vuole che fu proprio Dioniso ad offrire in dono ad Icaro la prima pianta di vite, a ringraziamento dell’ospitalità ricevuta. Il dio stesso consigliò al pastore di condividere il prodotto della pianta, il vino, con i vicini di casa. Ma la cosa non finì benissimo.
La tematica del vino e dell’ebbrezza come dono divino, e a sfondo utilitaristico, viene ripresa anche da Orazio, in una delle sue Odi (I, 18):
Un dio decise infatti un tempo che ogni cosa
si facesse difficile per chi non ama il vino,
se in nessun altro modo si dissolvono
le angosce che ci mordono nell’anima.
chi dopo aver bevuto, si lamenta
del peso del servizio militare
o della povertà molesta?
Insomma, c’è un lato positivo in tutto. Oggi con il termine “ebbrezza” si definisce tuttavia qualcosa di sfumatamente differente rispetto a quanto testimoniato dalle culture più antiche.
Lasciamo qui la letteratura classica per dirigerci verso la giurisprudenza prima di concludere questo viaggio.
È risaputo, l’ebbrezza può avere effetti collaterali, inibendo il buonsenso del singolo e portandolo, se protratta, ad assumere comportamenti contrari all’etica e alla legge vigente.
Ma proprio qui sta il limite: l’ebbrezza è annebbiamento mentale, non stordimento delle proprie facoltà.
Ne troviamo menzione solo nell’attuale codice della strada, a normazione della rinomata “guida in stato di ebbrezza”.
Nel Codice penale, invece, troviamo un altro termine: “ubbriachezza” o “ubriachezza“, che non denota un semplice offuscamento momentaneo, ma uno stato di alterazione psico-fisico ben più grave.
Lo possiamo vedere già nel Codice Zanardelli, dove all’”ubbriachezza” viene dedicato ampio spazio nel libro III:
488. Chiunque, in luogo pubblico, è colto in istato di manifesta ubbriachezza molesta o ripugnante è punito con l’ammenda sino a lire trenta. (…)
489. Chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico, cagiona l’ubbriachezza altrui, somministrando a tal fine bevande o altre sostanze inebrianti, ovvero le somministra ad una persona già ebra, è punito con l’arresto sino a dieci giorni.
Queste norme furono la base per l’articolo 688 C.p., che dopo anni di onorato servizio ed elargizione di contravvenzioni, nel 2002 è stato dichiarato incostituzionale. Ma questa è un’altra storia.
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Bibliografia
Bluvertigo, Ebbrezza Totale – Metallo non Metallo (Mescal, 1997), su Spotify.
Ebbro, Ebbrezza in TLIO – Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (Accessibile online).
Ebbro, Ebbrezza in GDLI, UTET (Accessibile online).
Ebrius, in Etymological Dictionary Of Latin, a c. di Michiel Vaan, Leiden-Boston, Brill, 2008.
Quinto Orazio Flacco, Odi ed Epodi, Ed. Universitarie di Lettere Economia Diritto, 2006.
CIVIL MIGUEL, A Hymn to the Beer Goddess and a Drinking Song, in: AA.VV., Studies Presented to A. Leo Oppenheim, Oriental Institute, University of Chicago, Chicago, 1964 pp. 67-89. (Accessibile online).
Luca Della Bianca, Simone Beta, Il dono di Dioniso – Il vino nella letteratura e nel mito in Grecia e a Roma, Roma, Carocci, 2015.
Codice penale, accessibile su https://www.normattiva.it/.
Photo credits: “Hymn to Ninkasi”, 1800 BC, @Ninkasibrewing on Twitter
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